Marina Abramović e Ulay: una storia di passione, arte e provocazione

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Quella tra Marina Abramović e Ulay è la storia d’amore più seguita dal pubblico dell’arte contemporanea. Entrambi nati il 30 novembre ma in anni diversi, lei serba di Belgrado e lui tedesco, si conobbero ad Amsterdam nel 1976.

Ulay all’epoca portava barba e capelli lunghi da un lato, mentre l’altro era rasato a zero. Dall’animo ribelle ed artistico, si ribellò al padre gerarca nazista. Il nonno di lei era un patriarca della Chiesa ortodossa proclamato santo, il padre era invece un eroe della Resistenza della seconda guerra mondiale e la madre, donna dura e forte, direttrice del Museo della Rivoluzione e dell’Arte. Fu amore a prima vista, passione che diede vita ad un sodalizio artistico lungo 12 anni.

“The Other” così si facevano chiamare. Il campo d’azione era quello della nascente Performance Art, corrente artistica che abbraccia la Body art, la poesia d’azione e Fluxus, vede come protagonista assoluto il corpo e le sue massime rappresentazioni: veicolo di protesta, di forza e comunicabilità. Nelle performance, l’artista mette alla prova il proprio corpo portandolo al limite per turbare e schioccare lo spettatore. È ciò che proponevano il duo Abramović-Ulay in azioni come Rest Energy (1980) dove un arco teso li univa e li separava contemporaneamente. Lei impugnava l’arco, mentre lui teneva tesa la freccia puntata sul suo cuore: una sola esitazione da parte di lei o di Ulay avrebbe segnato la fine, come ad indicare che il segreto di una relazione di coppia è proprio il continuo bilanciamento dei ruoli.

Marina Abramović Ulay - The Other Rest Energy (1980)

Altra performance estrema fu Death Itself, ovvero i due univano le labbra e respiravano l’aria espulsa dall’altro fino a terminare l’ossigeno a disposizione. Caddero a terra privi di sensi dopo solo 17 minuti. Il senso di tutto era quello di esplorare la capacità dell’individuo di assorbire e distruggere la vita altrui.

[fragmento] "Breathing In / Breathing Out (Death Itself)" - Marina Abramovic & Ulay

Scandalizzarono il pubblico della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, nel 1977, con la performance Imponderabilia, che vedeva il pubblico costretto ad entrare nel museo oltrepassando i corpi nudi dei due artisti. Dal momento che lo spazio era strettissimo, i visitatori non avevano la possibilità di passare guardando dritti davanti a loro, ma dovevano per forza scegliere se rivolgersi verso Marina o verso Ulay.

I due fecero emergere in modo chiaro, attraverso il rapporto tra artista e pubblico, che diventa dunque a sua volta protagonista dell’opera d’arte, certi nodi creati dalla società, dati dall’imbarazzo della scelta.

La performance più nota rimane la fine della loro storia. Dopo 12 anni, nel 1988, il rapporto era entrato in crisi e decisero di lasciarsi nel modo più stravagante possibile: camminare ognuno dai due estremi opposti della Muraglia Cinese per poi incontrarsi a metà strada e lasciarsi. Lei iniziò a camminare dall’estremità orientale, chiamata Testa del Dragone, mentre Ulay da quella occidentale, la provincia del Gansu.

Otto mesi di preparativi, novanta giorni di viaggio e 2.500 km per dirsi addio, giusto il tempo per far sì che Ulay si innamori della propria interprete e la metta incinta. Un finale inaspettato quindi, dove lui chiede a Marina “Che cosa devo fare adesso?” e lei “non lo so, ma io me ne vado”. Il titolo della performance è The Great Wall: Lovers at the Brink, la BBC ne fece un documentario.

Marina ed Ulay si rincontreranno dopo 23 anni in occasione di The Artist is Present la celebre performance della Abramović che ebbe luogo nel 2010 al MoMA di New York. Per tre mesi, Marina dovette rimanere seduta per sette ore al giorno davanti ad un tavolo con di fronte una sedia vuota. A turno il visitatore poteva sedersi di fronte all’artista e guardarla in silenzio per due minuti. Uno di questi è proprio Ulay. La reazione toccante di entrambi è possibile vederla nel documentario sulla performance.

Marina & Ulay @ MoMA (The Artist is Present)

Peccato che non tutte le favole hanno il lieto fine: dopo qualche anno dall’ultimo incontro, Ulay denunciò Marina per delle opere che lei avrebbe venduto come esclusivamente sue, anche se erano state ideate da entrambi. La donna fu condannata ad un rimborso di 250mila euro. Amore, soldi, arte… più, forse, finzione teatrale.

2 comments

  1. Fare arte credo sia qualcosa di magico … Ma questa storia ha un senso..
    E la trovo molto emozionante… Quasi come un buon quadro una buona opera d’arte…nel suo spazio …Viva.

    Noemi .

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