La resurrezione di Gesù e la ricerca delle prove storiche

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Il tema della storicità della resurrezione di Gesù è al centro di complessi e profondi dibattiti, in quanto comprende argomentazioni di carattere filosofico, teologico, linguistico e letterario, richiedendo ciascuna di queste discipline un’ermeneutica particolare e mirata. Pertanto, consapevole del terreno accidentato sul quale ci muoviamo, procederemo ad una breve rassegna delle posizioni dei più eminenti esegeti e teologi dell’epoca contemporanea.

È stato affermato con chiarezza che la resurrezione di Gesù non può essere considerata un “evento storico”, trattandosi di un fatto in grado di “trascendere la storia stessa”, non verificabile con gli empirici strumenti scientifici e storiografici, ma richiedente un atto di fede. Su queste posizioni si sono soffermati, importanti studiosi come Bultmann ed Ebeling. Una parte di biblisti, tuttavia, continua a sostenere la storicità della Resurrezione di Gesù, facendo leva sulle testimonianze dei Vangeli a proposito della scoperta della tomba vuota e sulle apparizioni del Risorto che, secondo la loro opinione, sarebbero davvero avvenute. J. Danielou e W. Pannenberg, in particolare, rimarcano l’importanza delle numerose apparizioni di Gesù ai discepoli dopo lo straordinario evento della resurrezione. A coloro che affermano la non storicità del fatto, si potrebbero muovere due obiezioni di fondo, al di là poi dell’effettiva veridicità di quanto raccontato. La prima osservazione riguarda il fatto che le interpretazioni contenute nel Nuovo Testamento su Gesù risorto appaiono redatte in maniera diretta ed obiettiva, cioè orientate, se non altro, a dare una spiegazione circostanziata di quanto avvenuto, senza indugiare troppo su particolari magici o miracolosi. La seconda riflessione ci fa intuire come la fede pura, che prescinda da ogni elemento razionale, possa portare a conclusioni totalmente fantastiche ed irragionevoli.

In base a quanto premesso, l’approccio dello storico deve partire da alcuni dati non contestabili, pur ammettendo la trascendenza assoluta della resurrezione di Gesù e la sua impossibilità a verificare questo evento con gli strumenti critici a disposizione. In tale contesto, i dati storici su cui lavorare sono essenzialmente due:

  • La morte in croce di Gesù e la fede dei discepoli nella sua resurrezione, sicuramente l’elemento principale da cui partire
  • Il ritrovamento del sepolcro vuoto e le apparizioni di Gesù ai discepoli, la cui narrazione non appare mitica o didascalica, ma riportante un’esperienza di carattere oggettivo.

Il sepolcro vuoto negli scritti canonici

Andrea Mantegna, Resurrezione, 1457-1459

In tutte le narrazioni degli evangelisti si sottolinea il realismo delle apparizioni, in particolare nella redazione giovannea con l’ostinazione di Tommaso di voler credere solo davanti all’evidenza dei fatti (Gv. 20,25). Ciò dimostrerebbe come i primi discepoli non avessero un atteggiamento da esaltati, cercando invece una risposta razionale alla propria meraviglia ed incredulità.

Nell’apologetica dei secoli scorsi, il sepolcro trovato vuoto era considerato una delle prove più consistenti per rendere verosimile la resurrezione di Gesù. Attualmente molti esegeti, come gli stessi Bultmann, Grass e Marxsen, ritengono il racconto della tomba vuota una leggenda e, pertanto, non meritevole di assurgere al rango di presunta prova. Dai racconti riportati dei Vangeli, lo storico potrebbe solo dedurre che alcune donne sono andate al sepolcro, ma che dentro non vi fosse più il corpo di Gesù. Oltre questo dato non è possibile andare con gli strumenti empirici, non riuscendo ad accertare se il cadavere di Gesù sia stato effettivamente sottratto al nostro universo tangibile. In merito alla scoperta da parte di “un gruppo di donne”, il Ruckstuhl osserva argutamente che, se il racconto fosse stato inventato di sana pianta, il ritrovamento sarebbe stato attribuito all’intervento di uomini, perché nell’ambiente della Palestina dell’epoca la testimonianza delle donne non aveva alcun valore giuridico, anzi non veniva proprio ammessa o considerata valida.

Dal punto di vista documentale, la prima testimonianza della resurrezione di Gesù, a livello cronologico, è rinvenibile nelle lettere di Paolo di Tarso che, come è stato stabilito, sono più antiche degli stessi Vangeli. La dottrina paolina, piena di elementi culturali di origine ellenistica, la maggior parte estranei alla tradizione giudaica, offrì un messaggio di speranza a tutti pagani che già aspettavano la “parusia”, cioè il ritorno di Gesù in tempi brevi. In particolare Paolo, che venne denominato l’Apostolo dei Gentili, sviluppò il tema della resurrezione di Gesù nella prima lettera ai Corinzi.

Nei Vangeli canonici l’evento è trattato con elementi differenti, anche se la trama appare più o meno confermata da tutte le narrazioni. Partendo dal Vangelo di Marco che, secondo gli storici, è il più antico, risalendo agli anni intorno al 70 d.C., si nota che le donne andarono al sepolcro e lo trovarono vuoto. Inoltre, all’interno del sepolcro, un giovane le avrebbe rassicurate sul fatto che Gesù non era più lì, ma che avrebbe aspettato i discepoli in Galilea. Poi si legge questa frase “Quelle, però, uscite dal sepolcro fuggirono prese da tremore e da stupore, e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura (Mc 16,8). Si sa che la versione originale del Vangelo di Marco terminava con questo passo, mentre il finale più lungo è stato inserito con un redazione posteriore. Nelle parole citate, si nota come elemento principale la mancata testimonianza delle donne che fuggirono via in preda al terrore.

Nel Vangelo di Matteo (28, 8-10), l’angelo è posto fuori al sepolcro ed è seduto sopra la pietra che era servita come chiusura. Lo stesso angelo testimonia alle donne che Gesù riapparirà in Galilea. In questa versione le donne non sono solo spaventate, ma anche piene di gioia, correndo ad annunciare l’evento ai discepoli.  È molto importante in Matteo la preoccupazione di contrastare la comunità giudaica che riteneva che il corpo di Cristo fosse stato sottratto dagli apostoli. Matteo, infatti, riporta una presunta decisione dei membri del sinedrio, una volta avvertiti dell’accaduto da parte delle guardie: “Dite così: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”.

Il racconto di Luca, l’autore che scrive nel greco migliore, presenta ulteriori varianti. Quando le donne arrivano al sepolcro, trovarono la pietra già rimossa dal sepolcro. Mentre si interrogavano sull’accaduto, apparvero loro ben due angeli che annunziarono la resurrezione di Gesù. Le donne, allora, corsero ad informare gli apostoli. E qui Luca aggiunge un altro elemento verosimile, cioè il fatto che gli uomini ritennero dapprima come vaneggiamenti quanto prospettato dalle donne, ma poi Pietro si decise a compiere un sopralluogo nel sepolcro, ritrovando solo i teli.

La narrazione di Giovanni è ancora più particolare. In primo luogo pone l’attenzione soltanto su Maria di Magdala che sarebbe accorsa da Pietro e dal “discepolo che egli amava”, cioè lo stesso Giovanni. È interessante notare come, nella descrizione del tragitto compiuto dai due uomini verso il sepolcro, si rimarchi il fatto che Giovanni arrivi per primo, nonostante in altri passi lo stesso evangelista riconosca il “primato” tra gli apostoli proprio a Cefa, chiamato Pietro dallo stesso Gesù. Giovanni aggiunge al racconto la diversa collocazione dei teli e del sudario all’interno del sepolcro rimasto vuoto.

Per comprendere meglio i testi evangelici sulla resurrezione di Gesù, è necessario precisare che gli “ebrei farisei”, diversamente dai “sadducei”, credevano nella ricomposizione del corpo in senso fisico, non semplicemente al raggiungimento di una perfezione spirituale come nella tradizione del pensiero greco. Le origini di questa credenza si trova in parecchie scritture ebraiche antecedenti alla venuta di Cristo, come nel libro di Ezechiele, in quello di Isaia o in quella di Giobbe. Ed è proprio in tale contesto culturale che devono essere considerate le quattro redazioni dei Vangeli canonici in merito alla resurrezione di Gesù. In sostanza, i fatti presunti riguardano la scoperta della tomba vuota di Gesù e le successive apparizioni dell’uomo-divinità ai suoi discepoli. Tutte le quattro versioni dei Vangeli fanno cominciare il racconto con il ritrovamento della tomba vuota, avvenuto la domenica mattina (il primo giorno dopo il sabato). In tutti gli episodi è presente Maria Maddalena, ma in tre su quattro è accompagnata da altre donne.


Le apparizioni e gli scritti non canonici

Raffaello, Resurrezione di Cristo, 1499-1502

Per quanto riguarda le successive apparizioni di Gesù ai discepoli, le narrazioni dei quattro Vangeli sinottici divergono, contenendo elementi non comuni fra essi. In particolare risulta del tutto indefinita la durata del tempo in cui Gesù sarebbe rimasto sulla terra dopo la resurrezione. Ancora più contraddittorio risulta l’itinerario di Gesù e dei discepoli. In Matteo, il Cristo risorto dice ai suoi discepoli di tornare in Galilea per incontrarlo, in Luca invece comanda agli stessi di rimanere a Gerusalemme dove poi appare, arricchendo il soggiorno di Gesù sulla Terra con il poetico e struggente episodio dell’incontro di Emmaus. Marco, il cui testo è quello ritenuto più antico, tace del tutto sulle apparizioni di Gesù, mentre Giovanni aggiunge l’importante fatto dell’incredulità di Tommaso, già menzionata in precedenza.

Le notevolissime differenze nei racconti dimostrano che la tradizione sul racconto della resurrezione non era univoca, facendo dubitare della stessa veridicità della presenza di testimoni oculari. A differenza del racconto della passione (che merita una trattazione a sé stante), dove si nota una notevole assonanza delle varie narrazioni che evidenziano il preesistere di una consolidata tradizione, nella resurrezione lo scopo è fondamentalmente quello di dimostrare la divinità di Gesù, attraverso la vittoria sulla morte, fulcro centrale ed imprescindibile della teologia cristiana. In realtà l’intera primitiva comunità cristiana credeva che la resurrezione fosse avvenuta realmente, ma nessuno ne conosceva le modalità. È giusto sottolineare che la mancanza di prove storiche univoche non può nemmeno escludere che un fatto così prodigioso e lontano dalla nostra capacità di comprensione possa essere accaduto. Ma qui si ritorna ad un discorso di fede che deve interrogarsi sulla veridicità storica solo fino a dove il nostro intelletto può arrivare, lasciando poi alla fede i passi successivi.

Non mancano riferimenti alla resurrezione di Gesù anche in testi extrabiblici. Una delle fonti più interessanti è quella di Giuseppe Flavio (37 circa-100 circa), uno scrittore e storico di origine ebraica, ma di lingua latina. Fu dapprima governatore della Galilea, fino a diventare consigliere dell’imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito. Una parte della sua “Cronaca” non è a noi pervenuta in originale, ma attraverso la traduzione di uno storico arabo-cristiano del X secolo che, a sua volta, si sarebbe rifatto all’opera scritta in siriaco da Teofilo di Edessa andata persa.

Secondo questo passo, “Giuseppe l’ebreo” (Giuseppe Flavio) avrebbe parlato del processo e della condanna a morte di Gesù, aggiungendo che, dopo il suo decesso, i discepoli non avrebbero rinunciato alla dottrina del loro Maestro, raccontando che tre giorni dopo la sua crocifissione Egli era loro apparso vivo e vegeto. Lo storico Tacito (57-120 circa) che fu questore, pretore e proconsole d’Asia, considerato da molti uno dei precursori della storiografia moderna, per i metodi di analisi attenti e minuziosi, nel narrare le persecuzioni dei cristiani, a causa della follia di Nerone, fa riferimento alla morte di Gesù sotto Ponzio Pilato e durante il governo dell’imperatore Tiberio, ma non accenna alla resurrezione.

Interessante è una missiva di Plinio il Giovane (61/62-113) a Traiano  che, nel descrivere le modalità di culto dei cristiani, tenuti sotto osservazione dall’imperatore, perché ritenuti sovversivi, specifica che adoravano Cristo come una divinità che in precedenza era vissuta sulla terra: non si tratta di un riferimento diretto alla resurrezione, ma può presupporre la diffusione di tale credenza.

Un’importante traccia che si considera ricollegabile alla vicenda della resurrezione di Gesù è la cosiddetta “lapide di Nazareth”. Si tratta di una lastra di marmo di 24per15 cm, riportante un’iscrizione in lingua greca con la prescrizione della pena capitale per chi avesse asportato cadaveri dai sepolcri, datata sotto il regno di Tiberio (14-37 d.C.) o di Claudio (41- 54d.C.). Secondo alcuni studiosi, tra cui il teologo anglicano Michael Green, l’iscrizione ritrovata a Nazareth dimostrerebbe la reazione dell’autorità costituita, dopo un rapporto di Ponzio Pilato all’imperatore che avrebbe sottolineato il trafugamento del corpo di Gesù ad opera dei discepoli. Ciò sarebbe congruente con le precisazioni a proposito delle dicerie diffuse dal sinedrio, riportate dall’evangelista Matteo. In verità, per gran parte della comunità scientifica si tratterebbe di un collegamento molto debole, poiché il provvedimento potrebbe aver avuto motivazioni di carattere più generale.

Riferimenti alla resurrezione di Gesù si ritrovano anche in alcuni testi apocrifi, come il Vangelo di Pietro che racconta di due uomini scesi dal cielo che avrebbero aiutato Gesù ad uscire dal sepolcro, nonostante questo fosse presieduto dal centurione e da altre guardie. Il drappello di soldati avrebbe poi riferito l’accaduto al governatore Ponzio Pilato che avrebbe raccomandato loro di nascondere l’evento alla gente.

Si tralasciano, perché prive di alcun riscontro storico e scientifico, tutte quelle interpretazioni che, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, hanno dato vita ad un filone letterario romanzato e fantasioso. Le varianti del racconto sono disparate, diversificate e piene di lacune, traendo comune spunto soltanto da alcuni elementi frammentari presenti nei Vangeli canonici, peraltro contraddittori nelle modalità, ma concordi nella visione teologica della resurrezione, non di mero evento simbolico ed escatologico, ma di vera e propria realizzazione della vittoria della vita sulla morte, con la totalità del corpo e dell’anima, secondo una visione tipicamente giudaica. Le interpretazioni fantasiose considerano, riassumendole in estrema sintesi, il racconto della resurrezione come un equivoco, o un atto di trafugamento volontario dei discepoli, o derivato dalla rianimazione di Gesù caduto in coma dopo la deposizione dalla croce con l’aiuto di Giuseppe di Arimatea e di altri, o addirittura la sottrazione del corpo per ordine di Caifa, il sommo sacerdote, per evitare pellegrinaggi scomodi e nello stesso tempo per far incolpare gli stessi discepoli dell’accaduto. Si tratta, come detto in precedenza, di interpretazioni fantasiose che non hanno alcun riscontro storico o nella tradizione.


La sintesi di Joseph Ratzinger

Concludiamo questa sintesi facendo riferimento a quanto affermato da Joseph Ratzinger, uno dei più grandi teologi contemporanei, il cui libro su Gesù è stato un best seller internazionale, ottenendo il plauso dagli esponenti di tutte le altre confessioni religiose e perfino dagli atei, per il rigore metodologico ed epistemologico con cui ha affrontato le diverse implicazioni culturali della vita di Gesù. Per il papa emerito, la resurrezione è un mistero da inquadrare oltre la scienza, in quanto Gesù non sarebbe tornato alla vita biologica normale come nel caso di Lazzaro, ma sarebbe stato trasformato e, pertanto, non più soggetto alle leggi del tempo e dello spazio. L’evento della resurrezione di Gesù, in quest’ottica, avrebbe lasciato un’impronta nella storia, inaugurando una nuova era escatologica, andando oltre la storia stessa e collocandosi nell’eternità dell’opera di salvezza di Dio.

Cover Image: Tintoretto, La Resurrezione

2 comments

  1. Credere in Gesù e in Dio è un atto di fede. Faccio un solo commento. Se Dio viene definito come una Entità di potere infinito, conseguentemente, quasi si potrebbe dire, non potrebbe non esistere: Infatti, l’essere dotati di un potere senza limiti implica, intrinsecamente, il potere di crearsi dal nulla. D’altronde, non pochi fisici presuppongono che la materia sorga, di continuo, dal nulla. Ma poi, che cosa è il nulla, esiste veramente? Forse è una sintesi di realtà opposte, come il più e il meno, materia e antimateria, il bene e il male e quant’altro che, nell’unità, comprenda le contrarietà e gli opposti.
    Un saluto a tutti, Piero Angius, Cagliari 7-8-19.

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