Lucio Battisti: quando l’ideologia rischia di uccidere la musica

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Amato da Paul McCartney, David Bowie e Pete Townshend, che hanno sempre riconosciuto in lui un talento smisurato. Eppure in Italia è stato odiato, deriso, dileggiato. Stiamo parlando di Lucio Battisti.

“Io non accetto il ‘sistema’ che regola la musica italiana, non ne accetto le pastette, gli intrallazzi discografici, la pubblicità, gli scandali e scandaletti studiati a tavolino. Mi sono bastate quelle poche manifestazioni a cui presi parte anni fa, per capire in che razza di fossa dei serpenti rischiavo di finire. Quindi, ho chiuso”.

A un certo punto smise di apparire, di esserci, se non attraverso la sua musica. Troppo stanco di un sistema discografico finto, di un mondo giornalistico che, per vendere copie, cercava lo scandalo ovunque, inventandosi storie assurde.

Era un uomo estraneo al pensiero dominante, sensibile, riflessivo, divoratore di libri di scienza e di fumetti, fumettista egli stesso, se ne fregava dell’apparenza e delle mode.

È grazie a lui che abbiamo un modello di canzone autoctono e moderno che non è la brutta copia di quello anglosassone, o la pallida e ridicola imitazione del rock.

I messaggi delle sue canzoni erano veri, parlavano di vita con tutte le luci e le ombre che essa genera in ognuno di noi. Parlava di amore coniugale ma anche di sesso esplicito, di istinti, e questo alla DC non piaceva, specialmente per il plateale assenso al divorzio e il fatto che lui convivesse con la donna madre di suo figlio senza volersi sposare. Al sistema non andava bene nemmeno per come si vestiva e per come (non) si pettinava.

La verità è che non potevano sopportare che non si fosse uniformato, che non leccasse il c*lo. Non sopportavano che senza ospitate in tv o in radio, senza grosse campagne pubblicitarie, i suoi dischi stessero per settimane intere in classifica, ai primi posti. Di fronte all’evidenza e all’enormità del fenomeno, la stampa non poteva non parlarne però lo fece a suo modo. E così Lucio Battisti “è un antipatico, tirchio, superbo, presuntuoso, più o meno odioso a seconda dell’ora in cui lo incontri”. E ancora: “un tipo aggressivo, e complessato, una voce monotona, fastidiosa; è privo di originalità, sgraziato, ovvio, e mediocre”.

Sono arrivati anche ad accusarlo di essere fascista. Una diceria nata secondo alcune voci per vendicarsi di un “no” rifilato da Battisti a qualche capetto PCI che lo voleva sul palco della festa dell’Unità. Per alimentare questa voce si giocò sul verso ‘boschi di braccia tese’ presente nel brano La collina dei ciliegi. Sembra incredibile. Eppure è successo proprio questo in un paese ancora impregnato di divisioni ideologiche.

Hanno fatto illazioni anche sul suo legame con Mogol. Sui giornali si diceva che stavano troppo insieme, e chissà a far che, e su un Tv Sorrisi e Canzoni del 1971, troviamo che “quei due, si plagiano, li diresti fidanzatini di primo pelo”, e il loro famoso viaggio a cavallo, da Milano a Roma, “è il loro viaggio di nozze”.

Un non personaggio, un vero artista, capace di andarsene per mesi negli Stati Uniti, in Sudamerica, a Londra, a studiare musica, a sentire, vivere le note, assimilarle per poi infonderle e plasmarle nei suoi dischi, perché, come diceva, “guai a fossilizzarsi, bisogna uscire dai soliti e limitati schemi”. È per questi viaggi, e relativa apertura mentale, che sono nati album epocali che infrangono tabù ancestrali e sono ricchi di dotte e innovative sperimentazioni musicali.

Album zeppi di temi politici seri: l’ambiente, la presa di coscienza identitaria, la violenza, in ogni sua forma, anche mentale e ideologica.

Come riporta Mogol in un’intervista rilasciata all’Ansa: “Lucio Battisti non è mai stato interessato alla politica. E io ne sono un testimone diretto: con me non ne ha mai parlato”. Nell’intervista Mogol va alle radici di cosa significasse essere un cantautore negli anni ’60 e ’70, in cui la lotta politica era al centro della vita universitaria e dei partiti, e la canzone di protesta si affermava (anche all’estero) come una delle voci più dirette dei movimenti. “Negli anni ’60 e ’70, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista. Ma io e Lucio eravamo semplicemente disinteressati alla politica e quando si votava, lo si faceva per il meno peggio. Preferivamo raccontare il privato”, continua Mogol.

Il tempo non è poi tanto cambiato. C’è sempre la voglia di contrapposizione, il bisogno di etichettare a ogni costo le persone. Sei di destra o di sinistra? Sono uno spirito libero, un figlio dell’immensità. Come Lucio.

Dentro ognuno di noi c’è una “collina dei ciliegi”: un sogno, un piccolo o grande progetto che ci fa sentire un po’ titubanti o addirittura impauriti e così rischiamo di rinunciarci per paura di fallire.

Dovremmo invece trovare il coraggio di salire su quella collina per vedere oltre l’immenso della nostra anima, per capire di cosa abbiamo realmente bisogno e per ritrovare più fiducia nelle nostre possibilità.

Solo così potremmo respirare brezze che dilagano su terre senza limiti e confini evitando che la paura inquini e uccida i sentimenti.

3 comments

  1. Sono pienamente d’accordo su tutto il profilo generale riguardo la vita del ‘grande’ Lucio cantautore se posso dire inequivocabile non una bellissima voce ma riusciva a penetrate nei cuori tutti il significato della vita dei sentimenti dell’amore con parole chiare trasparenti trasmetteva il vissuto il vivere nelle cose semplici coinvolgendo ogni persona di qualsiasi età e ceto sociale. Grazie per quello che hai saputo trasmettere con le tue parole facendoci innamorare piangere e sorridere Lucio e Mogol insieme hanno fatto la storia della musica italiana e del mondo. In quanto alle cattiverie se così si può dire nei confronti di Lucio che non si meritava, le definirei insensate oggetto d’invidia ignoranza egoismo da parte di coloro che non avendo ottenuto i propri interessi vogliono guadagnarci sulla sua pelle una parte da protagonista con profitti economici fregandosene delle conseguenze che avrebbe avuto. In finale il grande LUCIO ha lascito un segno a molti di noi, voi parassiti passate e nessuno vi ricorderà.

  2. molto bello questo articolo, molto vero. ho sempre ascoltato questo cantautore, ero ragazza e confermo che ha lasciato un segno tangibile dentro di me. ora che finalmente passano in Spotify i suoi album riesco a comprendere quanto fosse oltre in quei tempi e quanto ancora oggi mi emoziono nel sentire alcune canzoni. grazie per l’articolo, apprezzato.

  3. Sono d’accordo sull’aspetto politico.
    Si contesta solo la mentalità maschilista di mogol che appare molto chiaramente in tutte le canzoni e soprattutto in “la canzone della terra”. Questo significa che non ha contribuito all’evoluzione del pensiero. Che sia stato un grande genio non si mette in discussione.

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