Martha: capire Tom Waits attraverso una cover di Tim Buckley

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Ascoltare una cover non pienamente riuscita del grande Tim Buckley per capire la musica di Tom Waits. Sì, proprio loro: due personaggi che solitamente nessuno accosterebbe mai, perché così diversi e distanti. Due voci in enorme contrasto (tanto angelica la prima quanto sporca e “dannata” la seconda), modi diversi di scrivere, arrangiare, ma soprattutto di tentare di emozionare l’ascoltatore.

Tim Buckley - Martha

Eppure, Martha (da Closing Time, debutto di Waits del 1973) al navigatore delle stelle doveva piacere molto. Buckley era in quel periodo difficile che arriva quando hai da poco pubblicato due dischi considerati dei capolavori come Lorca e Starsailor. Né quest’album, Sefronia, né il successivo Look at the Fool vengono considerati all’altezza. Ma la sua interpretazione di Martha, in qualche modo, si fa spazio dal resto e si fa ben distinguere. Tutta la malinconia viene accentuata al massimo dalla presenza esagerata degli archi, co-protagonisti della canzone insieme alla voce di Tim, lirica e piena di emozione. Tantissima enfasi, a cui basta veramente poco per divenire improvvisamente troppa.

Tom Waits - Martha (album version)

Tim Buckley, in un certo senso, ci fa rendere conto di quanto certe canzoni di Tom Waits, denudate dalle loro vesti inconsuete, abbiano tutti i requisiti per finire (solo per fare un esempio) sul palco dell’Ariston, e vincere una qualunque edizione di Sanremo. Ma quanti potrebbero conoscere il segreto per farti venire ogni volta gli occhi lucidi? Solo lui.

Un’introduzione affidata al pianoforte, forse leggermente scordato, che con pochi accordi inventa da zero un’atmosfera sognante da zero, e poi quell’attacco con una voce bassa e quasi narrante, recitata, così funzionale alla canzone e al contesto descritto. Si pensa spesso il contrario, ma germi di teatro nelle canzoni di Waits c’erano da ben prima di quel folle Swordfishtrombones. Gli archi ci sono, ma mai protagonisti, seguendo delicatamente il crescendo della storia di questo Tom Frost che chiama al telefono un vecchio e fortissimo amore di gioventù, ormai sposata e con una famiglia, ripercorrendo ricordi ed emozioni.

Un crescendo di finti sorrisi e dolci considerazioni sul passato, che si conclude magistralmente con quel “Martha, Martha…I love you can’t you see?”, colpo di scena sul finale di una canzone-racconto unica. Waits la scrive solo a 24 anni, dimostrando una maturità incredibile, e, sicuramente, quella capacità di rubare le storie ai tanti sciagurati che si aggiravano nei locali notturni dove suonava, tipica di quei Piano Man che cantava Billy Joel in quegli stessi anni. Waits si differenzia perché ci mostra una semplicità che è disarmante, supera ogni barriera e quando meno te lo aspetti colpisce basso. Non è una capacità da tutti.

Poi l’ultimo verso, che Buckley omette tralasciando qualcosa di meraviglioso:

E ricordo sere silenziose

A tremare vicino a te

(Articolo completo apparso originariamente su Piramide Capovolta e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione)

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