Machu Picchu: storia e misteri della meraviglia peruviana

Posted by

Come è ben noto, il Machu Picchu, in alcune varianti denominato anche “Machu Pikchu”, traducibile in italiano dalla lingua “quechua” in “montagna vecchia”, è uno dei più suggestivi siti archeologici del mondo, situato nello stato del Perù ad un’altitudine di circa 2.430 metri sul livello del mare. Nel 2007 questo luogo affascinante ed impervio è stato eletto come una delle sette meraviglie del mondo moderno ed, ovviamente, annoverato tra i siti appartenenti al patrimonio culturale dell’umanità sotto l’egida dell’UNESCO.

Storia

Sulla storia secolare di Machu Picchu sono state elaborate molteplici teorie che, in parte, sono state chiarite grazie agli studi archeologici condotti negli ultimi decenni. La posizione della gola di Picchu, che sorge più o meno a metà strada tra l’apparato montuoso andino e la sterminata foresta amazzonica, ha rappresentato nel lontano passato un crocevia abbastanza ambito per la colonizzazione di popolazioni provenienti dalla zona di Vilcabamba e della Valle Sacra. Alcuni reperti archeologici hanno dimostrato che nell’area di Machu Picchu si praticava l’agricoltura fin dall’ottavo secolo a.C., grazie ad un progressivo aumento demografico favorito dall’insediamento di gruppi etnici “Tampu” . Gli studiosi sono piuttosto concordi nell’affermare che i popoli colonizzatori di tale area geografica fossero membri della cosiddetta “federazione ayarmaca”, nemici dei proto-Inca della regione di Cusco, con i quali si contendevano le risorse vegetali ed animali. Anche se la superficie agricola di carattere “artificiale”, cioè formata dalle tipiche “terrazze”, sembra risalire ad un’epoca di gran lunga precedente, la favolosa città di Machu Picchu, secondo gli accademici più accreditati, sarebbe stata edificata soltanto nel quindicesimo secolo, poco tempo prima rispetto alla grande e distruttiva espansione europea nel continente americano. Si ritiene che la città sia stata fondata dall’imperatore Inca, Pachacutec, verso la metà del precitato secolo. L’impervia posizione della città rappresentava una vera e propria difesa naturale, così circondata da profondi dirupi che le garantivano quasi di essere irraggiungibile ed inaccessibile. Ciò è dimostrato dalla significativa circostanza che quando l’area fu abbandonata, la posizione della città perduta rimase sconosciuta per circa quattro secoli, al punto che il suo nome era considerato una sorta di leggenda e citato con timore reverenziale.

Ma cosa nascondeva davvero una città fondata così in alto? I ritrovamenti archeologici, unitamente all’analisi di alcuni documenti coloniali, non sempre per la verità, stilati con metodi storiografici, hanno cercato di fare luce sull’effettivo ruolo dell’insediamento della “montagna vecchia”. Machu Picchu, si pensa, con ogni ragionevole probabilità, fungeva da residenza estiva per la famiglia dell’imperatore Inca e per l’alta nobiltà della sua corte. Secondo alcuni calcoli, da prendere comunque con il beneficio del dubbio, il sito poteva essere abitato soltanto da circa ottocento persone contemporaneamente.

Come si accennava in precedenza, la città perduta peruviana fu scoperta soltanto circa quattro secoli dopo l’occupazione spagnola avvenuta nel 1532. La paternità della scoperta è da riconoscere a Hiram Bingham, uno storico americano dell’università di Yale, il 24 luglio 1911. Lo studioso, appassionato di civiltà Inca, stava battendo le strade del Picchu, alla ricerca dell’ultima capitale di questa civiltà, la mitica “Vilcabamba”. All’inizio lo studioso non si rese conto dell’importanza del sito archeologico scoperto, credendo appunto di essersi imbattuto nei resti di “Vilcabamba”. Di seguito fu scoperto che l’ultima capitale della popolazione Inca era, invece, “Espiritu Pampa”, che sorgeva proprio nella giungla che Bingham aveva esplorato in lungo e in largo.                              

Tuttavia, in epoca relativamente recente, nel 2008, alcuni documenti rinvenuti negli archivi americani, hanno rivelato che il sito di Machu Picchu era stato scoperto già nel 1867 dal tedesco Augusto Berns che costituì addirittura una società con finalità di lucro per sfruttarne le risorse, come la vendita di oggetti preziosi nelle aste per le collezioni private.

Alla morte dell’imperatore Pachacutec, l’intera città di Machu Picchu ed il resto degli averi del sovrano, come era consuetudine presso la civiltà degli Inca, passò sotto la titolarità dell’amministrazione della sua “panaca” (discendenza). Le entrate prodotte dalla sostanziosa fortuna finanziaria erano destinate ad essere adoperate per il culto della mummia del defunto imperatore. La città, però, si avvio verso una definitiva ed inesorabile decadenza. Due furono i motivi fondamentali che concorsero alla rovina della fiorente città: in primo luogo la sanguinosa guerra civile Inca che scoppiò nel biennio 1531-32; ancora maggiormente risolutiva fu l’irruzione dei conquistatori spagnoli che si stabilirono nel territorio di Cusco nel quarto decennio del sedicesimo secolo.

L’area archeologica

Le vere e proprie rovine dell’insediamento di Machu Picchu sono situate all’interno di un’area protetta del programma chiamato “Sistema Nazionale delle Aree Naturali protette dallo Stato”. Si tratta del “nocciolo duro” del vasto parco archeologico, terzo al mondo per dimensioni dopo Pompei ed Ostia Antica, conosciuto nel linguaggio comune con il significativo titolo di “Santuario storico di Machu Picchu”. Oltre alle preziose vestigia dell’antica civiltà Inca, il “Santuario storico” comprende, garantendone la protezione, numerose specie biologiche a rischio di estinzione, sia di carattere vegetale che animale. Nonostante si sia parlato più volte dell’eventuale costruzione di una funivia, alla zona archeologica è possibile accedere soltanto tramite gli antichi sentieri incaici, oppure percorrendo la stessa strada intrapresa da Hiram Bingham, quella cioè che risale il pendio del Machu Picchu, partendo dalla stazione di Puente Ruinas, che si trova all’estremità della gola. Il paese di Aguas Calientes, il più prossimo al sito, ha conosciuto negli ultimi decenni una crescita che ha spaventato gli ambientalisti, dotandosi di molteplici strutture alberghiere e dedite alla ristorazione. Per raggiungere l’alta vetta, tramite il percorso incaico, è necessario camminare per circa tre giorni. Più breve ed agevole, invece, è un terzo tragitto, che è formato da un itinerario in treno fino al km 82 della linea ferroviaria Cusco-Aguas Calientes e da un successivo tratto a piedi. A quelli già delineati in precedenza, si aggiunge un ulteriore modalità di accesso: numerosi turisti scelgono di prendere un autobus locale che parte dalla città di Cusco, a circa 110 km da Machu Picchu, fino alla località di Ollantaytambo, attraversando la valle sacra agli Inca. Di qui si avventurano con un altro mezzo di trasporto, molto spesso di fortuna, per raggiungere il già citato km 82 della strada ferrata.

L’elevatissima altitudine potrebbe far pensare ad un clima freddo ed, in alcuni periodi dell’anno, perfino gelido. Ed, invece, a causa della vicinanza all’equatore, a Machu Picchu la temperatura oscilla tra i 12 e i 24 gradi centigradi, con un quadro generale che vede un clima caldo ed umido durante il giorno, fresco o molto fresco di notte.  Uno dei fenomeni climatici più particolari di quell’area geografica è la disinvolta alternanza tra piogge abbondanti ed ore di luce solare davvero abbagliante.

Teorie e misteri

Gli studiosi si sono posti tanti interrogativi sulle modalità di costruzione di una città posta così in alto. L’area di Machu Picchu presentava enormi difficoltà tecniche, in quanto il suo territorio è formato da un crinale incastonato tra picchi che scendono a strapiombo verso il fiume Urubamba, collocato 400 metri più verso valle. E’ molto difficile immaginare il trasporto di migliaia di blocchi per la costruzione degli imponenti edifici anche con la tecnologia moderna, figuriamoci con le conoscenze ed i mezzi dell’America precolombiana del quindicesimo secolo. Inoltre, come già accennato in precedenza, la zona è spesso battuta da piogge torrenziali che di certo rappresentavano un ostacolo a dir poco arduo per i coraggiosi ed ambiziosi costruttori della “montagna vecchia”. In più si aggiunge la necessità ingegneristica a cui i costruttori dovettero pensare per ottenere un metodo efficace, allo scopo di rendere più solido il pendio della montagna, in modo che potesse sostenere il gravoso peso di tutto ciò che doveva essere realizzato in cima al crinale. Dall’esame complessivo dell’area e dall’analisi di alcuni reperti, è emerso che i progettisti, al servizio dell’imperatore Pachacutec, riuscirono ad individuare alcune soluzioni mirate e semplici. Innanzitutto inventarono un ben strutturato sistema di terrazze che, oltre a sostenere il peso degli edifici costruiti sulla sommità della montagna, serviva come accampamento di riferimento  per la coltivazione dei generi alimentari a favore di coloro che erano destinati ad abitare la città ed, elemento ancora più importante, garantiva un deflusso delle acque piovane progressivo e costante. La maggior parte delle acque piovane era, infatti, indirizzata in numerosi canali delineati alla base del pendio, collegati alla foresta pluviale posta nella zona pianeggiante. Gli esploratori hanno individuato circa 130 canali che, a quanto pare, formavano un vero e proprio sistema all’avanguardia di deflusso. Ma come facevano a trasportare i materiali per l’edificazione fino alla sommità della montagna, non avvalendosi di mezzi su ruota o di animali da soma, visto che nella civiltà Inca non erano utilizzati? Si pensa che i costruttori di Machu Picchu abbiano sfruttato un bene prezioso che offriva loro la stessa natura: i blocchi di granito, un tipo di materiale molto resistente ed agevole da ricavare, in quanto si stacca facilmente dalla roccia, compiendo linee di frattura che non richiedono un eccessivo dispendio di energie. Ancora oggi il crinale della montagna è ampiamente ricoperto da questo tipo di blocchi di granito. Gli operai, quindi, lavoravano i blocchi direttamente nella cava e, poi, dovendo comunque compiere il tragitto fino alla città, si aiutavano soltanto con funi vegetali oppure con slittini e leve di legno. Per facilitare il trasporto dei blocchi, alcuni dei quali pesavano anche venti tonnellate, essi venivano lavorati in modo che conseguissero una forma convessa, assumendo l’aspetto quasi del fondo di una barca. Quest’ulteriore stratagemma permetteva di rendere più elastica la frizione originata dal sollevamento del terreno, per alcuni tratti ghiaioso, mentre i blocchi venivano trascinati verso l’alto.

Forse alla guida dei vari gruppi di operai vi erano dei veri e propri artisti, poiché i blocchi risultavano abilmente levigati, in modo da poter combaciare alla perfezione. Si pensi che gli strumenti usati erano molto rudimentali, come martelli di pietra, e che gli Inca non conoscevano la malta che poteva fungere da legante tra i diversi massi. Eppure se si osservano alcune rovine di Machu Picchu, si nota che i blocchi sono incastrati in maniera così abile, che tra le fessure non passa neanche la lama di un coltello. Ricorrendo a superfici a forma convessa e non verticale, gli antichi costruttori di Machu Picchu misero in atto anche intelligenti misure antisismiche, in un territorio ad alto rischio di terremoti. La riprova dell’efficacia di tali misure è il fatto che il sito esiste ancora!

L’attuale stato delle rovine della città di Machu Picchu rende ancora riconoscibili alcuni edifici, come il cosiddetto “Palazzo”, probabilmente la residenza dell’imperatore, imponente e monumentale, nonché il tempio che si distingue, in particolare, per la suggestiva planimetria, e per la presenza, al suo interno, di una lastra di pietra posizionata seguendo precisi calcoli matematici ed astronomici. Tale masso, infatti, è perfettamente allineato con la finestra principale del tempio, in modo da essere illuminato dai raggi del sole nel giorno del solstizio d’inverno, che coincide con il 21 giugno nell’emisfero australe. L’astro principale del nostro sistema rappresentava la divinità più importante per la civiltà Inca, poiché era visto come fonte di luce e principio primario dello sviluppo di tutte le specie viventi sulla terra. L’imperatore era considerato figlio del sole, una credenza piuttosto simile alla civiltà egizia e alquanto diffusa presso le antiche civiltà indoeuropee, fiorite a migliaia di chilometri di distanza rispetto a quelle dell’America precolombiana. Si tratta di indizi, come ho già illustrato in altri scritti, della possibile esistenza di una comune civiltà super-mondiale, scomparsa a seguito di un cataclisma di portata planetaria, i cui superstiti ne avrebbero tramandato la conoscenza attraverso la narrazione di miti e di ricordi rimasti nella memoria collettiva.

Tornando alla stretta connessione che lega la città di Machu Picchu al sole, spicca il punto apicale del sito, dove un blocco di roccia fu scolpito in modo che assumesse la forma di un pilastro. Tale opera, che possiamo considerare un felice connubio tra l’ingegno umano e le risorse di madre natura, è perfettamente allineata sull’asse nord-sud ed est con le montagne “sacre” che circondano l’insediamento. In coincidenza con gli equinozi primaverili ed autunnali, rispettivamente intorno al 22 settembre ed al 21 marzo nell’emisfero australe, il pilastro viene colpito dalla luce del sole senza proiettare nessun riflesso di ombra. La gente del luogo, attingendo ad un’antica leggenda, chiama quella struttura “intihuatana”, termine che, nella lingua italiana, può essere tradotto con l’espressione “il posto dove viene legato il sole”. In maniera traslata e simbolica, si suppone che gli antichi Inca celebrassero, in quel preciso luogo, determinati rituali religiosi orientati a seguire il percorsi del sole, affinché non si allontanasse troppo nel proprio percorso solstiziale.

L’intero sito archeologico di Machu Picchu è diviso in due grandi zone: la parte agricola, formata essenzialmente dalle già citate terrazze adibite alla coltivazione, che si estende nell’area meridionale; la parte urbana vera e propria, che è quella dove i cittadini svolgevano le principali attività civili e religiose, che copre l’area settentrionale. La separazione delle due zone è sancita da un muro, da una scalinata e da un fossato, allineati in maniera parallela al crinale orientale della “vecchia montagna”.

La parte urbana del sito è stata suddivisa dagli archeologi, per convenzione, in due settori: “hanan” (alta) e “hurin” (bassa), in sintonia con la bipartizione tradizionale della gerarchia sociale delle antiche popolazioni andine. Come baricentro dell’area urbana complessiva, vi è la cosiddetta “plaza alargada”, che sorge su terrazze collocate su differenti livelli che si adattano al declivio della montagna. La stragrande maggioranza degli edifici presenta una pianta rettangolare: su uno dei lati del “rettangolo” si affacciano numerose porte che, in alcuni casi, possono arrivare anche ad otto. Una particolare morfologia è compresa nelle costruzioni chiamate  “huayrana”, costituite da sole tre pareti, dove al posto del muro mancante, si erge una colonnata di pietre, in grado di sorreggere una trave di legno a sostegno del tetto. Inoltre, esistono anche “huayrana doppie”, cioè due costruzioni dello stesso tipo agganciate da una sorta di muro mediano chiamato “masmas”. Il sito archeologico di “Machu Picchu” è stato al centro di numerosi miti e leggende.   Alcuni autori non si accontentano di attribuire alla genialità dei costruttori Inca la paternità delle avveniristiche opere di ingegneria, attraverso le quali l’altissima città è stata costruita. Tra le più ardite ipotesi sulle origini dell’insediamento, tra il sacro, il mistico ed il paranormale, non sono mancate teorie sulla possibile fondazione da parte di una civiltà extra-terrestre, per alcuni da sovrapporre a quella Inca, per altri, ancora più coraggiosi, da considerare in stretto contatto con essa. Ancora oggi, i nativi del Perù, tramandano il racconto tradizionale di un’antica civiltà aliena che avrebbe colonizzato la Terra migliaia di anni fa. Un gruppo sparuto di discendenti, chiamati “Apuniani”,  sarebbe ancora radunato in Perù, in una piccola colonia sui maestosi picchi di Hua-Marcu. Gli indigeni del Perù credono che gi Apuniani siano arrivati sulla Terra, provenendo da un pianeta collocato ai margini della Via Lattea. Sarebbero stati proprio costoro ad entrare in contatto con gli Inca ed a fornire le conoscenze tecnologiche per l’edificazione di Machu Picchu. Ovviamente si tratta di una semplice leggenda che non possiede alcune evidenza scientifica. Tuttavia, essa è straordinariamente simile ad altre credenze diffuse in tutto il globo, dal Medio Oriente alla Cina, dall’Europa all’India, dall’Oceania all’Africa, che fanno riferimento ad un’antica civiltà super-mondiale di origine sconosciuta che sarebbe scomparsa a causa di un evento catastrofico distruttivo e generalizzato. Pertanto, anche in questo caso, si ritorna agli archetipi dell’inconscio collettivo, come quelli di Atlantide e del diluvio universale, le cui narrazioni sono riportate, con diverse ma non sostanziali varianti, nei testi redatti da quasi tutte le popolazioni dell’età antica.