Paul Cézanne: la vita, lo stile, l’ispirazione della natura

“Ho voluto legare le linee fuggenti della natura” confessava Paul Cézanne, nato nel meridione della Provenza, in Francia, il 19 gennaio 1839 in seno a una famiglia di origini italiane. La sua carriera scolastica prese avvio tra il 1844 e il 1849 nella natia Aix, dove trascorse anche gli anni degli studi alle superiori, incontrando Émile Zola ; un’amicizia pregna di una devastante bellezza, che protese dolcemente Cézanne verso un interesse per la letteratura (declinato nel tempo in una parabola ascendente).

“Avevamo libri in tasca e nelle borse. Per un anno, Victor Hugo regnò su di noi come un monarca assoluto. Ci aveva conquistato con le sue forti andature di gigante, ci rapiva con la sua retorica potente”

E dalla passione per Victor Hugo passarono a quella per Alfred de Musset: “Musset ci sedusse con la sua spavalderia di monello di genio. I Racconti d’Italia e di Spagna ci trasportarono in un romanticismo beffardo, che ci riposò, senza che ce ne rendessimo conto, del convinto romanticismo di Victor Hugo” diceva, ed era sua abitudine includere nelle sue digressioni Zola, uno degli “Inseparables”, assieme a Jean-Baptiste Baille. Ma fu nel periodo immediatamente successivo alla partenza da Aix di Émile che Cézanne, ispirato un po’ dal gelo di un epistolario fitto di disegni e parole, un po’ dalla loro sempiterna amicizia, consacrò il suo operato all’arte, votandosi spontaneamente alla materia che lo avrebbe poi reso “Cézanne” e non più, solo, “Paul”. Ed infatti, in barba alle aspirazioni del padre di vederlo indossare la toga giudiziaria e spronato dall’amico di una vita, si decise a varcare i confini di Parigi, capitale dell’arte e della vita nell’Ottocento. D’altronde lo stesso Zola glielo suggerì per tempo, senza giri di parole:

“Se la pittura è la tua vocazione – e così l’ho sempre considerata io – se senti di poter ottenere qualcosa dopo averci ben lavorato, allora tu per me sei un enigma, una sfinge, un qualcosa di indescrivibilmente impossibile e oscuro … Vuoi che ti dica una cosa? Non arrabbiarti, però … Tu non hai carattere. Tu scansi ogni forma di sforzo, mentale o pratico. Il tuo principio supremo è vivere e lasciar vivere e arrendersi ai capricci del tempo e del caso … Se fossi in te prenderei una decisione e mi butterei, invece di continuare ad andare avanti e indietro senza decidermi tra due posti così diversi come lo studio e l’aula giudiziaria. Mi addolora che tu soffra per questa insicurezza e credo che sarebbe una ragione in più per prendere un partito. Uno o l’altro – diventare un vero avvocato o diventare un vero pittore, ma non diventare una creatura indecisa con un abito macchiato di colore.”

Paul Cézanne, Villaggio nel Bosco, 1879

Suo malgrado, il travaglio per generare prole artistica fu lungo e doloroso. Spinto da una nomadica irrequietudine e insofferente allo scalpitio della modernità parigina, Cézanne, pur perseverando nella sua scelta di diventare pittore, lasciò la capitale innumerevoli volte per immergersi nella quiete della campagna provenzale. Non sempre la vita serba un lieto fine; basti pensare, nel caso di Cézanne, agli insuccessi che minarono le sue già fragili certezze (anche se ciò non avvenne mai con il suo sogno) e la rottura dell’amicizia con Zola.

Certamente la vita del pittore fu vessata dal germe della sconfitta, che lo obbligò, in tarda età, ad un punto di rassegnazione; tuttavia, la storia della sua arte cela un punto felice, rinchiuso tra le mura di numerose, odierne mostre che lo presentano come uno dei più “grandi innovatori, nel suo campo, di tutti i tempi”. Fu lui ad andare oltre l’Impressionismo e dare principio alla corrente del “Cubismo”; Cézanne reinterpretò a modo proprio il linguaggio plastico della natura, prediligendo l’arte figurativa ed inquadrandola come singolare predominanza di una poetica geometria. Anelando, perennemente, alla perfezione delle volumetrie, apprese negli anni sotto che prospettive guardare il mondo; e la risposta alle sue ricerche, a volte estenuanti, altre prive di senso per la ragione ma non per il cuore, fu che non esisteva un’unica prospettiva, ma che la meraviglia della natura si declinava in così tante sfaccettature ch’era pressoché impossibile rappresentarle tutte in poche pennellate.

Paul Cézanne, Le Grandi Bagnanti, 1906

Ecco, dunque, il motivo per il quale Cezanne oscillava, continuamente, in ogni direzione consentita dai movimenti articolari: come un cubo non sarebbe tale considerato in una sola delle sue facciate, il mondo non può essere uguale se colto in uno soltanto dei suoi infiniti aspetti. “Voglio dipingere la verginità del mondo!” era il suo mantra, ubriaco di sogni e quasi traboccante del desiderio di ridurre il mondo alle sue forme originarie; la geometria, per il celebre pittore, non era esclusivamente tecnica, o rigidità di forme. Al contrario, era un variare continuo nell’immaginario e sulla tela; armonia di forme tra loro apparentemente distanti, tenace dimostrazione che le sagome sono dappertutto nello spazio e forse anche nel tempo. Prova di ciò è sicuramente la forma delle sue più nobili aspirazioni, perpetrate nell’attimo infinito di un tempo limitato che non ha mai avuto spazio nella caotica realtà Parigina.

Diversamente da molti suoi colleghi, Cézanne non è mai stato attratto dalla “macchina” e nemmeno la civiltà industriale ha mai destato in lui una qualche sensazione di bieco intrigo. Rilke, in visita alla retrospettiva parigina nel 1907,  dirà di Cézanne: “si metteva davanti alla cosa e guardava semplicemente, senza ombra di nervosismo e secondi fini, capace di rappresentare la realtà senza virtuosismi, senza alcuno stile o maniera accademici”. Egli si proponeva un trattamento primitivo del colore, che utilizzava puro, libero da tutti gli espedienti del disegno.

“Quando il colore è al suo massimo, la forma è al suo apice”, affermò. Colui che pose le basi dell’avanguardia pittorica del Novecento, eredità ripresa soprattutto dai cubisti in tempi successivi.

Cover image: Paul Cézanne, Montagne Sainte-Victoire, 1904-1906

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