Cosa resta dell’eredità di John Bonham

La genialità dell’Hammer of the Gods per antonomasia potrebbe essere definita attraverso una semplice citazione tratta dal cult nostrano Amici Miei, di Mario Monicelli.

Ad un certo punto della trama, l’architetto Rambaldo Melandri si pone un interrogativo: in cosa consiste la natura dell’estro umano più puro? Affermando che il Genio altro non è che fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione, non possiamo che individuare tutte queste caratteristiche nella personalità al vetriolo di John Henry Bonham, storico batterista dei britannici padri dell’hard rock, i Led Zeppelin.

Bonham, detto Bonzo, è stato un percussionista assolutamente precoce e brillante in appena quella manciata anni di carriera, stroncati da un destino crudele e beffardo. Abbiamo di fronte, quindi, l’esempio di un esecutore irriducibile ed eclettico, il cui contributo, basato su un approccio radicalmente innovativo allo strumento, è stato talmente fondamentale per i posteri da fargli guadagnare l’impareggiabile titolo di miglior batterista rock di sempre.

La chiave del successo

Il core del suo successo non è stata, come da manuale, la semplice tecnica o la sua precisione formale – camuffata dalla proverbiale irruenza sulle pelli, quanto invece la sua personalità dirompente, fuori dagli schemi, un’indole così ingestibile da decretarne la fine tragica ed inevitabile.

In suo onore, quindi, abbiamo il dovere di indagare su quale sia realmente il lascito di Bonham, cosa rimanga ad oggi delle sue percussioni tuonanti e del suo stile singolare, eccessivo quanto raffinato – nonostante le apparenze abbiano spesso ingannato.

L’apoteosi di John Bonham

Insomma, Bonham è per definizione il motore rombante e propulsore degli stessi Led Zeppelin: un uomo solitario e riflessivo, capace, attraverso la feroce percussione, di sfidare gli dei e le norme precostituite con le sue ritmiche irripetibili, intricate e complesse come mai prima di lui.

L’idea di perdere del tempo, per lui, non era contemplata: ogni secondo era prezioso per far incontrare le sue bacchette e le pelli sottostanti, nervose e tese, dando vita a qualcosa di più di un semplice ritmo: il prodotto dei suoi arti arriva a noi una vera e propria sinfonia selvaggia e tonante, specchio della verve del nostro Bonzo, il battito cardiaco dell’hard rock della prima ora.

Insomma, Bonham è stato il fautore di una vera e propria apoteosi lirica delle percussioni nel loro senso più ampio, tanto che, dal giorno in cui ha lasciato le sue spoglie mortali, the hard rock didn’t remain the same.

Led Zeppelin - Moby Dick Drum Solo (Madison Square Garden 1973)

Bonham, il pioniere di una nuova attitudine

L’aver portato la batteria a dei livelli mai lontanamente immaginati prima è ciò che tutt’ora ci fa riflettere, ovvero il suo essere riuscito a far risaltare uno strumento storicamente considerato secondario alla stregua di un mero mezzo di accompagnamento.

Fece del suo marchio di fabbrica un groove autentico e densamente stratificato, così granitico e preciso da sembrare, ancora e per sempre, in grado di colpirci con la forza un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco.

Ce lo hanno insegnato gli stessi Led Zeppelin quanto Bonham fosse insostituibile, quindi, la domanda sorge spontanea: esiste davvero un’eredità di Bonham? Diremmo formalmente sì, ma sostanzialmente no. Due esempi fra tutti? Quelli di Jason Bonham e di Daniel Wagner, batterista dei controversi Greta Van Fleet.

Jason Bonham è l’erede al trono?

Sembrerà di voler vincere facile mettendo in gioco Jason Bonham, figlio di John, ma vi assicuriamo che non è così. La discendenza è un dato di fatto, ma non sempre è garanzia di successo, e questo è ciò che Jason – tristemente- dimostra.
Premettiamo, comunque, che Jason rappresenti ad oggi uno tra i batteristi più preparati e competenti degli ultimi decenni. Tuttavia, c’è un ma che non riusciamo a toglierci dalla testa, paragoni con papà John a parte: ad ogni performance, il rischio è quello di sembrare un Cristiano De André alla britannica, intrappolato a vita in un cognome più grande di lui.

John Bonham Tribute by Jason Bonham at Guitar Center's 21st Annual Drum-Off (2009)

Quanto vale l’eredità genetica?

La bravura di Jason, insomma, è un dato fattuale, incontrastato, ma a nostro avviso andrebbe scissa dalla sua glorificazione ostentata e costante del compianto genitore. Una simile celebrazione avrebbe senso solo se rielaborata in chiave personale e non all’interno di un processo emulativo di uno stile che non è dato da uno stato di natura, e che non è trasmissibile per diritto di nascita. La dimostrazione di ciò è la storica performance di “Moby Dick”, con papà John proiettato su schermo. Jason è chirurgico, John è sanguigno. Jason ci mette la devozione, mentre John ci lascia l’anima.

In questo caso, quindi, l’eredità di Bonzo c’è e si sente, più per una questione genetica e per dedizione assoluta allo strumento che per una rielaborazione critica di quel contributo centrale nello sviluppo delle percussioni contemporanee di cui Bonham si è fatto promotore assoluto. Insomma, talento a parte, Jason appare carente del tipico pathos paterno, risultando irrimediabilmente schiacciato da quel patrimonio pesante come un macigno.

GRETA VAN FLEET Danny Wagner incredible drum solo Live at the Red Rocks Amphitheater (GVD 2019)

Il caso dei Greta Van Fleet

Tra i vari figli putativi dei Led Zeppelin che si sono affaccendati nel corso degli ultimi quarant’anni, avendone più o meno diritto, vi è il caso dei Greta Van Fleet: se lo meritano o meno di essere considerati la rielaborazione in ottica moderna di una band di tale calibro? Ai posteri l’ardua sentenza, nonostante il tutto ci sembri abbastanza azzardato vista la giovanissima carriera della band. L’imprinting dei dirigibili appare palese, ma c’è qualcosa che non convince. A prescindere dal fatto che ricordare in toto una band storica di questi tempi può sembrare frutto del non avere molto da dire, se ci focalizziamo sulla questione percussioni, ecco che la falla emerge.

Il prezzo dell’emulazione

È certo al 100% che Daniel Wagner, batterista del quartetto nativo del Michigan, abbia sudato sette camicie dietro alle roboanti articolazioni bonhamiane, ma ci sembra non essere abbastanza. Mentre nel caso del figlio Jason, la ricerca verso la perfezione stilistica aderente alla matrice risulta possente, la batteria di Wagner non ci fa volare alto: questo ci lascia comprendere come nascondersi dietro ad un nome mastodontico come quello dei Led Zeppelin non sia abbastanza per portare a casa un prodotto realmente originale.

Insomma, tirando le somme, se decidiamo di parlare di una vera e propria eredità di Bonham ci rendiamo conto di quanto questa sia completamente ideale: la chiave per attingervi è semplicemente aderire a quell’inesauribile stimolo che ha permesso a John di sconvolgere la normativa batteristica fin dalle sue fondamenta.

Questo è quello che John ci ha insegnato: non di emularlo, ma di farlo vivere per sempre attraverso le nostre bacchette.

Bonhamiani del mondo, unitevi.