Nellie Bly, la donna che inventò il giornalismo sotto copertura

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New York, settembre 1887

È una notte umida come tante altre a New York; una giovane esile e di bell’aspetto chiede asilo in una casa di accoglienza per donne lavoratrici. La donna si chiama Nellie Brown e non si discosta certo di molto dalla tipologia di persone che frequentano il posto. Il tempo di mettersi a tavola per la cena, però, e subito il comportamento della giovane appare peculiare. Si rifiuta di mangiare, risponde alle domande in modo evasivo e sembra spaventata da tutto e tutti; non basta, mette in agitazione prima le compagne a tavola, poi l’intero stabile quando – anziché dormire – inizia a sostenere che le altre pensionanti siano pazze.

Qualcosa non va, e l’ordine è talmente turbato che all’alba viene chiamata la polizia.

Negli Stati Uniti di fine ottocento non era così difficile finire in manicomio – specie per una donna – e Nellie viene ben presto portata davanti a un giudice. In tribunale la donna reitera i suoi bizzarri comportamenti. Un medico la visita, poi uno psichiatra e infine il capo del Bellevue, famigerato istituto d’igiene mentale. Il verdetto è unanime: Nellie Brown è pazza, per il suo bene va subito internata in un sanatorio femminile. Quello del Women’s Lunatic Asylum sull’isola di Blackwell, per l’esattezza.

Anche il Sun e il New York Times si occupano del caso della misteriosa donna.

Ma chi è veramente Nellie Brown?

Pittsburgh, 12 gennaio 1885. Due anni prima.

È da poco iniziato l’anno quando sul Dispatch, un giornale di Pittsburgh diretto da George Madden, appare un editoriale a firma Erasmus Wilson, un giornalista abbastanza in voga nella zona. Il pezzo si intitola “What Girls Are Good For” e, con un tono tra l’ironico e l’allarmista, si chiede a cosa servano le ragazze. Pare che nell’America tutta si vada diffondendo una mostruosa piaga, quella delle giovani donne che pretendono di lavorare anziché rimanere a casa ad occuparsi delle mansioni a loro deputate; quelle – per citare Wilson – a cui “servono”.

Nonostante la Pennsylvania dell’epoca non possa certo definirsi la patria del femminismo e della parità di genere, l’articolo suscita un vespaio; Wilson ha esagerato perfino per un tempo di non così larghe vedute. Il Dispatch è invaso dalle lettere di protesta.

Nel mucchio, una attira l’occhio competente di Madden.

È firmata da tale Lonely Orphan Girl, ed è talmente ben scritta e argomentata, che il direttore – evidentemente anch’egli di vedute non così ampie – si convince che l’abbia scritta un uomo. Un uomo talmente bravo da meritarsi la convocazione e l’offerta di scrivere per il giornale.

Possiamo solo immaginare la sorpresa di George Madden quando a presentarsi al suo cospetto è una giovane, esile e battagliera, che risponde al nome di Elizabeth Cochran.

Nonostante lo pseudonimo da romanzo dickensiano e le proteste del direttore, Elizabeth è una ragazza talmente volitiva da entusiasmarsi di fronte alla prospettiva di scrivere per lavoro; in poche parole, il posto è suo, a dispetto di qualsiasi previsione.

Con una trovata di Madden – atta anche a creare un alone di mistero verso una figura femminile difficilmente accettabile – nasce lo pseudonimo di Nellie Bly, preso di peso da una vecchia canzone (Nelly Bly) e complice un errore di trascrizione.

Nelly Bly! Nelly Bly!
Bring de broom along
We’ll sweep de kitchen clean, my dear
And hab a little song
Poke de wood, my lady lub
And make de fire burn
And while I take de banjo down
Just gib de mush a turn

Burrell, 5 maggio 1864. Più di vent’anni prima.

Elizabeth Cochran è nata a Burrell circa vent’anni prima. È figlia di Michael Cochran, un commerciante del posto che, partendo da un mulino, ha costruito il suo piccolo impero. Cochran è una persona talmente saggia e benvoluta che viene eletto giudice onorario; non sa nulla di diritto, ma all’epoca un po’ di buonsenso basta per dirimere le piccole liti di paese. Quando la moglie muore, Michael ne è distrutto, tanto da risposarsi dopo appena un anno e ricominciare l’opera di riproduzione dell’originale, giunta allora a dieci figli. Mary Jane, la nuova moglie, porterà cinque pargoli alla causa. Tra questi, la piccola Elizabeth, che tutti chiamano Pink – per il vezzo materno di vestirla di rosa da capo a piedi – e che terrorizza tutti i paesani con la sua insaziabile vitalità e curiosità. Ama alla follia il padre, Pink, ricambiata, in un rapporto che ricorda quello tra Atticus e la figlia de Il buio oltre la siepe. Quando il padre muore per un ictus, Mary Jane si risposa con un uomo violento e dispotico, tanto che Elizabeth, appena adolescente, darà la sua decisiva testimonianza nella successiva causa di divorzio.

Quando ottiene il lavoro da giornalista, la futura Nelly Bly sta cercando senza successo di diventare maestra per risollevarsi dalla miseria.

In breve tempo la donna inventa un modo nuovo di fare giornalismo. Una reporter d’assalto, la definiremmo oggi. Una serie di inchieste sulle condizioni lavorative femminili fanno inizialmente la fortuna del Dispatch, con le vendite che raddoppiano. Dura poco. Gli inserzionisti del giornale – ovviamente – non amano che si getti fango sulle fabbriche locali e minacciano di chiudere i cordoni delle borse se Nelly non sarà ricondotta nei margini, ovvero a occuparsi di giardinaggio, moda e mondanità. Temi più adatti a una donna.

Nelly, altrettanto ovviamente, non ci pensa nemmeno, e una mattina, al suo posto non c’è nessuno, solo un biglietto che recita: “Sentirete parlare di me…”

Di nuovo New York, settembre 1887

L’idea della volitiva Nellie è quella di portare la sua penna a New York, ma l’impatto con la grande metropoli è traumatico: una serie di porte le vengono sbattute in faccia.

Ma la giovane sembra avere sempre un asso nella manica. E questa volta, l’asso, lo tiene da parte per quando andrà a bussare all’ennesima porta, la più prestigiosa: il New York World di Joseph Pulitzer.

L’idea è semplice quanto pericolosa: da tempo si parla delle condizioni disumane del Lunatic Asylum di Blackwell Island. Ne parlò addirittura Charles Dickens, anni prima, nelle sue note di viaggio americane. Nellie progetta di fingersi pazza per farsi ricoverare nel manicomio e descrivere dall’interno la vita delle pazienti.

Pulitzer sa riconoscere una buona storia e, con coraggio e forse un po’ d’incoscienza, l’impresa prende le mosse.

Nellie si allena davanti allo specchio di casa e quando si sente una pazza credibile mette in scena il personaggio di Nellie Brown.

L’impatto con Blackwell Island è più duro delle previsioni:

“Battevo i denti e tremavo, il corpo livido per il freddo che attanagliava le mie membra. All’improvviso, tre secchi di acqua gelida mi furono versati sulla testa, tanto che ne ebbi gli occhi, la bocca e le narici invase. Quando, scossa da tremiti incontrollabili, pensavo che sarei affogata, mi trascinarono fuori dalla vasca. Fu in quel momento che mi sentii realmente prossima alla follia” – scriverà Bly in Dieci giorni in manicomio, ricordando il bagno a cui viene subito sottoposta.

Il vitto è insufficiente e di pessima qualità, a volte i cibi sono al limite del marcio; le donne ricoverate sono svegliate prestissimo e obbligate a passare tutto il giorno sedute su una panca senza schienale; devono occuparsi delle pulizie al posto del personale preposto e sono sottoposte a qualsiasi tipo di maltrattamento fisico e psicologico.

Nellie realizza che chiunque, anche perfettamente sano di mente, impazzirebbe con un simile trattamento; cosa che è probabilmente accaduta ad alcune sue compagne.

“Solo la tortura può portare alla malattia mentale più velocemente di un tale trattamento. Il manicomio sull’isola di Blackwell è una trappola per topi. È facile entrare, ma una volta dentro è impossibile uscire.”

L’inchiesta di Nellie si rivela un grande successo ed è anche in grado di smuovere le acque. I controlli saranno più severi e le sovvenzioni per istituti di quel tipo verranno aumentate immediatamente di un milione di dollari.

New York, St. Mark Hospital, 27 gennaio 1922

Sono passati esattamente 37 anni dal famoso editoriale di Erasmus Wilson; chissà se l’uomo avrà avuto occasione di capire come il suo articolo, che si riprometteva di rimettere al loro posto quelle donne che osavano sperare in qualcosa di più che fare figli e faccende di casa, abbia in realtà avuto un esito totalmente opposto. Elizabeth Cochran, che con ogni probabilità senza il pezzo di Wilson sarebbe diventata un’anonima maestra di provincia, inventandosi Nellie Bly ha inventato anche il giornalismo femminile, oltre a quello sotto copertura, divenendo il faro di tante donne che in lei hanno visto un esempio da seguire.

Dopo il pezzo sul manicomio, Nellie proseguì con altre inchieste sotto copertura, indagando il mondo delle carceri, dello sfruttamento delle donne e del mondo delle domestiche. Fino a quando Pulitzer le propose una nuova sfida, replicare nella realtà il romanzo di avventure più celebre dell’epoca: Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne.

Anche quella volta Nellie accettò, infrangendo il tabù di una donna che gira da sola per il mondo. Attraversò anche il nostro paese per arrivare a Brindisi, dove ci si imbarcava per le Indie; incontrò e intervistò ad Amiens Jules Verne, che la definì “giovane, carina e snella come un fiammifero”; viaggiò con qualsiasi mezzo dal treno alla nave, fino al dorso d’asino. E, soprattutto, completò l’impresa battendo il record di fantasia di Phileas Fogg, compiendo il suo giro del mondo in settantadue giorni, sei ore, undici minuti e quattordici secondi.

Dopo uno sciagurato matrimonio tornò a dedicarsi al giornalismo durante la Prima Guerra Mondiale, diventando – manco a dirlo – la prima donna corrispondente di guerra.

Elizabeth Cochran, alias Nellie Bly, alias Nellie Brown, Pink e chissà quante altre, si spense ancora relativamente giovane, a 57 anni, il 27 gennaio del 1922, al St. Mark Hospital di New York. Dopo aver cambiato il modo di guardare alle donne e aver vinto tutte le battaglie che si era prefissa, a batterla fu una polmonite trascurata.

Come una comune mortale.

One comment

  1. Me la fece scoprire Massimo Cirri durante un “Caterpillar” di alcuni anni fa, su radio 2.
    Che grande donna, ogni sua nota biografica mi suscita un’ammirazione senza confini.
    Splendido articolo, in ogni caso; e un personalissimo grazie per aver riacceso un faretto su di lei e di essertene occupato così bene.

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