Siccità: Virzì alle prese con uno spaccato del nuovo Neorealismo italiano

Paolo Virzì, si è sempre premurato di raccontare nei suoi film le persone comuni e le loro storie che a loro modo hanno donato un ulteriore volto di umanità sana ad un Paese tanto sgangherato come il nostro. Ma questa volta nonostante la pellicola possa far pensare ad un esperimento che potremmo definire sul filone del distopico, alla fine dato il futuro incerto non soltanto politico-sociale-economico, ma anche climatico che attanaglia il Belpaese e l’intero Pianeta non sembra poi così impensabile, ed il regista livornese ha immaginato uno spaccato di Nazione non troppo distante da quello che alla fine sarebbe una conferma dell’animo italico in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. L’inaridimento della popolazione romana, dovuta a tre lunghi anni di “Siccità” che può essere valutata su moltissimi punti di narrazione anche in chiave reale: Una su tutte la pandemia che ci ha confinati e lasciato scorie che probabilmente risentiremo per decenni, porta alla luce delle storie curiose di redenzione, ma anche di un cinismo inaudito.

Le piccole miserie quotidiane, i peccati e peccatucci che ognuno di noi si porta appresso e che prima o poi si trova costretto ad espiare, rappresentano una variegata umanità che compone la nostra Capitale nella sua lenta ed affascinate decadenza etica, morale e sociale.Virzì scomoda tra i tanti, dei veri e propri talenti della commedia sociale come Silvio Orlando, Claudia Pandolfi e Valerio Mastrandrea, sempre irreprensibili con la loro forte espressività e mimica ammirabili. Personaggi così dovrebbero fare solo film importanti, perché li meritano. Ma non solo, il resto del cast è composto da personaggi che si amalgamano bene nelle vicende romane, e tra cui spicca Sara Serraiocco, l’ennesima conferma che il cinema italiano continua a produrre doti attoriali più che considerevoli.

Siccità (2022) - Trailer Ufficiale

I richiami dell’opera al cinema italiano che fu sono molteplici e se prima la Guerra e la ricostruzione avevano risvegliato gli animi dei vari Gassman, De Sica, Rossellini, Monicelli, Risi, solo per citarne alcuni, la crisi economica e di valori dovuta non soltanto alla pandemia fa compiere al regista livornese un passo più in là su quella che è diventata l’Italia dopo anni di malagestione, individualismo imperante e capitalismo predatorio, malanni pre-esistenti solo aggravati dal confinamento subito nel 2020. La sceneggiatura scritta a otto mani con Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo strizza l’occhio a quel Robert Altman che alla fine ha attinto anche al nostro cinema per l’ispirazione di alcuni suoi film e che ha avuto degli allievi di grandissimo rilievo come Paul Thomas Aderson. Infatti potrebbe ricordare anche il secondo film Adersoniano “Magnolia” ma in chiave chiaramente più italica e dolceamara.

La cornice di una Roma dal Tevere prosciugato, visivamente impressionante e con accenni ad un simbolismo molto profondo: Cruciale la scena in cui Silvio Orlando cammina proprio nel letto del fiume oramai asciutto con una improvvisata natività che a sua volta vi cammina attraverso, anche questo un flebile accenno alla speranza. La speranza stessa che alla fine con l’arrivo delle piogge si sprigiona come a lavare i peccati, (Anche qui il riferimento a Magnolia e d’obbligo, anche se in quel caso era una bestiola biblica) e ci fa accorgere di come un vecchio mantra del XX secolo che molti oramai ignorano: “Ci si può salvare solo se ci salviamo tutti ” sia ancora attuale e che in qualche modo siamo tutti interconnessi. Proprio per questo è necessario ad un ritorno alle origini, a quel liquido amniotico che ci accoglie e ci protegge prima della nascita, così come l’acqua che è elemento essenziale per la vita di tutti noi e dell’intero Pianeta. La redenzione che il regista si augura deve partire necessariamente ora, per scongiurare il baratro della solitudine che crea delle mostruosità che poco hanno a che fare con quello che l’Italia ha rappresentato. Un sussulto improvviso nelle coscienze sopite da anni di abomini istituzionali che ci hanno resi freddi, cinici e soprattutto individualisti, il male assoluto del Ventunesimo secolo che l’Europa non conosceva prima dell’avvento Nordamericano, che tutto ha inghiottito in nome del dollaro. L’ode alla difficoltà, alla decadenza, ma anche alla speranza ci fa necessariamente sperare che non tutto sia perduto, e che si possa ricostruire un tessuto sociale così malandato, basta solo volerlo.