La sindrome cinese: quel che dobbiamo sapere sul coronavirus

Posted by

Il titolo dell’articolo, seppure dedicato al virus sviluppatosi in Cina negli ultimi giorni, deriva dal celebre film americano del 1979 The China Syndrome, diretto da James Bridges ed interpretato da Mihael Douglas e da Jane Fonda, sul tema quanto mai attuale dei disastri ambientali, in particolare sull’incidente in una centrale nucleare, pochi anni prima dell’evento tragico di Chernobyl. Il titolo del film si riferisce ad una teoria secondo la quale, nel caso di un incidente ad una centrale nucleare, qualora si dovesse arrivare alla fusione del nocciolo del reattore, gli effetti si propagherebbero in ogni parte del globo, in quanto si potrebbe provocare una fusione fino alla base centrale in grado di perforare la crosta terrestre e di giungere in zone opposte del pianeta, come appunto la Cina. Nella spiegazione del film, tale effetto non sarebbe realizzabile, in quanto il nocciolo fuso esploderebbe nell’atmosfera, anche qualora raggiungesse la falda acquifera, formando una nuvola radioattiva che, a seconda della direzione del vento, provocherebbe la morte di tutti nelle zone più prossime al luogo del disastro ed il cancro, a distanza di tempo, nei contaminati sopravvissuti. Nel caso del disastro di Chernobyl non si arrivò alla fusione del nocciolo, ma vi fu l’esplosione di natura chimica del reattore con relativa espulsione del materiale radioattivo, generando effetti devastanti e duraturi nel tempo, ma non così tragici rispetto a quanto paventato nella pellicola cinematografica. Pur nella diversità dell’evento, la possibile propagazione del virus da un lato all’altro del mondo con effetti quasi apocalittici ed il coinvolgimento del Paese orientale, mi hanno riportato alla mente questo vecchio ma significativo film.

Negli ultimi giorni siamo stati bombardati da notizie, anche abbastanza contrastanti fra loro, sul virus chiamato 2019-nCoV che sta mandando in crisi gli esperti della ricerca medico-scientifica, in quanto non sono ancora del tutto chiare le cause e le modalità di trasmissione del contagio. Secondo l’ultimo drammatico bilancio, le vittime ammonterebbero a 25 persone, mentre più di 900 soggetti risulterebbero contaminati. Si tratta, comunque, di dati da prendere con il beneficio dell’inventario, trattandosi di zone densamente abitate e considerando la scarsa trasparenza nell’elaborazione di notizie da parte delle autorità cinesi, abituate al più ristretto riserbo come patrimonio storico e culturale. Nelle ultime ore sembra, tuttavia, che siano stati compiuti evidenti passi in avanti per la scoperta degli aspetti costitutivi del virus: esso sarebbe stato originato dai pipistrelli, trasmesso ai serpenti e poi, mediante una ricombinazione, sarebbe passato all’uomo. Pertanto, dal punto di vista medico, l’infezione avrebbe una derivazione composita, un misto di coronavirus proveniente dai pipistrelli, mediato dai serpenti.

La comunità scientifica internazionale, tuttavia, è ancora abbastanza scettica, prediligendo l’ipotesi che il virus sia stato originato da mammiferi o da volatili. Ancora una volta si ripropone il cosiddetto salto di specie, in quanto il virus ingloberebbe nuovi ricettori capaci di attaccare le cellule del sistema respiratorio umano, come era accaduto con l’influenza aviaria e con la Sars. La scoperta è stata annunciata dal Journal of Medical Virology delle Università di Pechino e di Guangxi, dopo aver analizzato alcuni dei campioni del virus provenienti da varie zone della Cina, ma soprattutto dalla città di Wuhan, ormai isolata, dove è stato individuato il ceppo più pericoloso del virus. La grande metropoli di Wuhan, circa 11 milioni di abitanti, e la città di Huanggang sono state messe subito in quarantena, come in un film catastrofico proiettato negli ultimi decenni. La metropoli di Wuhan è completamente isolata e si presentano scene di completa desolazione, se si considera la sua solita attività commerciale, sempre attiva e frenetica.

La gestione del virus nel mondo

Quando parliamo della Cina, dobbiamo riferirci ad un “subcontinente”, più che a uno stato nazionale, per la grande estensione e varietà del territorio. Il nome di Wuhan potrebbe non dirci nulla, eppure solo dall’Italia vi sono tre voli giornalieri che portano direttamente in questa metropoli (proprio in questi giorni i viaggiatori che provengono da Wuhan sono sottoposti a controllo, come da protocollo stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità). Wuhan è il capoluogo della provincia dello Hubei, alla confluenza del Fiume Azzurro e del Fiume Han, formata da tre parti distinte, Wuchang, Hankou e Hanyang, chiamate solitamente le “Tre città di Wuhan” e collegate tra loro con ponti, tra i quali spicca il più moderno tra i ponti cinesi, conosciuto come il “Primo ponte”.

Come raccontano i giornali, l’atmosfera in questa vitale città è strana. Molti negozi sono rimasti con scarse risorse, per il fatto che molte persone si sono preoccupate di fare ingenti scorte, allo scopo di rinchiudersi in casa e di limitare il più possibile contatti con altre persone. I distributori di benzina sono stati presi d’assalto ed ai dipendenti pubblici è stato imposto di coprire bocca e naso con apposita mascherina, mentre le stazioni dei treni ancora aperte sono controllate dalla polizia che hanno il compito di monitorare lo stato di salute del personale. Nella regione dello Hubei sono state imposte restrizioni nella circolazione in ben 14 città, dove si ritiene che il virus sia maggiormente diffuso. Altre misure sono state prese in altre parti della Cina, come a Pechino dove sono stati annullati i festeggiamenti del capodanno cinese ed è stato limitato il traffico aereo e ferroviario. Nella capitale cinese è stata chiusa l’incantevole “Città proibita”, ma anche altri importanti luoghi di interesse culturale e turistico, tra cui il Museo nazionale, prospiciente sulla piazza Tiananmen e la Biblioteca Nazionale. A Shangai, altra metropoli cinese dalle dimensioni immense, chiude il parco Disneyland, per il timore del contagio di polmonite dal conavirus. A questi già indicati, si aggiunge un altro divieto altamente simbolico per l’orgoglio nazionale cinese: la chiusura di vaste zone della “Grande Muraglia”, una delle sette meraviglie del mondo moderno.

Il Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC) ha innalzato da “basso” a “moderato” il rischio dell’arrivo del virus in Europa, con l’intento di isolare al massimo la propagazione del virus, di cui è stato già segnalato qualche caso anche a Hong Kong, negli Stati Uniti, Singapore, Taiwan e Macao, mentre i soggetti sospetti arrivati nel nostro continente sono ancora sotto controllo.

I sintomi

Come abbiamo detto, questo virus appartiene alla famiglia dei coronavirus causando sintomi che possono partire dal raffreddore per degenerare perfino nella morte. La malattia provoca “polmoniti” con febbre elevata, tosse, malesse generale e gravi difficoltà respiratorie. Al momento, come è noto, non vi è un farmaco specifico curativo, per cui le persone fragili possono andare incontro alla morte e richiedono un trattamento di terapia intensiva, perchè la situazione non precipiti. Si potrà provare a ricercare un vaccino adeguato, ma ciò richiede parecchio tempo di applicazione e di studio.

Dai primi dati raccolti, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sembrerebbe che questo virus non determini un tasso di mortalità pari a quello della Sars, però appare più adatto alla trasmissione umana. In altre parole, sarebbe meno letale, ma molto più contagioso. Negli ultimi anni vengono scoperti continuamente nuovi virus che provengono principalmente dal mondo animale e che, mediante alcune mutazioni, riescono ad arrivare all’uomo. Per questo motivo, ora si punta il dito contro il “mercato di animali vivi” che in Cina, non solo è considerato lecito, ma fa parte delle transazioni commerciali quotidiane. Infatti, molti di coloro che hanno contratto questo virus lavoravano al mercato del pesce di Wuhan che comprende, tra i vari prodotti, anche la vendita di alcune specie di serpenti.

Secondo gli esperti, la Cina è un Paese molto esposto alla diffusione di questa tipologia di virus di origine animale, sia per il fatto di essere densamente abitato, sia perchè le persone vivono a stretto contatto con gli animali. Il problema più grande si riscontra quando il virus si sviluppa in modo da potersi propagare da uomo ad uomo, perchè diventa incontrollabile e, in considerazione della totale globalizzazione dei trasporti, può arrivare ad abbracciare l’intero pianeta. Gli esperti di tutto il mondo sono molto preoccupati ed anche in Italia i medici sono in allerta: a causa dell’emergenza mondiale, i medici che operano nelle grandi città, dove si trovano i grandi aeroporti internazionali, si stanno coordinando per evitare la tremenda eventualità che il contagio superi le nostre frontiere.

La paura di un’epidemia nell’immaginario collettivo

Il “virus cinese” accende alcuni incubi del nostro immaginario collettivo, anche perchè una disastrosa epidemia mondiale è stata spesso indicata come uno dei possibili motivi scatenanti la fine del mondo ed il termine della nostra civiltà da tanta cinematografia e letteratura, a cominciare dai flagelli descritti nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos. Numerosi zombie movie o zombie series, come 28 giorni dopo, World War Z, Contagious o The Walking Dead, narrano di un mondo straziato da una terribile epidemia, in cui i pochi sopravvissuti sono minacciati dalla maggioranza contaminata e prostrata in uno stato ferino di quasi totale disumanità. Il famoso Esercito delle 12 scimmie, interpretato da Bruce Willis e da Brad Pitt, ci porta, invece, in un lontano futuro dove i pochi sopravvissuti sono costretti a vivere nel sottosuolo, a causa di un pericoloso e dilagante virus che il protagonista cercherà di fermare, tornando indietro nel tempo.

Sul dramma e sulla sopravvivenza sono incentrate altre due famose pellicole, Contagion e Virus Letale. La prima, con Matt Damon e Kate Winslet, diretto da Sodernergh nel 2011, è forse una delle migliori pellicole sul tema del contagio mondiale, in quanto scevra da sovrastrutture troppo fantasiose e, per questo, più verosimile. La vicenda si sviluppa con la narrazione di un’epidemia che inizia ad espandersi rapidamente, mentre alcuni esperti mettono a repentaglio la loro stessa vita per contenere il contagio generalizzato, fornendo dettagli anche medico-scientifici non scontati in alcuni movie di serie b. Contagion ci fa ben comprendere come il mondo sia ormai diventato un “villaggio globale” ed i rischi si possano nascondere ovunque e con altissima possibilità di diffusione, senza che le autorità preposte abbiano i mezzi adeguati per fermarla.

La seconda pellicola, Virus letale, più datata perchè del 1995, interpretata da Hoffman, Freeman e Spacey, riguarda la lotta intrapresa da alcuni scienziati contro una forma evoluta di ebola che dall’Africa arriva negli Stati Uniti. Il film provocò un acceso dibattito sulla tematica animalista, in quanto la diffusione del virus era stata originata dal commercio illegale di scimmiette che nell’epilogo sarebbero state liberate nei boschi americani.

Di un certo pregio è anche il film The Bay che racconta lo scoppio di un’epidemia in una cittadina del Maryland durante i festeggiamenti del 4 luglio a causa dell’inquinamento, trasformando i contaminati in individui assetati di sangue. Il film, diretto da Levinson nel 2012, si impone come una decisa denuncia ambientalista che, nell’era della multimedialità, è espressa dagli stessi sopravvissuti, dai medici e dai media che possono documentare le atroci sofferenze in tempo reale.

Nella mia memoria è impresso Survivors-I Sopravvissuti, una serie britannica del 1975, arrivata qualche anno dopo in Italia e trasmessa dalla RAI con un altissimo indice di ascolto. Ricordo che guardavo gli episodi con la mia vorace curiosità di bambino, assistendo spaventato, ma in qualche modo anche affascinato, alle peripezie dei pochi sopravvissuti ad un’epidemia mortale (solo circa l’un per cento della popolazione mondiale), che tentavano di riorganizzarsi senza le comodità della vita moderna, cercandosi e costituendo piccole comunità. Il messaggio di questo sceneggiato era chiaro: nonostante l’uomo ritorni allo stato iniziale, per sopravvivere in un mondo dove le risorse scarseggiano e si lotta per l’acqua e per il cibo, è costretto a ricominciare da zero e a formare sodalizi capaci di garantire un minimo di protezione a ciascuno dei consociati.

Il confronto con le altre epidemie

Se si analizzano alcune coincidenze, possiamo trarne spunti di riflessione intreressanti. In questi giorni in Cina comincerà l’anno del “Topo”, secondo la suddivisione astrologica cinese. Non dimentichiamoci che furono proprio i topi, alla metà del quattordicesimo secolo che, attraverso le loro pulci trasmettevano all’uomo la peste nera. La terrificante epidemia, seguendo le principali ricostruzioni storiche, arrivò proprio dall’estremo oriente, passando per la Siria e fermandosi in Crimea dove l’Orda d’oro stava assediando la città di Caffa, importante snodo commerciale della Via della Seta. Si racconta che i Mongoli ebbero la brillante idea di risolvere il conflitto, lanciando con una catapulta i cadaveri dei propri commilitoni morti di peste. In realtà, questa geniale idea sortì soltanto l’effetto di diffondere il morbo.

I calcoli ci dicono che approssimativamente perse la vita circa un terzo dell’intera popolazione europea. Un cronista svedese racconta che le campane non suonavano più e nessuno aveva neanche la forza di piangere, ma si aspettava soltanto la morte. Eravamo nel Tardo Medioevo e ancora erano largamente diffuse le credenze, secondo le quali la devastante malattia non fosse altro che un flagello mandato da Dio per punire l’umanità. A tale proposito è giusto ribadire che l’uomo rappresenta la specie meno resistente in natura, quella più esposta ai fenomeni naturali e quella meno adattabile. Come ha affermato qualche studioso, se paragonassimo la vita del nostro pianeta ad una giornata di ventiquattro ore, l’uomo vi avrebbe fatto la sua comparsa “un minuto prima della mezzanotte”.

In epoca più recente, nella prima parte del XX secolo, si ricorda il flagello della “spagnola”, dimostratasi ancora più dannosa in quanto si diffuse contemporaneamente alla prima guerra mondiale. L’influenza prese il nome di “spagnola”, perchè le prime notizie relative alla sua diffusione partirono da alcuni giornali della Spagna. Si calcola che morì dal 3 al 6% per cento della popolazione mondiale, contagiando circa mezzo miliardo di persone ed uccidendone più di 25 milioni, anche se alcune stime arrivano fino ad individuare 50 milioni di vittime. E, nel dopoguerra, si sono succeduti altri virus di derivazione asiatica: nel 1957 un primo virus, fermato nel 1960 con l’elaborazione di un vaccino, provocando nel frattempo la morte di circa 2.000 di persone; nel 1968 la cosiddetta influenza di “Hong Kong”, un tipo di influenza di tipo aviaria, anche in questo caso portatrice di circa 2.000.000 di morti; nel 2003 la SARS, acronimo che sta per “Sindrome acuta respiratoria grave”, una forma atipica di polmonite apparsa sempre in Cina, capace di uccidere circa 800 persone, tra cui il medico italiano Urbani, il primo ad identificare il virus; nel 2009 fu la volta dell’influenza chiamata “suina” che contagiò molti pazienti anche in Italia, anche se l’allarme cessò quando fu chiaro che il tasso di mortalità collegato a tale virus era addirittura inferiore a quello di una influenza normale.

Le superstizioni

Non mancano coloro che ricollegano le nuove malattie alle profezie bibliche e diffuse presso altre civiltà antiche. Vi è da dire che, nonostante i giganteschi progressi nel campo medico avvenuti negli ultimi decenni, le malattie infettive, in generale, continuano a mietere molte vittime. Ciò è dovuto soprattutto all’altissima frequenza dei viaggi internazionali ed all’esponenziale crescita demografica che si registra, con alcune variazioni, in tutto il mondo. Questi due elementi combinati rendono le probabilità di diffusione di gran lunga maggiori rispetto alle epoche passate. Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso noto che sono in sensibile aumento i germi farmacoresistenti, quasi come se stessimo entrando in un’era post-antibiotica, nella quale molte infezioni potrebbero diventare incurabili e portare inesorabilmente verso la morte.

Sul fatto che sia stato proprio il serpente a mediare il coronavirus del pipistrello verso l’uomo, può ingenerare tante considerazioni sulla simbologia legata all’antichissimo rettile, da sempre presente nell’immaginario iconografico e culturale della storia dell’umanità. Il serpente come creatura astuta ed infida è presente nella Genesi, nell’episodio della tentazione di Eva, ma soltanto nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos sarà chiaramente identificato con Satana. In molte culture antiche il serpente era associato alla saggezza ed a poteri taumaturgici. mentre il suo cambiare pelle raffigurava la possibilità di raggiungere l’immortalità. Ma l’aspetto sgraziato e strisciante, imprevedibile ed adattabile ad ogni situazione, grazie alla sua forma allungata e snodabile, lo rende detestabile ai nostri occhi, soprattutto per il pericolo che può costituire il suo veleno. Si può dire che la simbologia del serpente sia così multiforme e variegata da comprendere in sé significati completamente opposti: bene e male, insidia e cura, fino a diventare emblema della professione medica nella forma del caduceo. Il serpente che porta il virus all’uomo assume, pertanto, un significato quasi paradigmatico per i più catastrofisti, quasi si trattasse di un “Genesi” rovesciata.

Il virus cinese, come si diceva all’inizio, ha risvegliato i sentimenti di angoscia collettiva sul possibile verificarsi di una pandemia globale, capace di minacciare le strutture della civiltà umana per come siamo abituati a considerarla. Sappiamo che una vera e propria “pandemia” si verifica quando il contagio di un virus interessa aree vaste del nostro pianeta, diffondendosi velocemente tra la popolazione. Una recente ricerca del Emering Risks and Research dei Lloyd’s di Londra ha evidenziato che la prospettiva di una pandemia globale non costituisce semplicemente “un rischio”, ma quasi “una certezza”. L’alea di incertezza, perciò, non riguarderebbe il “se” ma il “quando”.

Secondo un interessante studio sugli effetti economici pubblicato nell’autunno 2016 sul bimestrale di informazione e cultura, UpSide Risk, una pandemia simile alla “spagnola” del 1918 potrebbe provocare una riduzione del Pil mondiale fino al 10%, rivelandosi ancora più devastante in alcune zone geografiche. L’organizzazione Trust for American Health stimò, nel caso della Sars (una pandemia comunque decisamente contenuta), una perdita di oltre 40 miliardi di dollari nelle economie asiatiche. Si può dire, a tale proposito, che un rischio di pandemia rappresenti una seria minaccia non solo per la salute della popolazione, ma anche per la sostenibilità economica mondiale, in primo luogo con danni nelle aree più indigenti.

Vi è da aggiungere che, a partire dal 2015, l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica una lista annuale della cosiddette “malattie prioritarie”, cioè quelle che richiedono un’attenzione particolare per il loro altissimo potenziale epidemico. Nell’anno 2019, oltre virus mortali ormai noti come ebola, zika, sars, era stato inserito anche il misterioso Disease X, meglio conosciuto come “malattia X”. Il candidato più probabile sembrava fosse un nuovo tipo di influenza aviaria ed, invece, alla fine dell’anno si è diffuso questo ulteriore virus, ricondotto ai pipistrelli ed ai serpenti.

Un’altra preoccupazione costante ed inquietante, come emerge non solo da fiction letterarie e cinematografiche, ma anche da indagini versomili, è la possibilità che un determinato virus possa essere deliberatamente sviluppato e diffuso dall’uomo come arma batteriologica. Nell’ambito del diritto internazionale, la Convenzione sulle armi biologiche del 1972 proibisce, in maniera categorica, la produzione e la conservazione delle armi batteriologiche, anche se si ritiene che alcuni Paesi, come la Corea del Nord, siano in possesso di circa 12 agenti patogeni (il numero ha valore solo indicativo), tra cui antrace, vaiolo e perfino il bacillo della peste.

Ci auguriamo che la situazione in Cina torni alla normalità ed, ovviamente, che il contagio non si diffonda in altre parti del mondo, anche se alcuni casi, come già segnalato, sono stati individuati in altri Paesi e si tratta soltanto di quelli verificati con certezza. La situazione drammatica che si sta verificando in Cina, con la quarantena di Wuhan e di altre città della regione dello Hubei, appare surreale e, come riportano i rotocalchi cinesi, si evoca lo spettro della “fine del mondo”. Una quarantena così estesa, in tempi moderni, si era vista solo in Sierra Leone nel 2014 per fronteggiare il contagio di ebola, ma bisogna considerare che la sola città di Wuhan supera di gran lunga il numero di abitanti del Paese africano. Il Global Times, quotidiano di Pechino, intitola “Onore alla popolazione di Wuhan per il suo sacrificio”. La bella città dei due fiumi che sorge nel cuore della Cina, nella regione dello Hubei, diventa l’emblema degli inevitabili contrasti della nostra società, ormai denominata “post-moderna”: globalizzazione ed isolamento, sacrificio e solidarietà, contagio e cura….

3 comments

  1. Più che Sindrome Cinese a me a riportato alla mente il film Contagion del 2011, con Gwyneth Paltrow, Matt Demon e tanti altri attori famosi, parla proprio di un virus influenzale che partiva dalla Cina a causa di un pipistrello. La cosa curiosa è il passaggio del virus dal pipistrello all’uomo. Sto sperando che lo diano in tv in questi giorni.

  2. Luca, grazie del commento, infatti Contagion è menzionato nell’articolo, mentre il riferimento a “sindrome cinese” è spiegato nel preambolo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.