Nella Firenze degli anni ’80, era in atto una sorta di nuovo Rinascimento. Gli echi della new wave e dell’ondata punk di fine anni ’70 era arrivata in Toscana e alcuni gruppi presero vita tra le vie del centro. Ad oggi, due sono rimasti fondamentali.
I Diaframma di Federico Fiumani sono la voce di un’intera generazione ancora aggrappata a quei suoni, mentre in una cantina di via de’ Bardi, una stradina in salita, appena dopo Ponte Vecchio, in direzione di Palazzo Pitti, nascevano i Litfiba, dall’idea di Ghigo Renzulli e di altri ragazzi (Aiazzi, Maroccolo), con un cantante poliedrico, baritono e dalla voce suadente e diabolica allo stesso tempo, Piero Pelù. E nei loro primi tre album, la verve politica della tradizione italiana e del mondo anglosassone si mescola a un sound roccioso ed energico, creando quella che viene definita la Trilogia del Potere: Desaparecido, 17 Re e Litfiba 3.
Desaparecido è uno di quei dischi pieni di brani forti, rock. Spesso le ritmiche e le melodie si concedono divagamenti etnici (arabi ed asiatici) che rendono questo lavoro oscuro e misterioso. I testi, scritti da Pelù, mostrano la sua verve che non concede molto alla fantasia, anche se mantengono una linea vicina alla poetica anglosassone. Il lato ruvido del punk e la lezione di questo genere in ambito italiano di un gruppo come i Decibel si sente nei ritmi e nel linguaggio duro, metropolitano e nei giochi vocali.
17 Re è, invece, quello che spesso viene declamato dai fan storici della band, ed è rivolto alla new wave. In queste sedici tracce c’è un intero mondo da raccontare, dalla poesia di Pierrot e la Luna alla violenza di Cane, la batteria sui quattro quarti fa dei giri ritmici che spesso sconvolgono l’orecchio dell’ascoltatore e pensano che si sia di fronte a uno scherzo.
I synth la fanno da padrone, insieme alla chitarra del buon Ghigo che tesse trame a volte più basate sui power chords a volte su giri armonici e melodici geniali.
16 tracce per un gruppo giovane erano molte, ma con questo album i Litfiba dimostrarono che avrebbero cambiato la scena rock italiana. Nel loro e nel nostro cerchio.
Dopo la new wave
Fu l’ora del rock
Un disco politico, sociale, di attacco contro le istituzioni come pochi. E con un sound completamente diverso, che si avvicina di più all’hard rock di Terremoto (che arriverà più in là), con ritornelli molto più melodici, e un’impronta latina che li faranno diventare nel decennio successivo paladini del latin rock.
Un lavoro che conclude il racconto della loro visione del mondo e che ne aprirà un’altra che partirà dallo Stato Italia e andrà ad affievolirsi sempre più lungo sentimenti, emozioni e grida di rabbia che però raramente fioriranno come perle nel deserto. E la prima di tutte queste è la traccia sette di Litfiba 3: Tex.
Da lì in poi, partirà la cosiddetta “Tetralogia degli Elementi”, partendo da El Diablo in avanti, definendo gli anni ’90 italiani. Ma a quel punto, la storia era già stata fatta. E a scriverla erano stati tre album, questi tre album, e il nome dei Litfiba scolpito nell’immaginario tricolore, mentre urlavano contro le forme del potere della società di quel tempo.
Articolo riduttivo, non dà ma toglie alla grandezza di questo gruppo.
Almeno potrebbe ricordarsi che cantavano molto in francese, tanto per iniziare, e poi i primi brani erano totalmente scritti da Renzulli.
Non vado avanti
I primi brani erano in realtà scritti da tutti (e si sente, ce lo vedi Renzulli ad inventare i giri di tastiere di Desaparecido o a lasciare al basso tutto quello spazio?).
Il problema è che i brani erano registrati a nome suo, perché era l’unico depositario del nome Litfiba alla SIAE. In pratica, burocraticamente i Litfiba erano lui.
Meglio che tu non vada avanti.