La nuova era di Katy Perry: quando il pop diventa politico

Quello a cui Katy Perry ci ha abituati nel corso degli anni, fin da quando cantava di effusioni saffiche, sogni adolescenziali, emancipazione femminile e ragazze in bikini carezzate dal sole della costa californiana, è sempre stato un pop sbarazzino, disimpegnato, servito al pubblico nel nome del ’carefree’ più orecchiabile. In apparenza, anche il nuovo singolo Chained To The Rhythm (pubblicato su iTunes e compagnia digitale lo scorso 10 febbraio) potrebbe ingannare l’ascoltatore per quella miscela sonora dall’alto potenziale radiofonico che lo contraddistingue, se non fosse che, ad una lettura più attenta del brano, le cose si rivelano un tantino più profonde e serie. Almeno stavolta.

Primo assaggio da un quarto album in studio su cui aleggia ancora il mistero, Chained To The Rhythm combina gli elementi più malinconici dell’Italo Disco anni ’80 (sequenze piano, synth ariosi, handclaps) con metriche dall’inflessione giamaicana, distintive del reggae e dello stile di Sia Furler, tanto preziosa per Katy nella scrittura e nell’arrangiamento del brano quanto lo è il talento del produttore della traccia, lo svedese Ali Payami, polistrumentista e pupillo di Max Martin. Ma al di là del ritmo accattivante, delle foto promozionali in tonalità pastello, del nuovo taglio/colore di capelli e delle strobosfere argentate (sparse in giro per il mondo dalla Capitol Records, qualche giorno prima della release del singolo, per consentire ai fan di ascoltarne 10 secondi in anteprima inserendo le proprie cuffie nella palla da discoteca), la nuova era della Perry si apre con un sotteso proposito di natura politica, intimamente legato agli eventi che stanno travolgendo gli Stati Uniti negli ultimi mesi, espresso tramite forme e linguaggi cari alla cultura pop. Ecco, allora, che il testo della canzone svela la sua impronta metaforica e attacca con pungente sarcasmo un mondo incline a fuggire dalla realtà trincerandosi dietro la staccionata domestica dell’indifferenza (“Are we crazy living our lives through a lens? / Trapped in our white picket fence, like ornaments”) e restando “incatenato al ritmo” di un tenore di vita imposto da altri che, al contrario, invoca un cambiamento repentino.

Inutile precisare, a questo punto, che Chained To The Rhythm rappresenti un velato manifesto anti Trump, in cui ciascun dettaglio implica la ferma volontà di opporsi ai decreti restrittivi del nuovo sistema, fresco di insediamento. Anche la scelta di ospitare sul pezzo un rap di Skip Marley, nipote di Bob e già noto alle cronache per la lotta alle discriminazioni portata avanti nella sua Lions, la dice lunga sugli intenti a cui il brano della diva è mirato (“It is my desire / Break down the walls to connect, inspire / Ay, up in your high place, liars / Time is ticking for the empire”). Del resto, Katy Perry non ha mai nascosto le proprie tendenze antirepublicane: già in tempi non sospetti, la popstar si era detta favorevole a un’eventuale corsa alla presidenza da parte della democratica Hillary Clinton, sostenendo poi la candidata durante l’effettiva campagna elettorale, come tanti altri artisti e personalità televisive, fino alla sera del 9 novembre 2016, quando aveva assistito (delusa e incredula) alla vittoria di Donald Trump, durante lo spoglio decisivo, tenendosi per mano con la ‘nemicamatissima’ Lady Gaga nella platea dello Javits Center di Manhattan.

Le trasposizioni visive di Chained To The Rhythm non sono da meno nel fungere da veicolo per un motteggio altrettanto polemico: nel lyric video caricato online poco più di una settimana fa, l’immagine del criceto che trangugia qualunque pietanza gli venga presentata, guardando in TV un suo simile correre a vuoto in una ruota per roditori, è emblematica dell’inerzia collettiva contro cui la canzone si scaglia, mentre il videoclip ufficiale che accompagna il singolo (uscito ieri, lo trovate sopra in questo articolo), tra estetiche vaporwave e richiami all’età dell’oro vissuta oltreoceano negli anni ’50, mostra uomini e donne accedere gratuitamente al parco giochi Oblivia, là dove problemi, disagi e preoccupazioni quotidiane sfumano a favore della dimenticanza e dello svago. Un’utopia che seduce il popolo attraverso il miraggio di una serenità illusoria, fatta di giostre e attrazioni di ogni tipo, e assopisce le coscienze abbattendo il mito (in realtà tramontato da tempo) del rivoluzionario sogno americano.

Bella mossa, Katy.

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