I migliori album del 2016 secondo Aural Crave

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E con la attesa classifica ufficiale dei migliori album di Aural Crave, chiudiamo la serie di articoli di riepilogo di fine anno. Per chi avesse bisogno di un ripasso, potete trovare sulle nostre pagine i migliori video dell’anno, le cose che ci faranno ricordare il 2016 e la classifica di pubblico, più la preparazione a ciò che ci aspetta per l’anno prossimo.

I nostri album dell’album presentano una varietà ben assortita: c’è l’r&b che è stato tanto presente nelle classifiche degli altri magazine, c’è il contributo di chi è scomparso quest’anno e la presenza di nomi importanti della nuova generazione, più una presenza italiana degna di nota. Dieci dischi per coprire tutte le cose imperdibili qualitativamente viste quest’anno, molti di essi non scontati.


10
Moderat – III

Tra i dischi più votati anche da voi, i Moderat rappresentano l’élite elettronica capace di parlare a tutti, con un suono complesso ma non inaccessibile, che può conquistare facilmente l’orecchio allenato agli ascolti moderni. È il loro terzo album e probabilmente il più completo e riuscito. La nostra recensione è qui, mentre qui trovate cinque altri nomi da seguire proposti dalla stessa etichetta.


9
James Blake – The Colour In Anything

Uno dei pochissimi per cui si possa dire che ha realmente definito la forma del sound musicale contemporaneo. Dal 2010 ad oggi non ha mai contaminato il suo stile, anzi l’ha raffinato, potenziato, isolandone i tratti distintivi. Con questo disco consolida la sua figura di outsider da qualsiasi altra cosa succeda nei meccanismi evolutivi di oggi. Blake è Blake e nessun altro, un mix perfetto di evoluzione e qualità impermeabile alle imitazioni, a meno di non perderci in efficacia. Qui la sua storia e l’influenza che ha avuto nella musica contemporanea.


8
Cosmo – L’Ultima Festa

L’unico italiano presente in classifica è un artista ormai maturo e completo, consapevole della propria identità e capace di esaltarne le caratteristiche. Spirito, fantasia, ispirazione e sostanza. Praticamente impossibile che non piaccia.


7
David Bowie – Blackstar

Non è escluso che la morte di David Bowie abbia di fatto accentuato l’attenzione che ognuno di noi ha messo nell’ascolto di Blackstar, agevolando la creazione di un legame particolare col disco. Ma se anche così fosse, è perfettamente legittimo: è pur sempre l’ultimo disco di Bowie e ha uno stile definito e una qualità incontestabile. La qualità è qualcosa che risiede molto più nel percepito che nell’oggettivo, e per l’impatto che ha avuto il 2016 nella nostra percezione quest’album non poteva mancare.


6
The Weeknd – Starboy

Proteste diffuse che il ritorno di The Weeknd abbia ceduto terreno dalla qualità rigorosamente neo-soul degli album precedenti, in favore di un sound più popolare e generalista? Legittime e comprensibili. Ma trovatecelo voi un altro capace di fare una mossa di questo tipo, con un disco capace di avere sia alcune delle tracce più gettonate in radio di quest’anno, sia la qualità di sempre nelle composizioni intimiste. E se quel che cercavate era la compattezza, siete degli irriconoscenti. Qui la nostra recensione.


5
Anderson .Paak – Malibu

Per chi proprio voleva qualità e rigore, poi, c’è Anderson .Paak. Probabilmente il produttore che ha sorpreso di più quest’anno, per come ha gestito tutto quel che girava intorno a sé: niente mosse di marketing, niente trucchi, solo un album di una qualità altissima, tra l’altro doppiata con l’altra uscita a nome NxWorries. Non esiste nessun altro che abbia avuto un ritorno così ampio di pubblico a parità di mezzi di copertura. Quando a parlare è la musica e solo quella. Qui la nostra recensione.


4
Leonard Cohen – You Want It Darker

Esattamente stesso discorso fatto per David Bowie. Giusto con una domanda aggiuntiva: per quanto la percezione sia stata alterata dalla sua scomparsa, davvero quella voce, quella capacità di conquistare con tale semplicità e con un sound così essenziale e facile da amare, davvero quest’album non sarebbe finito tra i top dell’anno anche se Cohen fosse stato ancora vivo?


3
Breakbot – Still Waters

E mentre tutti iniziano ad avere un rapporto controverso e difficile col sound disco che è imperversato tanto nelle produzioni di questo decennio, mentre i Daft Punk insistono con reazioni contrastanti e tutti gli altri che iniziano a farsi da parte, Breakbot resta fuori dai giochi. E confeziona il suo album più riuscito, orecchiabile e amabile per il suo appeal pop. Perché quando uno ha i numeri, tutti quegli stupidi discorsi sull’opportunità di un sound in un dato momento non valgono più nulla. Qui la nostra recensione.


2
Banks – The Altar

È difficile arrivare ai piani alti di un palcoscenico di visibilità tanto grande quanto le classifiche album di fine anno, se all’interno del bacino di pubblico a cui ti rivolgi resti dominata dal potere mediatico di gente come FKA Twigs o lo stesso The Weeknd. Banks questo lo sa e non ci fa caso. Lei si limita a coltivare il proprio stile, maturando e perfezionando i dettagli, lavorando sui testi, le armonie e tutto quello che la distingue dagli altri. E chi se ne importa se se ne accorgono solo coloro che la conoscevano già da prima. A volte può bastare. Qui la nostra recensione.


1
Max Cooper – Emergence

Il disco pensato e studiato per raccontare la storia del pianeta terrestre attraverso le leggi della fisica che lo governano è rimasto sotto la soglia di visibilità praticamente ovunque. Eppure resta il lavoro più ambizioso e impegnato dell’anno, capace di produrre niente di meno che la stessa qualità superiore propria di Max Cooper, la forza di quell’intelligenza emotiva che ha fatto funzionare tanti altri album negli ultimi anni e il fascino dello sconosciuto che non lascia mai l’ascolto. Se ne saranno accorti anche in pochi, ma non c’è album che rappresenta meglio il livello raggiungibile dalla produzione musicale contemporanea meglio di questo. Ve lo abbiamo raccontato qui.

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