Point Break: tra rapine e surf, inseguendo l’onda perfetta

Kathryn Bigelow ha inseguito molto spesso quel successo e riconoscimento dalla comunità hollywoodiana, soprattutto con i suoi ultimi lavori, intessendo trame seppur interessanti ma destinate al solito “americanismo” portatore di pace e democrazia. Ma ad i suoi esordi riuscì certamente a costruire pellicole di grandissimo spessore, che sicuramente hanno segnato gli anni Novanta. Una di queste è Point Break – Punto di rottura.

Il titolo è preso da uno slang puramente surfistico che rappresenta il punto preciso in cui l’onda picchia sulla roccia o sulla sabbia. Proprio questa dimostrazione della natura funge da parabola per il carattere dei due protagonisti, che si inseguono eternamente nella pellicola diventando persino amici. Uno dei due è un giovanissimo e quasi esordiente Keanu Reeves, all’epoca conosciuto solo nei circuiti indipendenti e con l’ultimo ruolo all’attivo in una sorta di pellicola fantascientifica e dai forti paradossi temporali dal titolo Bill & Ted’s Excellente Adventures, dove interpreta un liceale di provincia un po’ credulone. Quel ruolo rischiò però di impedirgli di essere nella pellicola della Bigelow, proprio perché la produzione in realtà cercava attori più affermati come Val Kilmer o Johnny Depp (tra l’altro fortemente influenzati dal fatto che il pubblico avrebbe potuto identificare il nuovo personaggio con il liceale sciocco), ma grazie alla perseveranza della regista stessa Reeves ottenne quel ruolo.

Questa scelta segnerà la fortuna di entrambi, con la Bigelow lanciata a piena velocità e che darà qualche anno più tardi di nuovo prova di abilità con Strange Days, una distopica pellicola scritta e prodotta da James Cameron, all’epoca suo marito. Quest’ultima è in realtà una visione molto rappresentativa e non si distacca più di tanto dall’epoca attuale, con una morale ambigua ed immersa nel puro egoismo, con un magnifico ed esoterico Ralph Fiennes. Point Break, invece, ha l’ulteriore merito di confermare uno smagliante Patrick Swayze, che dopo lo strappalacrime Ghost di Jerry Zucker intraprende la strada del surfista rapinatore con grandissimo successo, consegnandolo alla storia con un ruolo d’azione che aveva già accarezzato con Il duro del Road House alla fine degli anni Ottanta.

L’eccezionale inseguimento per le vie losangeline dopo una delle tante rapine degli “ex-presidenti” (i surfisti indossavano le maschere di Richard Nixon, Jimmy Carter, Ronald Reagan e Lyndon Johnson) si spegne in un testa a testa in un canale idrico vuoto dai forti connotati psicologici. Il continuo confronto tra Bodhi/Swayze con la morte è un tema che la regista di San Carlos riprenderà quasi due decenni dopo in The Hurt Locker e con il suo sergente William James, l’Occhio di Falco dell’ormai infinita saga Marvel, Jeremy Renner.

L’adrenalina che permea tutta la pellicola, non scadendo mai alle facili sparatorie ed esplosioni (cosa di cui oggi se ne fa abbondantemente uso, ovviamente smodato), è l’ennesima lode per un film che annovera tra l’altro nel suo cast un certo Gary Busey nel ruolo di Angelo Pappas, un agente dell’FBI attempato reduce del Vietnam che per primo fiuta la teoria dei rapinatori surfisti. D’altronde, lui surfista lo fu nel film di John Milius Un mercoledì da leoni, dove peraltro riuscì a scampare alla leva obbligatoria alla volta dell’ex – Indocina. Le inquietudini di Johnny Utah/Reeves come infiltrato ricordano l’analogo ruolo di Sean Penn nel film di Phil Joanou Stato di grazia, anche lui infiltrato da poliziotto nella comunità irlandese di Hell’s Kitchen impietosamente divenuta Clinton: un’operazione di cancellazione della memoria collettiva dovuta alla cosiddetta modernità e riqualificazione, o almeno così dice un quasi irriconoscibile Gary Oldman.

L’enorme successo ha consacrato Point Break come uno dei migliori polizieschi del decennio ed in molti hanno provato ad emularlo con fortune alterne, complice anche le magnifiche riprese della maestosità dell’oceano e delle spiagge californiane, dove i surfisti acquisiscono quella dimensione Punk-rock che li rende leggendari. A proposito di punk rock, nella pellicola compare anche Anthony Kiedis, cantautore e cofondatore dei Red Hot Chili Peppers, nel ruolo dell’ennesimo surfista che fa anche lo spacciatore, ed insieme alla sua combriccola tenta di assalire Reeves. Il film attinge molto da diversi gruppi alternative-rock per la colonna sonora, come i Concrete Blonde e la loro I want you, Sheryl Crow, ma anche If 6 was 9 di Jimi Hendrix, come in Easy Rider, così a cullare quel periodo magnifico della rivoluzione dei costumi che fece di quegli anni epici.

Il finale, con i fotogrammi della grande mareggiata presi in prestito da Milius, rispecchiano quella voglia di libertà e di evasione dai canoni prestabiliti da una società sempre più stringente ed asfissiante, con un Bodhi che non solo metaforicamente svanisce tra le onde. Forse di un’epoca, forse dalla vita.

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