Stephen King, It: l’analisi sul male e il parallelo con Macbeth

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“Può un’intera città essere posseduta?”

Bisognerebbe prendere in prestito le parole di Mike Hanlon, uno dei protagonisti, per non perdersi nel labirinto di trame, passaggi laterali e ricostruzioni minuziose che percorre il più incredibile dei romanzi scritti da Stephen King.

It (1986) è il racconto di una generazione americana di provincia, un’analisi antropologica sul male, un compendio sull’affabulazione e la magia di cui è impregnata. Si è scritto tantissimo sull’argomento, proprio perché si tratta di un’opera che sfonda i confini di genere: sarebbe superficiale –se non triste– etichettarla solo come una storia dell’orrore un po’ più complessa della media. Qui entra in gioco un vero e proprio spostamento a livello percettivo: negli anni questa storia ha orientato l’immaginario dei suoi lettori, ponendo King alla stregua di scrittori universali come Dickens e Shakespeare. È un paragone, soprattutto il secondo, fin troppo azzardato?

Nicola Lagioia scriveva tre anni fa, in un articolo su Internazionale, quanto il modo di scrivere dell’americano fosse troppo sottovalutato in relazione all’impalcatura dei suoi romanzi e ai modelli di riferimento. E a proposito di influenze, lo scrittore italiano tracciava un paragone per certi versi fulminante: quello tra It e Macbeth.

La tragedia shakespeariana parte da un evento scatenante di assoluta malvagità e lo pone per il resto dell’opera sulla testa dei personaggi, interrogandosi sulle ambigue conseguenze di questo atto piccolo, ma fondamentale: tre streghe appaiono al generale Macbeth, profetizzando che egli diverrà re di Scozia ma, elemento importantissimo, senza specificare ulteriori dettagli. Sarà proprio lui a concretizzare il vaticinio, dando il via a una lunga scia di sangue verso il trono.

È interessante notare come le streghe costituiscano un’entità soprannaturale e ancestrale venuta da fuori, con l’unico intento di ingannare gli esseri umani e trarne così forza e giovamento; It è sostanzialmente la stessa cosa: ad un certo punto del libro viene descritto il suo arrivo sulla Terra, prima ancora che l’uomo ci mettesse piede, su qualcosa di molto simile a un’arca dell’alleanza. Da quel momento, come un parassita, si è legato al destino delle comunità che dagli albori della civiltà hanno abitato l’ambiente circostante, fino alla costruzione della città di Derry, tana del mostro e luogo della sua definitiva rovina.

E allora, può un’intera città essere posseduta?

King non dà mai una risposta risolutiva: gli omicidi di It attecchiscono in profondità e gli adulti di Derry non si accorgono di nulla, solo i bambini –non a caso le uniche prede dell’entità– sentono l’aura di male puro da sempre incombente su quel luogo. È una sorta di contratto non scritto: la città prospera, ad eccezione dei cicli sanguinari in cui il mostro agisce, a patto che gli adulti “guardino da un’altra parte” mentre succede.

Ecco quindi il fil rouge con Macbeth: Derry è un luogo come un altro o era già geneticamente pronta ad accogliere nel suo grembo qualcosa di indicibile e perverso? Così come l’ardito guerriero scozzese era predisposto all’omicidio o le tre “agenti del caos” ne hanno completamente irretito il sistema nervoso?

Tentiamo di rispondere per gradi, partendo dall’opera più datata: come accennato sopra, la predizione delle streghe si limita ai fatti, non a come essi sarebbero dovuti avvenire. La mente di Macbeth lavora febbrile, tentando di figurarsi le conseguenze di un possibile gesto sanguinario e senza possibilità di pentimento. Già solo il fatto che egli sia spaventato da come potrebbe andare, testimonia la presenza di un’idea di quel tipo, nata sì dalle parole delle parche ma compiutasi definitivamente in lui soltanto. Molto si è detto, inoltre, sulla responsabilità di Lady Macbeth nel compimento degli omicidi: apparterrebbe a lei infatti la pianificazione dell’intero disegno di congiura, andando a sostituire la propria natura malvagia a quella del marito, troppo esitante. C’è però qualcosa di cui questo ragionamento non tiene conto: è solo l’aspirante re a sporcarsi realmente le mani di sangue, la futura regina anzi avrà sempre il rimorso di ciò che è avvenuto, raffigurata, dall’uccisione del sovrano in poi, come un fantasma che si aggira per la sua stanza e perseguitata da terribili visioni. Si suiciderà, non venendo mai a patti con la colpa.

Nel romanzo di King alcuni dettagli, descritti lungo le innumerevoli vicende, fanno riflettere: il padre dell’unica ragazza dei Perdenti, Beverly, aveva dei comportamenti violenti verso di lei già da prima della sistematica comparsa di It:

“Ti voglio bene, papà, ma ti odio quando sei così. Non lo devi fare più. È It che te lo fa fare. Ma sei stato tu a lasciare che ti entrasse dentro.”

Rivelatoria è, in questo senso, la ricerca che compie Mike Hanlon per raccogliere più informazioni possibili sulla creatura che stanno affrontando. Agisce ogni 27 anni, ma in alcuni casi avvengono delle tragedie senza che il mostro intervenga direttamente, per il solo fatto di essere lì sullo sfondo: nel 1930 un noto locale di Derry, punto di ritrovo di molti afroamericani, viene dato alle fiamme dalla Legione per la difesa della rispettabilità della Razza Bianca, facendo strage di chi si trovava all’interno. King usa il pretesto della storia di terrore per parlare dell’America, dei suoi problemi e del finto perbenismo che aleggia nel Maine, suo Stato di nascita.

Ed è così che entrambe le opere si fondano sulla dialettica del fuoridentro, dove tutto ciò che risiede all’esterno brama di penetrare in un sistema pre-costituito, per sostituirlo. Ma la genialità dei loro autori sta nel ribaltare completamente la prospettiva delle cose –come peraltro fanno capire le streghe in Macbeth affermando “foul is fair and fair is foul”, letteralmente “il brutto è bello e il bello è brutto”–: e se non esistesse nessun fuori, anzi il male potenziale fosse già insito nella natura individuale di ognuno, ben nascosto tra le paure indicibili e le angosce?

Trovando quindi un precursore tanto illustre lungo il percorso che ha portato It sulle scrivanie di mezzo mondo, è ancora più giustificabile l’attesa generata dal suo remake cinematografico. Diretto da Andrés Muschietti, una prima parte del film è uscita nel 2017 e la seconda verrà distribuita ufficialmente nel settembre di quest’anno, assumendosi l’onore e l’onere di continuare a raccontare una storia dai valori universali.

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