Il duetto di Elisa e Giorgia a Sanremo 2023 è una lezione per tutti

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Lo stupendo duetto di Giorgia ed Elisa a Sanremo 2023 è stata una lectio magistralis sotto diversi punti di vista. Ci hanno spiegato in sei minuti come si canta e questo basterebbe da sé, se non fosse che il ruolo del (in questo caso, della) cantante non si esaurisce nella sola esecuzione tecnicamente riuscita. È vero: giocavano “in casa” con il medley dei due brani – Luce (tramonti a nord-est) e Di sole e d’azzurro – che le hanno viste prima e seconda al Festival del 2001. Meno scontato è, invece, riuscire a cantarli bene e in modo intellettualmente onesto, in equilibrio tra dare il meglio di sé e lasciare lo spazio giusto all’altra persona. Dalla parte di Elisa e Giorgia c’è una profonda amicizia e questo aiuta; ma anche se non ci fosse, hanno dimostrato entrambe più volte che ciò che conta è considerare chi lavora con te una persona alla pari che merita di stare lì tanto quanto lo meriti tu.

Forse, però, il di più del duetto risiede proprio in questo legame molto forte, che va oltre la loro professione. Giorgia Todrani ed Elisa Toffoli sono due donne con musical skills incredibili, si sono costruite carriere di tutto rispetto ammirate anche dai grandi che loro stesse hanno ascoltato crescendo e, inoltre, sono molto amiche. Non è scontato che lo siano, dato che precedenti illustri dimostrano come persone simili a loro siano state spinte una contro l’altra sfruttando il fatto che possa legittimamente capitare, per vari motivi, di non trovare un punto di contatto. La stampa, il pubblico e in generale il mondo dello spettacolo si sono nutriti dell’esplicita competizione femminile in decenni in cui la “coscienza di genere” non si era risvegliata del tutto… o per niente. Esistevano tempi, infatti, in cui accettare la contemporanea presenza di donne eccellenti nello stesso ambiente (o due molto affini) era, un po’ da tutti i fronti, un’impresa impossibile… a meno che non fossero “nemiche”, sia nel lavoro che nella vita. Bisogna sottolineare, però, che il problema non si è risolto. Al contrario, ha cambiato forme, trovato modi più subdoli per instillare il sospetto che chi ci sta accanto sia una nemica per il solo fatto di esistere nel nostro.

Nella vita e nel lavoro le due cantanti sul palco dell’Ariston hanno saputo attaccare quella stessa mentalità costruendo un legame che, invece, è stato ostacolato ad altre illustri colleghe (costrette a dover ribadire, infinite volte, l’infondatezza di una rivalità inventata per speculare sulle mille variabili che le hanno tenute lontane). I nomi che vengono in mente da questo identikit sono due: Mina e Milva. Colonne portanti della musica italiana femminile moderna (quella, cioè, successiva alle rivoluzioni del 1958) – e soprattutto la prima, in qualche modo, “genitrice” delle duettanti della kermesse – le due artiste rappresentano ancora oggi l’esempio di cosa significhi essere donne eccellenti in un mondo che non le sa né vuole accettare insieme.

Sanremo 2023 - Giorgia con Elisa cantano 'Luce' e 'Di sole e d'azzurro'

Tra le massime esponenti del ruolo della grande interprete e di un divismo allo stesso tempo nazionalpopolare e sofisticato, “la Tigre” e “la Pantera” sono state spinte nella fossa dei leoni poco più che ventenni e, soprattutto, poco più che sconosciute l’una all’altra. Il loro primo incontro ufficiale, stando alle cronache, è l’edizione di Sanremo del 1961. Mina era la figlia della buona borghesia di provincia e stava incantando l’Italia da alcuni anni. Milva, invece, una ragazza di Goro che cantava per mantenere la famiglia. Per la stampa (e il pubblico) questa compresenza era un’occasione d’oro. Così simili nel nome e nell’età, così diverse nell’aspetto, nelle origini socioeconomiche e nei generi musicali: scatenato e urlante idolo dei giovani la prima, giovane e rassicurante volto per ascoltatori più agé la seconda.

Sono passati sessantadue anni da quel momento, vicissitudini sono accadute e una delle due parti, purtroppo, se n’è andata nel 2021 dopo una lunga carriera piena di soddisfazioni. Per più di cinquant’anni, Mina e Milva sono state paragonate, messe in competizione, inserite una nei discorsi dell’altra anche (anzi, soprattutto) quando non necessario e spesso attraverso domande faziose che imponevano risposte fraintendibili. A poco sono servite le parole di stima che si sono scambiate e perfino il duetto andato in onda nella primavera del 1972 durante Teatro 10 è stato sommerso da un mare di inutilità. Eppure, hanno creato un bel momento di musica folk (accompagnate dai Folk Studio Singers) in cui anche la prossemica del medley è importante per capire due artiste magari personalmente poco compatibili ma con un’intelligenza artistica e una tecnica invidiabili. Ognuna ha il suo spazio, musicale e non, ma ha anche l’accortezza di darne un po’ all’altra quando è necessario. In un mondo ideale, chi oggi si approccia a questo duetto non si fa influenzare dai retaggi di una narrazione che le vede ancora, dopo cinquant’anni e innumerevoli smentite, talmente distanti da non guardarsi nemmeno negli occhi.

Non possiamo sapere cosa passasse esattamente nelle loro menti in quel preciso momento né nel restante tempo che le ha viste protagoniste entrambe di due storie incredibili. Se non avessero avuto per cinque decenni tutta quella pressione addosso, sarebbero state destinate ad un legame simile a quello che unisce Giorgia ed Elisa? Non possiamo pronunciarci nemmeno su questo, ma forse non è neanche il punto del discorso. Qualsiasi opinione avessero l’una dell’altra davvero, la sensazione è che ci siamo lasciati scappare occasioni d’oro per il puro gusto di fare pettegolezzo e giustificare un giudizio di gusto a compartimenti stagni a spese di due donne. La Pantera e la Tigre hanno “pagato” per essere eccellenze circondate da tanta mediocrità di pensiero, ma almeno sappiamo che questo “sacrificio” ci ha permesso di avere oggi persone che dal loro esempio hanno imparato ad avere pazienza.