Pop turns hot: come sta cambiando il ruolo del videoclip

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Non so voi, ma personalmente sto osservando il ruolo e l’evoluzione del videoclip nelle dinamiche musicali da diverso tempo. Il perché, se mi conoscete un po’, dovrebbe esservi chiaro: sono innumerevoli gli esempi in cui il video e in generale l’accostamento della fase visiva alla musica fa da catalizzatore per l’efficacia della musica e per la distribuzione sul pubblico, su Aural Crave non perdiamo mai l’occasione di segnalarvi le uscite video più rilevanti (le trovate sempre nell’apposita voce di menu) e le deduzioni che si possono fare sui casi più rilevanti sono emblematiche per capire non solo l’evoluzione del business musicale contemporaneo, ma più in generale della nostra società. Quando uscì Work, l’ultimo video piccante di Rihanna (a cui arriveremo tra un attimo), mi sono passate per la testa parecchie delle riflessioni di cui ho già scritto nel passato recente, e mi è subito apparso chiaro che stiamo già entrando nel livello successivo di una escalation ben precisa. Quindi quel che farò ora è presentarvi le ultime tappe di questa escalation, riprendendo alcuni miei articoli ancora attuali pubblicati negli anni, e offrirvi il mio modo di vedere le cose. Tutte. Inclusa Rihanna.

Le prime brutte impressioni arrivarono intorno al 2014, l’anno in cui il video pop divenne ‘hot’ e ci sfuggì di mano. Fu l’anno in cui uscì il video lesbo-erotico di Rihanna e Shakira (qui sopra), le chiappe lucide di Nicki Minaj e il record battuto da Jennifer Lopez e Iggy Azalea per il video con la più alta presenza di fondoschiena ever. Fu l’anno in cui mi costrinsi a ripercorrere il come eravamo arrivati a quel punto e come anni prima (a partire grossomodo dai ’90) le cose erano parecchio diverse. A quei tempi il video era fondamentalmente la chiave d’accesso per il pubblico delle music televisions e serviva per presentare al meglio i talenti degli artisti in questione. La componente sexy ovviamente c’era, ma era espressa generalmente in maniera velata e le artiste femminili non cedevano mai a certo eros esplicito in prima persona. Perché rappresentava ancora, in certi ambienti, una caduta di stile evitabile. Quel che era venuto fuori era un confronto con un pizzico di malinconia tra video passati dalla componente erotica mostrata con eleganza e moderazione (tipo quello storico di Chris Isaak con Laetitia Casta che vedete sotto) e le pose esplicite dei video moderni. Con la domanda aperta sul perché, davvero, ci sia così tanto bisogno di avvicinarsi all’erotico per una cantante dei giorni nostri.

La questione non è banale, se ci pensate. Perché è ovvio che il video deve colpire, colpire il più possibile e più gente possibile, ma non è detto che debba farlo per forza usando immagini erotiche. Questo è solo il retaggio dell’immaginario pubblicitario e mediatico dei tempi moderni e probabilmente rappresenta la scorciatoia più facile per ottenere l’obiettivo. Accanto a questo, modi ce ne sarebbero mille altri. Tipo tirare fuori un video divertente e demenziale che ti invita al replay facile, come han fatto lo Psy del Gangnam Style (ancora oggi il video più visto in assoluto su youtube) o Turn Down For What. Oppure farne una questione di talento vicino alla cinematografia, con un’idea ben sviluppata e rappresentata con tutti i crismi, tipo certi video dal fascino storico quali gli Unkle di Rabbit In Your Headlight (lì il regista era Jonathan Glazer) o l’epopea Depeche Mode creata da Anton Corbijn.

Questo è quel che accade quando a far video ci si mette gente specializzata. I veri registi insomma. Perché il videoclip può essere un piccolo capolavoro che rimane nel tempo, se dietro ci stanno dei professionisti del suono e dell’immagine. Ce ne sono tanti, eh. Tanti registi eccellenti e tanti artisti che ancora ci si affidano, per fortuna. Sempre nel 2014 mi capitò di ripensare a ciò che ci aveva offerto quello che probabilmente è il miglior regista di videoclip vivente: Michel Gondry. Uno che è stato in grado di mettere il genio nell’arte del video, cambiarne le sorti e farne dei lavori indimenticati. Perché è questo che dovrebbe fare ogni video, o perlomeno quelli che ambiscono ad essere qualcosa in più di un semplice video: elevare la dimensione musicale ad arte agglomerante, offrire un valore aggiunto alla musica, donare un’armonia nuova a un prodotto artistico già esistente (la musica) aggiungendoci una nuova sensibilità che stimola percezioni diverse (l’immagine). Valore aggiunto, appunto.

Molti artisti questo ormai lo sanno, e sanno sfruttarlo a proprio favore nel modo migliore. Ancora meglio, a volte l’artista è perfettamente consapevole che il video ne esalta i tratti, e per questo ci si concentra con energia moltiplicata. Al punto che quando li ascolti su album, dove tutto è fatto dalla musica e solo da essa, l’effetto ti sembra addirittura ridotto. È qualcosa che notai nel 2015 per due video usciti a poco tempo l’uno dall’altro, di due artisti chiacchieratissimi in questi anni: FKA Twigs e Flying Lotus. C’erano delle perplessità (personali, quantomeno) sull’efficacia del loro stile musicale quando questo prende tutto lo spazio, confrontato con quanto efficaci invece siano le loro escursioni in ambito video. Segno che il valore aggiunto che dicevamo prima c’è e a volte incide moltissimo. Flying Lotus e FKA Twigs questo sembrano averlo capito benissimo e infatti su questo ci scommettono praticamente tutto. Lo stesso fanno tanti altri. Come gli Ok Go, che coi video ci hanno praticamente costruito la loro miglior fama e che sono tornati da poco, con un altro esempio di prodotto artistico in cui la cosa migliore non è né la musica di per sé, né le immagini di per sé, ma il modo in cui audio e video per l’appunto si combinano.

Tutto questo per dire che gli strumenti ci sono. Ancora oggi. E se si vuol far parlare di sé via video tramite corpi seminudi e movimenti erotici, lo si fa per scelta esplicita. E qui torniamo a Rihanna. Che nel primo articolo che citavo, in realtà la consideravo una delle prime possibili cause di questa nuova onda di esposizione esplicita del proprio corpo da parte delle popstar moderne (ve la ricordate quando arrivò, tutta sbarazzina e orgogliosa del proprio corpicino caraibico, in Pon De Replay?). E che torna con Work, insieme a Drake, in un video che in realtà sono due video, uno di seguito all’altro, sempre con la stessa canzone sullo sfondo, giusto per accentuare ancor di più come stavolta la dimensione visiva voglia catturare tutta l’attenzione rispetto alla traccia. Traccia che di fatto – diciamolo – è abbastanza insulsa. Ma ciò non esclude la potenziale popolarità che tale video avrà nei prossimi giorni. Perché? Perché dentro c’è un corpo noto a tutti, alle prese con movimenti voluttuosi e abiti succinti che non lasciano nulla all’immaginazione. Eccolo, il valore aggiunto stavolta. Di rilevante non c’è nient’altro.

E se ora vi sto facendo sto pippone immenso su come la componente erotica esplicita stia rovinando l’arte video contemporanea non è per moralismo. Figuriamoci, posso essere un grande fan dell’arte erotica, se fatta bene. Questa però non è arte erotica, sono facili costumi usati per ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. E più questo diventa pratica comune, più l’arte del videoclip ne verrà corrotta nella pratica quotidiana. Ecco, è questo che più mi sta a cuore, la potenziale degenerazione dell’arte del videoclip e la conseguente perdita del valore dei veri video. Come con l’avvento del 3D si è perso il vero valore del cinema e di nuovi Hitchcock ai giorni nostri non ce n’è più.

Quel che mi piacerebbe vedere è più video fatti con ingegno e idee e meno teatrini dell’erotico. Perché il vero valore aggiunto nell’arte è avere intuizione, senso dell’estetica e coraggio. E niente di tutto questo è presente nei balletti col culo appiccicato al pacco di rapper a caso da parte di Rihanna, Beyoncé e le altre popstar a luci rosse. I tempi cambiano, è inevitabile, ma non sempre il cambiamento va nella direzione giusta, e la cosa migliore che possiamo fare è ribadirlo ogni volta che ce n’è la necessità. Nella speranza che le cose non degenerino ancora più velocemente nei prossimi tempi.

2 comments

  1. Un bellissimo articolo, di cui condivido in generale le posizioni. Ho proprio pochi giorni fa rivisto molti dei video di Rihanna, dagli esordi a Work, notandone l’escalation erotica, ai limiti del prevedibile e dello stereotipo. Mi stupisce che Work non sia neanche un singolo che sembrava potesse dare adito a chissà quale video di carica erotica, ma ci hanno ficcato dentro un twerking che al contrario lo ha fatto diventare immediatamente virale!

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