L’anima oscura del trip hop: la storia dei Massive Attack

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Voi non c’eravate. A Bristol, tra gli anni ’80 e i ’90. Noi siamo cresciuti lì, nel centro esatto della cultura urbana, tra graffiti e sound systems. D’inverno la temperatura media era di cinque gradi, con 20 giorni di pioggia al mese. L’oscurità era la nostra compagna. È da lì che venne fuori Banksy (qualcuno pensa persino che Banksy siamo noi). La scena underground di Bristol e noi, i Massive Attack. Da quell’oscurità che tanti associarono alla nostra arte. E da lì nacque anche il trip hop, la musica di cui tutti si innamorarono negli anni ’90.

Da quella combinazione di elementi ambientali e fermento urbano, che diedero origine a quel tipo ben preciso di creatività. Nel caso di Banksy, era la lotta al carattere asfissiante della politica e dell’economia. Nel nostro caso, erano quei loop languidi che combinavano electronica, downtempo e elementi hip hop, e che venivano fuori così morbidi, emotivi, vagamente malinconici. La speranza e la depressione, i due volti dell’essere umano.

Ve ne parliamo perché, sapete, da sempre il trip hop viene identificato con noi. I Massive Attack e il trip hop. Il trip hop nasce e cresce con noi. Se non altro per questioni cronologiche. I Portishead pubblicarono il loro primo album nel 1994, Tricky (che aveva cominciato insieme a noi) arrivò alla sua prima release autonoma nel ’95, tutta la cosiddetta seconda onda dei Morcheeba, Sneaker Pimps e Lamb partì nel ’96, gli Unkle sarebbero arrivati ancora più avanti. Il nostro primo album, invece, è datato 1991. Blue Lines. Quello che conteneva Unfinished Sympathy, il singolo che venne definito “una delle canzoni più belle di tutti i tempi“.

Trasudava calore, quel pezzo. Trasudava bisogno di calore. Era caldo come il jazz, e per molti versi fu quello che diede identità al trip hop per diverso tempo. L’album conteneva anche l’altro singolo che girò molto a quei tempi, Safe From Harm, e in generale offriva perlopiù sensazioni rassicuranti, era soffuso e avvolgente. Eppure per noi il trip hop nascondeva altre possibilità. Erano dentro di noi, ancora come prima intuizione, ma stavano per venire fuori. Blue Lines fu il volto iniziale, innocente di quel sound. C’era un lato meno gentile, che poteva graffiare l’ascoltatore, e venne fuori abbastanza presto. Coi debutti dei Portishead e Tricky, appunto. E prima ancora col nostro secondo disco, Protection, anno 1994.

L’elemento di disturbo era qualcosa in essere fin dall’inizio. Il calore non poteva regnare indisturbato, non in un mondo come questo. Certo, era sempre presente (basti pensare alla titletrack e alla voce rassicurante di Tracey Thorn), ma accanto ad esso c’era tutto quello che presto avrebbe reso tanto affascinante e intrigante il sound trip hop. Il suono dell’abisso, la colonna sonora del marcio. O semplicemente, la musica dell’essere umano che realizza tutto ciò. È questo che venne fuori in Karmacoma (qui sopra), altro singolo amato da molti, anche per quel suo video che fa tanto Shining. Ed era qualcosa che doveva ancora espandersi. Fu da questa spinta che, dopo due album fondamentalmente caldi come Blue Lines e Protection, sentimmo il bisogno di fare qualcosa di totalmente diverso. Di totalmente nuovo.

Era il 1998 quando uscì Mezzanine, il freddo metallico della modernità tradotto in musica, il nostro disco di maggior successo in assoluto. Spinto prima dal singolo Risingson e poi da due video che han contribuito a costruire la nostra immagine visiva, Angel e Teardrop. Lo definiscono uno dei dischi più amati degli ultimi 30 anni e, dobbiamo ammetterlo, ci venne piuttosto bene. La tensione serpeggia in ogni traccia, tenendo connesso l’ascolto come la morsa di un serpente velenoso, ma nello stesso tempo ogni brano aveva un carattere tutto suo e l’ascolto offriva volti sempre diversi. Quella “cosa” in copertina rappresentava bene lo spirito: un po’ animale un po’ meccanico, per una musica che sapeva esaltare la componente umana (quanto amammo la voce di Sara Jay in Dissolved Girl), ponendola in contrasto vincente coi suoni artificiali dell’ansia moderna. Vent’anni dopo sta ancora in diverse classifiche degli album migliori di tutti i tempi.

Poi cominciò quel periodo strano, dopo che Daddy G lasciò e i Massive Attack divennero fondamentalmente un progetto singolo portato avanti da Robert Del Naja. Qualcosa che suonò sbagliato, a molti. L’immagine dei Massive Attack doveva molto anche all’accostamento tra le nostre due figure. Il piccolo bianco e il gigante nero. L’essenza dell’eterogeneità. L’origine di gran parte della nostra originalità e fantasia. Con l’assetto singolo ci fu anche un nuovo album, 100th Window. Non andò male, dentro ci finirono anche ospiti importanti come Sinead O’Connor e Damon Albarn, oltre al fedele Horace Andy, ma va detto, non piacque tanto quanto i nostri lavori precedenti. Era più cupo, più invernale del solito. Il video di Special Cases fu forse quello che espresse meglio il carattere per cui il nome Massive Attack era noto.

Quando Daddy G tornò a lavorare attivamente in studio, nel 2005, fu come una seconda nascita. Ricominciammo a scrivere musica con uno spirito rinnovato. E ci accorgemmo di colpo di una cosa. Una cosa che vi confessiamo quasi a bassa voce, senza che debbano per forza sentirla tutti quelli che hanno scritto di noi in passato. Ci accorgemmo che noi, i Massive Attack, in realtà siamo una rock band. Compositori di una musica che sa essere molto fredda e asettica, vero, ma in possesso di un carattere, un assetto e una modalità espressiva tipica di una rock band. È quello che ci differenzia dai Portishead, che restano sempre l’altro grande caposaldo del trip hop. Loro sono gli intellettuali, gli esteti, quelli che possono restare in silenzio per anni prima di pubblicare un disco, in cerca dell’espressione perfetta, pulita, libera da difetti. Noi, in fondo, siamo quelli sanguigni. In un modo o nell’altro ci siamo sempre. Tenendo sempre caldi gli entusiasmi del nostro pubblico, coccolandolo e dandogli l’energia di cui ha bisogno.

Heligoland, nel 2010, fu il ritorno su album della rock band Massive Attack. Un album umano, con le naturali imperfezioni di ogni prodotto umano, ma sincero. Rispettoso e rispettabile. Forse il disco più particolare della nostra discografia, quello che ha stupito di più. Con pezzi che di solito non facevano parte del nostro sound, come Paradise Circus (una vera e propria ballata) o Saturday Comes Slow (ancora con Damon Albarn, pezzo per il quale valeva la pena spendersi il termine trip rock, proprio a sottolineare la svolta). E intorno a quell’album proprio per tenere sempre più vivo il contatto con voi, ci fu quella serie di EP di cui si parlò tanto. Uscite più brevi ma più frequenti. Il nostro modo di far parte dell’era internet. Tra l’altro contenevano materiale in grado di far scalpore, come la collaborazione con Burial in Four Walls e la prima versione di Psyche (che molti ancora ci rimproverano di aver trascurato nella tracklist di Heligoland, in favore di una versione diversa).

E tutto questo è quello a cui state assistendo ancora adesso. Pubblicazione di nuova musica in maniera frequente, iniziative intriganti come la app Fantom rilasciata a inizio anno, quella che vi remixa la canzone ogni volta in modo differente, in base al battito cardiaco e alle condizioni ambientali. E video che lasciano il segno. Come Come Near Me con Ghostpoet (qui sopra), Take Me There con Tricky, Voodoo In My Blood con Young Fathers e Rosamund Pike direttamente da Gone Girl (qui sotto). Tutti ad anticipare il nuovo album, il sesto, che uscirà a breve. Il nostro modo di marcare ancora di più i contorni che delineano il nostro stile.

Vi piacerà, il nuovo album. Stiamo facendo in modo che tutto quello che avete amato e amate di noi venga esaltato il più possibile. È così che abbiamo conquistato tutti all’inizio, è così che abbiamo sempre mantenuto le promesse e rispettato le vostre aspettative. Il giorno che potrete dire ad alta voce che i Massive Attack vi avranno deluso, beh, quel giorno i Massive Attack saranno finiti. Ma quel giorno non è ancora arrivato.

Le monografie di Aural Crave sono monologhi immaginati in cui l’artista viene raccontato in prima persona. La verità che incontra l’interpretazione, un modo stimolante per riscoprire i personaggi chiave dei nostri tempi.

12 comments

  1. La “voce rassicurante” che canta Protection non è quella di Liz Fraser, è di Tracey Thorn.
    Ciao

  2. i Massive Attack erano 3 sino a Mezzanine: due neri ed un bianco; infatti fu proprio Mushroom (l’anima più soul ed hip hop del collettivo) ad abbandonare il progetto; di seguito Daddy G si è allontanato dal progetto per motivi familiari, non lo ha mai abbandonato 😉

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