Drive In: la nuova televisione che rivoluzionò l’Italia anni ’80

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Drive In è stato lo show, anzi l’anti-show degli anni 80, capace di cucire il vecchio varietà televisivo a qualcosa di diverso, serrato e più adatto al decennio della TV commerciale.

C’era stato un tempo in cui il tipico spettacolo televisivo si fondava sul conduttore che officiava e presentava i vari balletti, sketch, ospiti e canzoni, garantendo una coerenza e un filo conduttore alla trasmissione.

Nel 1977, però, su Rai Due era approdato Non Stop, un programma in cui l’assenza del presentatore era voluta e fondamentale per aumentare il ritmo ed evitare momenti morti, scongiurando così l’uso del telecomando, apparso da poco nelle case.

Non Stop si affermò proprio grazie ai tempi serrati con cui balletti e comici si passavano il testimone, portando per la prima volta in tv uno show che faceva della sperimentazione e del rinnovamento i propri punti di forza.

L’anno successivo fu la volta de La Sberla, altra trasmissione che puntava sull’innovazione del linguaggio e dei tempi comici e che riscosse un successo ancora maggiore del suo predecessore.

Oltre all’azzeccato format, a decretare il successo di Non Stop e La Sberla contribuì anche la nutrita e talentuosa schiera di comici (Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio, Enrico Beruschi, i Gatti di Vicolo Miracoli, Claudio Verdone, i Giancattivi, la Smorfia, Zuzzurro e Gaspare), che in molti casi lanciarono le proprie carriere grazie alle due trasmissioni.

Alcuni dei protagonisti di Non Stop e La Sberla approdarono anni dopo a un’altra trasmissione destinata a diventare un cult ancora più grande, che lanciò numerosi tormentoni e che Federico Fellini definì “l’unico programma per cui vale la pena avere la tv”: Drive In.

Ma prima di addentrarci nel perché del successo di Drive In lanciamo la sigla.

Quella che debutta il 4 ottobre 1983 su Italia 1 (e che si chiuderà nel 1988, dopo cinque edizioni) è una trasmissione che riprende la struttura di Non Stop e La Sberla e la estremizza, dando ancora più spazio agli sketch a discapito di balletti e canzoni, malvisti dall’ideatore Antonio Ricci, che voleva staccarsi del tutto dal varietà classico.

Drive In (il cui titolo non convinceva inizialmente i dirigenti della Rete) era ambientato proprio nel tipico cinema all’aperto, dove i comici davano vita alla loro sequenza quasi ininterrotta (c’era comunque una marea di spot da mandare in onda) di gag e tormentoni.

Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio ed Enrico Beruschi erano deputati a fare da raccordo tra i tanti nuovi volti che si affacciavano alla notorietà (Giorgio Faletti, Sergio Vastano, Enzo Braschi, i Trettrè, Francesco Salvi, Sergio Pistarino) o che cercavano la definitiva consacrazione (Massimo Boldi, Teo Teocoli, Zuzzurro e Gaspare).

D’Angelo e Greggio (rispettivamente proprietario del cinema e fido aiutante) non si lasciavano sfuggire a ogni puntata l’occasione per ripulire il portafogli di Beruschi, disposto a tutto pur di scampare all’ira funesta dell’insopportabile moglie e fare colpo sulla cassiera procace di turno (Carmen Russo o Lory Del Santo).

E proprio sulle donne e sulla generosità  delle loro forme si è basato gran parte del boom di ascolti di Drive In: le Ragazze Fast-Food introdussero in tv un nuovo prototipo di donna, quasi del tutto slegata dal precedente concetto di show-girl, ma con “argomenti” comunque ben evidenti e di sicura attrattiva.

Ragazze-Drive-in

Le antesignane delle future “veline” facevano spesso da spalla ai comici e si esibivano anche in stacchetti e balletti in cui la regia indugiava sulle loro forme provocanti: con ogni probabilità oggi simili inquadrature sarebbero ben poco gradite in prima serata.

Ma senza nulla togliere a Tinì Cansino e alle sue valenti colleghe, erano soprattutto i personaggi, le parodie e i tormentoni a fare di Drive In un appuntamento irrinuciabile della domenica sera.

Dall’improbabile Paninaro di Enzo Braschi, allo Yuppie rampante di Vastano, dalla parodia di Star Trek (Bold Trek) con Boldi e Teocoli a quella delle telenovelas con Enrico Beruschi (Beruscao e il suo Una brutta fazenda), dall’immortale Vito Catozzo di Giorgio Faletti (che si esibiva anche come Suor Daliso, Carlino e il Testimone di Bagnacavallo) al “Ce l’ho qui la brioche” del duo Zuzzurro e Gaspare, fino agli innumerevoli sketch di Greggio (Spetteguless, il Banditore dell’Asta Tosta, Mr.Taroccò, il Criticatrutto) e D’Angelo (il Tenerone, il Signor Armando di Has Fidanken, Raffaella Carrà, Ciriaco de Mita), il pubblico veniva sopraffatto dalla girandola di situazioni e battute che si insinuarono nella cultura popolare.

Non trascurabile fu anche la scoperta del Benny Hill Show, le cui gag divennero parte integrante del programma e lanciarono anche nel nostro paese il comico inglese.

Anche se sembrano passati secoli, a volte ci si chiede ancora se Drive In abbia rappresentato più di quello che sostanzialmente era, uno show che faceva da contenitore a comici e donnine ammiccanti o una parodia dell’Italia degli anni ’80.

Riguardando Has Fidanken e la sua inutilità costantemente applaudita si intravede la genialità di Antonio Ricci e dei suoi collaboratori, che seppero anticipare cinicamente tanta televisione futura, costruita sul nulla dei suoi protagonisti e nonostante ciò apprezzata dal pubblico.

Alla fine la grandezza di Drive In è tutta qui, nel saper incastrare alto e basso, concettuale e reale, descrivendo in diretta l’Italia della “Milano da bere”, poco prima che il cameriere portasse uno scontrino che stiamo ancora pagando.

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