Quando Max Ernst dipinse la Vergine che sculaccia Gesù

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Il surrealismo, si sa, è un’arte provocatoria, irriverente e non si è mai fatta problemi a toccare i temi più forti per poterli dissacrare. L’intoccabile non esisteva. Di più: abbattere il muro del pudore era il miglior biglietto da visita per entrare a pieno diritto nella comunità surrealista del tempo. Se ne accorgerà qualche anno dopo Salvador Dalí, quando nel 1929 fu buttato fuori di casa dal padre per un dipinto intitolato “Talvolta sputo con piacere sul ritratto di mia madre (Sacro Cuore di Gesù)”. Per Max Ernst, l’ingresso nella cerchia dei surrealisti invece arrivò nel 1926, con un dipinto che fu condannato per blasfemia, attirando l’attenzione dell’intera scena artistica: La Vergine sculaccia il bambino Gesù davanti a tre testimoni: Andre Breton, Paul Eluard e il pittore.

Max Ernst, The Virgin Spanking the Christ Child before Three Witnesses: André Breton, Paul Éluard, and the Painter, 1926

Lo scenario è moderno, non dissimile da certi panorami di De Chirico, e la figura della Vergine Maria ha person ogni carattere classico: è seduta in posizione autorevole, tenendo fermo il bambino con una mano, mentre l’altra è protesa verso l’alto, pronta a sculacciarlo. Il titolo del dipinto non lascia scampo a fraintendimenti: quello francese (in quel periodo Ernst era a Parigi) parla di “correggere”, quello inglese di “castigare”. Il bambino si è comportato male e sta alla madre dare una punizione. Attraverso un simbolismo molto terreno e conosciuto da tutti, si distrugge in un sol colpo la connotazione divina di Gesù. Il bambino è tutt’altro che perfetto, il suo comportamento è sbagliato al punto da dover essere punito. È un semplice bambino come tutti. Umano come chiunque. Infatti, mentre Maria mantiene ancora l’aureola, quella di Gesù è caduta per terra. Non c’è dubbio, Ernst vuole rubare al simbolo fondante del Cristianesimo le proprie basi religiose.

La blasfemia di Max Ernst non era un puro capriccio artistico. Aveva in realtà delle profonde radici personali: il rifiuto della concezione religiosa proviene da un traumatico evento d’infanzia, la morte della sua sorella maggiore Maria. Il piccolo Max non è riuscito a trovare alcuna spiegazione al verificarsi di un evento così tragico nella sua vita, e quel dolore si è riversato in un rifiuto categorico di Dio, della religione e – per riflesso – della figura paterna, che lo aveva educato nel segno del Cattolicesimo. La figura genitoriale assume così il carattere negativo del provocatore di dolore, mentre nello stesso tempo dà un letterale schiaffo alla natura divina di Gesù e al fondamento dell’intero Cristianesimo.

I tre testimoni che assistono alla scena da dietro alla finestra sono la cerchia ristretta del Surrealismo parigino intorno a Ernst. E non si può dire che stiano mostrando particolare interesse per la situazione. Come a dire che il Surrealismo trova ininfluente, non interessante, le espressioni profane del sacro. La questione religiosa coi surrealisti non si pone nemmeno: trattasi fondamentalmente di semplici simboli che possono far comodo quando è il momento di scagliarsi contro qualcosa.

Le analisi storiche dell’estetica di Ernst hanno sempre confermato i riferimenti diretti ai soggetti della pittura classica, soprattutto quella italiana. Studi recenti sembrerebbero trovare somiglianze precise tra il volto della vergine e le sibille dipinte da Michelangelo nella Cappella Sistina, mentre il corpo del bambino ricorderebbe a molti le forme che Tiziano e Botticelli erano soliti dipingere. Il dipinto con cui si trovano però più punti di contatto è la Madonna dal Collo Lungo del Parmigianino.

Parmigianino, Madonna dal Collo Lungo, 1534-35

Le posture della Madonna e del bambino sono simili, la presenza di volti alla sinistra coincide, perfino l’architettura esterna alle sue spalle conferma gli indizi. Ovviamente nel dipinto di Ernst non c’è traccia della sacralità e della grazia dell’opera di Parmigianino. Mentre Ernst distrugge la figura del genitore e i simboli del Cristianesimo, il Surrealismo si diverte a dissacrare i riferimenti dell’arte classica, capovolgendone le sorti. Il miglior modo di dar scandalo è sempre quello di sporcare con gergo terreno le meraviglie dell’arte classica. Un po’ come fece Manet qualche decennio prima con la sua Olympia.

Con la sua Vergine, Max Ernst si fece più nemici che amici, e dargli visibilità pubblica fu quasi impossibile. Ma fu quello il gesto che diede slancio al suo nome nella comunità artistica del tempo. Oggi il quadro è conservato al Kunstpalast di Düsseldorf. Se lo guardate da vicino, potrete scorgere l’ultimo dettaglio che chiude il cerchio della provocazione: dentro l’aureola caduta per terra c’è la sua firma. Giusto per fugare ogni dubbio su chi sia l’autore del furto di divinità.

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