Astronomia e suoni: la musica che viene dallo spazio

L’universo è forse una grande orchestra? Gli antichi filosofi e le moderne scoperte scientifiche ci parlano di un cosmo musicale. Pitagora è stato il primo grande pensatore occidentale a studiare i fenomeni acustici e le relazioni tra i pianeti, ritenendo che fossero governati da un medesimo ordine matematico.  Si narra che il filosofo greco avesse un orecchio così fine da essere in grado di percepire i suoni dei corpi celesti. Noto è il suo studio con il monocordo, uno strumento semplice costituito da una corda tirata su un pezzo di legno, attraverso il quale codificò gli intervalli sonori e i relativi rapporti numerici esistenti tra le loro frequenze. Li mise poi in relazione all’universo che nella sua concezione appariva come un grande monocorde capace di unire la sfera celeste a quella terrestre e la cui vibrazione sarebbe stata in grado di produrre determinati effetti sulla realtà.

La musica e l’astronomia sono discipline sorelle aveva scritto Platone nel Repubblica e sull’ingresso della sua accademia ad Atene era incisa la frase “Colui che non conosce il ritmo della Terra non può entrare”. Egli riprese le teorie pitagoriche riguardanti i rapporti tra la genesi del mondo, i numeri razionali e la musica, considerando quest’ultima lo strumento di apprendimento più potente, il cui ritmo e la cui armonia sono in grado di penetrare i recessi più profondi dell’anima. Il cosmo era concepito dal filosofo come una grande scala musicale, capace di produrre un suono senza fine, espressione dell’armonia celeste. Anche secondo Aristotele l’essenza del cosmo è di natura matematica e la musica si pone, perciò, quale miglior tramite tra il mondo esterno e l’uomo, basandosi anch’essa sull’ordine numerico.

Diversi secoli dopo la musica continuò a essere insegnata come parte della matematica tanto da essere riconosciuta come una delle quattro discipline del quadrivium (aritmetica, geometria, musica e astronomia). Il primo saggio di Cartesio, dal titolo Compendio sulla Musica, pubblicato nel 1618, muove le fila proprio dalla scuola pitagorica alla scoperta del numero a fondamento della musica. Anche nelle Armonie del mondo di Keplero e nell’Armonia universale di Mersenne,  scritte nella prima metà del ‘600, si cerca di decifrare il codice del cosmo attraverso la ricerca di proporzioni armoniche nei movimenti celesti esprimibili in termini matematici.  Insomma è difficile comprendere la storia della scienza se dimentichiamo che tutti i pensatori, tra cui anche i grandi Galileo e Newton, hanno considerato la musica indispensabile, alla stregua della matematica e dell’astronomia, per conoscere i misteri del Creato.

In tempi moderni, musica e scienza si sono separate diventando simboli di ambiti contrapposti: la prima legata all’espressione più pura e istintiva dell’anima, la seconda focalizzata a spiegare i fenomeni della natura in modo oggettivo. Nonostante la disciplina musicale abbia perso il suo posto nel quadrivio, ancora oggi alcuni scienziati ne indagano il mistero e il possibile legame con la struttura dell’universo. Dalla teoria della relatività di Einstein, che descrive un universo vibrante di energia tutt’altro che silenzioso, fino al cosmologo francese Jean-Philippe Uzan, molti scienziati hanno dimostrato che Pitagora aveva ragione. Si può di certo affermare che le vibrazioni delle stelle, dei pianeti, dei buchi neri riescono a propagarsi nell’universo sotto forma di onde gravitazionali e onde radio, che possiamo captare e trasformare in suoni. Il Sole, ascoltato e analizzato dagli astronomi inglesi dell’Università di Sheffield, genera dei loop che trasportano le onde acustiche nello stesso modo in cui il suono viene trasportato attraverso un organo a canne. Ma quando dalla nostra stella più vicina divampano potenti esplosioni, si odono sottilissimi sibili e risonanze che ci riportano alle atmosfere di John Cage, pioniere dell’ambient music.

Ogni stella è un tamburo cosmico il cui timbro dipende dalla sua massa e dalla sua composizione chimica. Gli astri densi, le stelle di neutroni, sono orologi super precisi come le pulsar della nebulosa del Granchio, capaci di generare vibrazioni periodiche e regolari tali da ricordare un metronomo. Alcuni le usano per testare la teoria della relatività; altri come il compositore francese Grisey, ne fanno una costante ritmica per accompagnare i percussionisti di Strasburgo. Ma i suoni più coinvolgenti sono quelli provenienti dalle onde gravitazionali emesse nei primi istanti di vita dell’universo, assicura Amedeo Balbi, ricercatore in Astrofisica presso l’Università di Tor Vergata e autore del libro La musica del Big Bang. Il segnale residuo della rapidissima espansione avvenuta dopo l’esplosione da cui tutto ha avuto origine, sembra essere simile al vagito di un bambino appena nato. In questo suono primigenio si cela forse il codice genetico del Creato? Non conosciamo la risposta a questa domanda ma una cosa è certa: questi impulsi elettromagnetici sono importanti strumenti di ricerca per una migliore comprensione dei fenomeni astronomici. Il semplice telescopio non potrà mai cogliere i misteri profondi del cosmo perché incapace di ascoltare il suo paesaggio sonoro. La sinfonia dell’universo merita di essere conosciuta e allora ben vengano iniziative come quella di Radio Astronomy che ha pensato di metterla in onda per renderla accessibile a tutti.

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