La Vita Davanti a Sé: una storia in cui l’amore salva ogni cosa

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La Vita Davanti a Sé di Romain Gary è un capolavoro della letteratura francese che vinse il Prix Goncourt nel 1975 e da cui è stato tratto un film che vinse l’Oscar come miglior film straniero, il Premio César ed il David di Donatello come miglior attrice non protagonista.

Il romanzo attraversa la società parigina multietnica dei primi anni ’70 e dà una lezione di sociologia in chiave intimista.

La storia narra di un bambino, Mohamed, chiamato affettuosamente Momò, e del suo rapporto con Madame Rosa, di origine ebraica, che lo alleva insieme ad altri bambini, in un quartiere multietnico di Parigi, in un appartamento al 6° piano.

Questo 6° piano, senza ascensore, sarà segno di fatica per madame Rosa, sempre più ingrassata, ma sarà poi luogo della sua redenzione. Le scale diverranno le salite all’Olimpo attorno a questa figura quasi mitologica del quartiere, alla fine quasi sacra, a cui faranno da contraltare le cantine, luogo originario e finale.

Dopo il suo passato da prostituta, Madame Rosa alleva, a pagamento, i figli di prostitute, dato che per legge non li possono tenere.

Nel romanzo la voce di Momò, il suo mondo immaginario si alterna così alla consapevolezza dello scrittore, da cui nasce un registro su un doppio binario: immaginazione e consapevolezza. L’infanzia e l’adolescenza sono i periodi fervidi di immaginazione, che si nutre dell’affetto che riceviamo. L’affetto nel suo essere impalpabile, ci conduce in mondo fantastico, più astratto, ci solleva in un mondo più bello, più delicato, più vicino a noi.

Da qui nascono tutte le idee e si supera la bruttezza materiale di ogni cosa, l’affetto di Madame Rosa, generatore inconscio del suo mondo immaginario, salverà Momò.

Il regalo più bello che si può fare ad un bambino è lasciarlo libero alla sua immaginazione, perché sarà la sua spinta creativa e liberatrice, come la storia dimostrerà e ci ricorda in questo Benigni, nel film La vita è bella.

La storia è un crescendo, la prima parte è incentrata sulla mancanza, la solitudine, l’estraneità. La mancanza del padre e della madre, di una vera casa, dove poter accogliere anche un cane trovatello, questa possibilità sarà negata. Dominata dalla ricerca continua di una madre e di un padre: nella signora che gli regala un uovo, nel guardaspalle del boss che lo fa sedere sulle sue ginocchia, nel poliziotto di quartiere che è l’ ombra del padre.

Con la dolcezza dei pensieri di un bambino, il romanzo attraversa la solitudine, la grazia, la morte non fisica, ma interiore, fino a giungere alla fine, attraverso la morte fisica all’estasi dell’amore. Momò all’inizio del romanzo non e’ ancora consapevole dell’amore che Madame Rosa nutre per lui, ne dubita e ci sono momenti in cui Mohamed pensa appunto alla morte. Perché in psicologia non vale tanto il cogito ergo sum, penso dunque sono, ma “sono pensato dunque sono”. Non essere nei pensieri di nessuno, vuol dire in pratica non esistere. Ed il piccolo Momò a volte si sente vuoto, di non esistere.

Questo senso di mancanza, di privazione, è il sentimento che attraversa queste periferie di immigrati. Tutti gli immigrati sono esclusi dalla loro madre patria, sono orfani delle loro origini. È emblematica la figura di un gangster, spacciatore, che resterà ucciso, che vuole mostrare in una lettera ai suoi genitori di essere incluso nella società, invece non lo è. Anche lui, abbandonato dalla patria, si dibatte durante la scrittura della lettera e quasi piange la sua esclusione al mondo in cui vive.

La mancanza genera una visione nichilista, di cui lo stesso Mohamed immagina essere vittima, ed anticipa un fenomeno sociale che accadrà poi 40 anni dopo nella realtà: il terrorismo che viene dalle banlieue parigine.

Un vecchio africano spiega a Momò che ci vorrebbero le tribù come in Africa, per non perdersi in questo vuoto di periferia urbana, che rende tutto inutile, freddo. La stessa Madame Rosa, che dispensa amore verso questi bambini, che mostra empatia verso ogni persona del quartiere indipendentemente dalla etnia, dalla religione, oppure dalle tendenze sessuali, deve ricorrere, ogni tanto al suo angolo ebraico, che ha ricavato in cantina.

Il romanzo va in crescendo, il rapporto con Madame Rosa diventa via via centrale, sempre più forte, interdipendente, fino a riempire ogni vuoto, la mancanza dei genitori. Quando il vero padre verrà, sarà troppo tardi.  Madame Rosa ha colmato tutto oramai per Momò. L’arrivo del padre non suscita nessun clamore in lui, anzi emerge nel dialogo la distanza tra chi non si appartiene.

Mohamed ha colmato le sue mancanze, la figura del padre è inutile, soprattutto di un padre distante dall’esperienza di solidarietà e di affetto che la fine di Madame Rosa sta suscitando nel quartiere. Resta la prima domanda che il bambino chiede ad un vecchio venditore di tappeti mentre vaga per il quartiere: si può vivere senza amore?

Alla fine arriverà la risposta. Sì, si può vivere senza amore, ma l’amore cambia la vita, ne cambia il senso. Tutti lo vivranno: dal transessuale, il dottore, i facchini, la coppia che lo alleverà. L’unico che muore senza saperlo è il padre sconosciuto e Momò ne piangerà la distanza incolmabile e la delusione.

Durante la fine di Madame Rosa, un unico sentimento di affetto attraversa religioni, razze, sesso, generi, nel quartiere ed unisce tutti al suo commiato: ebrei, musulmani, africani, prostitute, omosessuali.

Il rapporto tra madame Rosa ed il piccolo Momò simboleggia la madre di tutti gli immigrati, le solitudini e l’umanità delle periferie.

Nella sua morte avviene il miracolo.

One comment

  1. Bellissima recensione. Ho amato questo libro che ha scavato a fondo nel mio cuore, questa recensione me lo ha fatto rivivere dentro profondamente. Mi è piaciuto molto il paragone con Benigni e l’interpretazione psicologica: tutti abbiamo bisogno di essere nei pensieri di qualcuno per poter “essere”.Ecco perché non si può vivere senza amore.

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