“Meglio stare da soli”: la psicologia delle anime solitarie

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Non è inusuale imbatterci in persone che preferiscono trascorrere una vita relativamente solitaria, fatta di routine, attività, hobby e interessi personali che le fanno stare bene, e limitando l’interazione con gli altri quando possono. Può essere successo anche a noi in determinati momenti della nostra vita. Ed è una fase che può darci due tipi diversi di sensazioni: ci si può sentire sereni, in armonia con noi stessi, equilibrati e protetti dalle nostre stesse routine, senza il bisogno di dover cambiare niente di grosso nelle nostre abitudini, o al contrario ci si potrebbe sentire “bloccati” da questa condizione, consapevoli di volere più rapporti con altri ma in qualche modo preoccupati da ciò che questo implica, dal doversi mettere in gioco, scombinare i propri equilibri ed esporsi ad eventuali delusioni, e dunque si preferisce restare nel guscio sicuro della propria solitudine.

In generale, in entrambi i casi, è fondamentale riconoscere un aspetto importante di noi: gli esseri umani hanno bisogno degli altri, hanno bisogno di amore. Questa non è una frase fatta né un luogo comune, ma una parte concreta della psicologia umana. Non siamo fatti per stare soli. Come ci insegna Maslow, all’interno della panoramica completa dei nostri bisogni esiste sia quello di appartenenza a un gruppo sociale (sia esso la famiglia o un gruppo più esterno), sia quello di amore. Basterebbe semplicemente ascoltare le nostre emozioni sincere nei periodi di solitudine per accorgerci da soli che essere soli non è una condizione umana naturale, e che invece in maniera naturale siamo portati a legarci agli altri.

Tutto questo però non significa che dobbiamo muoverci nelle relazioni sentimentali mossi dall’obiettivo di colmare un vuoto, un bisogno di amore. Scegliere la persona con cui avere una relazione solo in base alla percezione di avere un impellente bisogno di avere qualcuno accanto può essere molto rischioso. Perché ci porta a esporci velocemente, ci spinge a illuderci più facilmente che la prima persona che incontriamo sia proprio quella giusta, ci rende più propensi a innamorarci troppo di corsa, e ci fa correre il rischio di correre troppo, di anticipare i tempi e di non notare eventuali segni che ci possano comunicare di non stare con la persona giusta. È quello che abbiamo già visto quando abbiamo parlato del modo migliore per prepararsi a una relazione felice: quando siamo soli, è molto meglio imparare ad amare noi stessi, a lavorare su di noi e a creare la versione migliore di quello che siamo, senza forzare i tempi, fiduciosi verso il futuro e sicuri che al momento che la persona giusta arriverà, noi saremo pronti ad accoglierla e a costruire insieme a lui qualcosa di valido, forti del lavoro che abbiamo fatto su di noi.

Quello che stiamo dicendo è che esiste generalmente un modo positivo di amare la nostra solitudine, fatto di amore per noi stessi, e uno più rischioso e instabile, motivato dalla paura di soffrire (di nuovo). Vediamo insieme i due atteggiamenti principali che prendono vita nei momenti in cui preferiamo stare soli:

  1. Stiamo imparando ad amare noi stessi e non vediamo l’altro come qualcuno che debba colmare un nostro vuoto: questo è un atteggiamento sicuramente positivo verso la nostra vita e la nostra persona. Per certi versi è qualcosa di molto vicino a quelle che Maslow definisce “personalità autorealizzanti”: stiamo scoprendo di essere individui capaci di condurre una vita piacevole anche senza una persona accanto, e stiamo fondando la nostra autostima e la fiducia in noi stessi su questa consapevolezza. Siamo anche consapevoli che abbiamo bisogno di amare ed essere amati, certo, ma non abbiamo intenzione di muoverci frettolosamente verso nuovi potenziali partner per un bisogno impellente di soddisfare questa carenza. Al contrario, stiamo costruendo e consolidando la nostra personalità e vediamo nell’altro un completamento di essa, un compagno altrettanto autonomo e realizzato con cui costruire insieme qualcosa di importante. Siamo aperti all’altro, piacevolmente propensi ad avvicinarci ad un’altra persona se la troviamo affascinante, ma senza urgenza, osservando in maniera quanto più lucida possibile ciò che vediamo e guardando ai segni che la relazione ci manda in maniera più obiettiva, provando piacere se vediamo segnali confortanti e restando vigili se vediamo qualcosa che ci respinge. Questo è l’atteggiamento più sano per vivere la condizione di solitudine: apprezzandola come una fase della propria vita e usandola per consolidare noi stessi, mentre abbiamo sempre presente che la nostra propensione naturale è comunque di stare con gli altri.
  2. Siamo stati feriti o delusi da relazioni passate e dunque abbiamo paura a legarci all’altro e, non fidandoci del prossimo, preferiamo restare soli, convinti di non aver davvero bisogno di nessuno: questo è un atteggiamento rischioso perché si fonda su un assunto fondamentalmente errato. Non è vero che non abbiamo bisogno di nessuno, e se ne siamo davvero convinti, ci stiamo sforzando di vivere all’interno di un’illusione che non durerà molto. Il bisogno dell’altro, il bisogno di amore non potrà essere eliminato totalmente e tornerà a intervalli regolari a darci tristezza e frustrazione. E più lo metteremo a tacere in nome delle nostre ferite e della nostra sensibilità, più le ondate di tristezza saranno forti. Molto meglio agire in maniera per certi versi opposta: accettare di avere bisogno degli altri come ogni altro essere umano e ragionare con calma su come affrontare questo bisogno in maniera sana, nella sicurezza della propria condizione di solitudine. Riflettere sulle proprie ferite e provare a integrarle nella nostra personalità, senza permettergli di rinnegare il nostro bisogno di amore. Mettere a confronto quello che di buono siamo, l’amore che siamo in grado di offrire e ricevere, con la paura di ricevere nuove ferite e delusioni, e decidere una modalità prudente, lenta, personale di affrontare la relazione con l’altro. Nessuno ci costringe a gettarci nelle braccia di qualcun altro se non ci sentiamo ancora pronti, ovvio, ma d’altra parte convincersi di escludere quella direzione in maniera assoluta non può funzionare a lungo. Tanto vale dunque entrare a patti con la nostra natura e trovare un nostro modo personale di affrontare il naturale bisogno di amore che abbiamo.

Nei momenti in cui sentiamo di preferire nettamente la solitudine alle relazioni con gli altri, teniamo sempre a mente il modo in cui stiamo affrontando questa fase e chiediamoci sempre se ci stiamo muovendo in maniera efficace all’interno della nostra dimensione di solitudine, o se invece si è attivato un meccanismo di protezione involontaria che sta bloccando la nostra naturale crescita personale, e il raggiungimento della maturità e della fiducia necessaria per tornare ad essere propensi a legarci all’altro in modo positivo. Le fasi di solitudine possono essere i momenti migliori che mai avremo a disposizione per crescere e diventare migliori, ma solo se le usiamo per evolverci in maniera positiva, evitando di restare ingabbiati in paure e dubbi senza soluzione. Perché se è questo il caso, chiedere aiuto a un professionista di crescita personale come un buon life coach può fare la differenza tra lo spreco degli anni di solitudine e la coscienza di esserne usciti migliori.