E se Mike Oldfield fosse il precursore di Cubase?

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Capita a chiunque di girovagare su Youtube per motivi disparati, dal semplice desiderio di recupero e selezione di videoclip o brani musicali da voler riascoltare in maniera quanto più immediata arrivando alla ricerca, per il bene pubblico o personale, di materiale d’archivio anche alquanto raro o comunque più o meno d’epoca. Al sottoscritto, però, è capitata una cosa molto ma molto interessante.

Qualcuno ricorderà il caso del frammento di pellicola ipoteticamente risalente al 1928 e ritraente una donna al cellulare (fattore prontamente smentito e, in questo, dimostrato a dovere dalle varie analisi apportate al clip). L’attenzione di moltissimi si incentrò su come fosse possibile l’esistenza di un cellulare a quell’epoca e su quanto altro di anche ridicolmente proponibile in termini di dibattito. Altri, però, si soffermarono semplicemente a riflettere un po’ in termini di “impressione” che la cosa faceva. Come guardare un film quale The others The ring, tanto per dirne qualcuna, e rimanerne spaventati non per ciò che si vede ma per ciò che si percepisce inconsciamente, in quei casi la paura del diverso in quanto appartenente ad un’epoca trascorsa e mai direttamente vissuta, quindi non percettibile su livelli di vita quotidiana. Quello che stiamo per descrivere, qui, però, non è né falso né ricostruito con programmi di video editing o talentuose architetture concettuali.

Veniamo al dunque. Guardate bene l’immagine inserita all’inizio di quest’articolo: si tratta di un semplicissimo screenshot di quelli che è possibile fare col fatidico tasto “Stamp R Sist” e con l’ausilio del buon vecchio “Paint” per copiare, incollare e ritagliare ciò che si desidera. Ci si imbatte in tale immagine se si recupera in maniera scientifica l’operato di uno degli artisti musicali europei più interessanti della seconda metà del ‘900, vale a dire Mike Oldfield (per capirci: l’autore, all’epoca a mala pena ventenne, di Tubular bells, colonna sonora del celeberrimo film L’esorcista, l’artefice delle fortune della Virgin Records per tramite di dischi di difficile ricezione eppure entrati nelle classifiche per quanto folk-prog-new age o, se preferite, anche l’autore di quella canzone pop perfetta che risponde al titolo di Moonlight shadow). Cercando per curiosità, proprio su Youtube, interviste o frammenti d’archivio, ci si imbatte in un video: una clip che, tra live, interviste e materiale di repertorio, immortalava lo stesso Oldfield, giovanissimo, concentratissimo nella fase di missaggio del suo terzo album, il bellissimo Ommadawn del 1975 (osservare gli artisti apprezzati mentre lavorano ha del sublime, in certi casi). Il video, interessantissimo, scorre, scorre, scorre e poi… minuto 6:09. Fermi tutti.

Mike Oldfield talks in the studio mixing Ommadawn

Guardate quella foto in alto, si diceva. Guardate cosa ha davanti Oldfield, poggiato sul banco di missaggio. Si dirà che, sì, è uno spartito o una raccolta di appunti tecnici come quelli che chiunque usa per ricordarsi di regolare a un certo livello il volume in quel punto lì del master, o fare una sovraincisione in quell’altro frangente, o cambiare questo e spostare quello e via discorrendo. Certamente. Ma che tipo di spartito è? La qualità dell’immagine è ovviamente scarsa perché presa da un video televisivo d’epoca (che alleghiamo qui di seguito in modo da permettervi di vedere anche altre inquadrature sull’oggetto in questione, oltre che di ammirare soprattutto la bellezza delle composizioni), ma provate comunque a guardare bene. Cosa sono quei segni colorati su quel foglio? E perché proprio quel foglio è più largo che lungo?

L’idea istantanea che balza alla mente di chi considera già Mike Oldfield come un mezzo genio per vari anche se sindacabili motivi va direttamente in una direzione ipotetica per quanto precisa: che Oldfield sia stato una sorta di precursore della struttura dei vari programmi di registrazione digitale come Cubase, Logic e derivati o precedenti?

Osservate come i singoli frammenti colorati (poi identificabili come tracce riferite ad ogni singolo strumento: in quei casi Oldfield suonava praticamente tutto) siano disposti in netta successione o sovraimpressione temporale… esattamente come oggi appare uno schermo di personal computer nel momento in cui fa lavorare un qualunque programma di registrazione audio digitale. Non solo ma, esattamente come la successione temporale di un originario spartito musicale fa sia per la successione cronometrica che per la sovrapposizione minuziosamente trattata degli intrecci tra i vari strumenti, quei segmenti disegnati e colorati a mano sembrano proprio essere l’esatto equivalente della disposizione delle partiture sonore su un qualunque programma di registrazione digitale. Quel foglio più largo che lungo, insomma, sembrerebbe essere praticamente l’antenato dell’organizzazione di acquisizione sonora attuale.

Siamo nel 1975. Qualche casa di produzione tecnologica già operava sperimentazioni sonore seminali sui primi sintetizzatori Moog e sulla possibilità di ridurre di molto le dimensioni dei calcolatori già esistenti ma occupanti intere stanze con macchinari e cavi. Però non esisteva ancora la vera e propria interfaccia grafica che tutti i programmi hanno oggi, cioè la successione di frammenti visibili (non puri algoritmi o successioni di 0 e 1) anche colorati e, nel caso attuale, raffiguranti le frequenze delle onde sonore dei suoni registrati e successivamente mixati. Sì, gente come Frank Zappa o Peter Gabriel avrebbe registrato o, talvolta, direttamente composto le proprie opere direttamente in digitale. Ma lì siamo già negli ’80 (Zappa usava il Synclavier che, aveva, sì, la successione temporale ma non l’interfaccia grafica di quel tipo, appunto).

Che Mike Oldfield sia, dunque, stato precursore e antenato della struttura degli attuali programmi di registrazione digitale? Sembrerebbe quasi di sì, giudicando da questo.

Articolo pubblicato originariamente su Motel Wazoo e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione.

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