Gli anni d’oro del Real Madrid di Di Stefano

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“La gente discute di Pelé e Maradona, ma per me il migliore è stato Di Stéfano.”

Pelé

Santiago Bernabeu è stufo e non lo nasconde più. Da quando è presidente ha dovuto assistere alle vittorie del Barcellona, del Valencia, dell’odiato Atletico Madrid e persino del Siviglia, mentre il suo Madrid, che di Real ha veramente poco, ha recitato sempre il ruolo della comparsa.

Anche l’immenso stadio Chamartin, che ha fatto costruire dopo la sua elezione, aspetta dal 1947 di celebrare qualcosa d’importante, ma il Real Madrid all’inizio degli anni cinquanta è una squadra che prova disperatamente a diventare grande, fallendo però ogni volta.

Bernabeu sa di avere molti ottimi elementi nel club, come i due pilastri del centrocampo Miguel Munoz e José Maria Zarraga, il roccioso difensore Rafael Lesmes, l’inesauribile ala Joseito e il prolifico attaccante Pahino, ma capisce che per colmare il gap con le altre pretendenti della Liga serve un fuoriclasse, uno che faccia davvero la differenza.

Il 30 marzo 1952 al Chamartin si disputa la finale di un torneo amichevole in cui il Madrid deve vedersela con i Millonarios di Bogotà: i ben informati gli dicono che l’uomo che cerca disperatamente gioca proprio con i colombiani e deve assolutamente vederlo in azione. Sembra infatti che ci sia la possibilità di acquistare Alfonso Pedernera, il formidabile attaccante che gioca da qualche anno nei Millonarios: certo, è un po’ avanti con gli anni, ma sembra che la sua classe sia intatta.

Al presidente l’idea non dispiace: magari Pedernera potrebbe essere davvero la soluzione alla sua famelica voglia di vincere, anche perché el Maestro è stato l’uomo simbolo della Maquina, lo straordinario River Plate che ha dominato il calcio argentino degli anni quaranta.

Così il giorno della finale il presidente si siede sugli spalti del suo stadio, pronto a godersi il talento di Pedernera: la partita è a senso unico e i colombiani surclassano il Madrid per 4 a 2, ma a Bernabeu non importa, perché sente che la sua ricerca del campione è giunta al termine.

Pedernera? Bravo sì, non c’è che dire, ma Bernabeu vede di meglio. A catturare la sua attenzione è un biondino argentino che infila due goal nella porta del Madrid e sembra calamitare tutti i palloni, nascondendoli volentieri ai disorientati difensori in camiseta blanca: si chiama Alfredo Di Stéfano.

Alfredo Di Stéfano: un ingaggio impossibile

In patria lo chiamano la Saeta Rubia (la freccia bionda) per la travolgente velocità con cui sembra volare in ogni zona del campo, dando la sensazione di essere ovunque.

Ma Alfredo non è solo un’atleta eccezionale: ha un’intelligenza calcistica superiore e comprende il gioco meglio degli altri, dirigendo la squadra come un consumato direttore d’orchestra.

È lui che imposta il gioco con passaggi illuminanti, è lui che disorienta l’avversario con secchi dribbling, è sempre lui che sa già come finirà la manovra: di solito con un suo goal.

A fine incontro Bernabeu corre a parlare con i dirigenti colombiani: vuole assolutamente questo ragazzo, che può essere la stella con cui illuminare finalmente il Chamartin.

Senior, il proprietario dei Millonarios sarebbe anche aperto alla cessione del giocatore, ma avverte l’amico Bernabeu che il suo club non è affiliato alla FIFA e quindi l’eventuale cessione di Di Stéfano non è semplice a livello burocratico, anzi è quasi un ginepraio.

Il presidente viene a sapere che nel 1949 un Di Stéfano desideroso di un ingaggio migliore è letteralmente fuggito dall’Argentina per accasarsi proprio ai ricchi Millonarios: in Colombia ha trovato lo stipendio principesco che cercava, mentre il suo club, il River Plate, si è visto scippare il suo talento senza alcun riconoscimento.

Per questo secondo la FIFA chi vuole ingaggiare Di Stéfano non deve andare a Bogotà, ma a Buenos Aires, perché è il River a detenerne ancora il cartellino.

Bernabeu stacca un assegno di oltre un milione di pesetas e intanto si accorda con i colombiani: per quanto riguarda gli argentini prende tempo, magari dopo tanti anni saranno un po’ accomodanti.

La sua speranza si accartoccia quando il River gli comunica che qualcuno lo ha anticipato e che il Barcellona del presidente Marti’ ha acquistato per quattro milioni di pesetas i diritti del giocatore.

Bernabeu è spiazzato, mentre Marti’ si vanta con la tifoseria, che già sogna la devastante coppia formata con il fuoriclasse magiaro Laszlo Kubala.

In teoria entrambi i club possono dichiararsi proprietari del cartellino e solo la FIFA potrebbe dirimere questa vicenda, ma se ne guarda bene e delega alla federazione spagnola.

Il verdetto è salomonico: Di Stéfano vestirà le maglie di entrambi i club, alternandosi due anni a Madrid e due a Barcellona.

Intanto in Colombia la federazione calcio ha deciso di aderire alla FIFA: questo comporta l’automatico annullamento dei contratti firmati dai giocatori nel caso in cui non ci sia stato un risarcimento economico ai club di provenienza.

Di Stéfano abbandona Bogotà, ma non avendo ancora una squadra in cui giocare deve restare fermo per mesi, mentre la guerra tra Real Madrid e Barcellona infuria sui giornali.

Infatti, nonostante la federazione spagnola abbia puntato a non scontentare nessuno degli agguerriti contendenti, ha raggiunto l’effetto contrario: alla fine un Barcellona sventrato dalle polemiche e dalle dimissioni di un contestato Marti’ fa un passo indietro e rivende a suon di pesetas la Saeta Rubia ai madrileni.

Bernabeu ottiene finalmente il fuoriclasse che cercava, ma i costi sono esorbitanti, anche perché l’argentino spara alto per l’ingaggio e le casse madrilene si svuotano: stavolta il Madrid deve vincere per forza.

Gli anni d’oro del Real Madrid

Alfredo Di Stéfano "La Saeta Rubia" - best goals and skills

E vince: nel campionato 53/54 Di Stéfano impone subito il suo dominio con 27 goal, che gli regalano non solo la vetta della classifica cannonieri (la prima di cinque), ma contribuiscono anche all’affermazione dei blancos nella Liga spagnola dopo oltre un ventennio.

Di Stéfano, come Valentino Mazzola prima di lui, ha l’imprinting del calciatore “totale”, solo che Alfredo fa tutto a una velocità folle e sembra essere ovunque.

La sua venuta in Europa ha il sapore della rivoluzione: non si è mai visto uno che, partendo da centravanti, sappia coordinare il gioco come un centrocampista e, quando serve, aiutare la difesa nei recuperi.

La squadra lo segue e si abitua a giocare come il suo nuovo padrone vuole: palla a terra, scambi veloci, verticalizzazioni improvvise e devastanti. 

Il presidente Santiago si stropiccia le mani e sogna sempre più in grande: porta il suo Chamartin (ribattezzato Bernabeu in suo onore) alla capienza di 125.000 spettatori, pronto a reinvestire gli incassi in nuove stelle.

Acquista dal Racing Santander Francisco Gento, una giovane ala che è addirittura più veloce di Di Stéfano, ma i due all’inizio non sembrano intendersi. Alfredo riconosce nel ragazzo il pedigree del campione e suggerisce la soluzione: Héctor Rial, mezzala dai piedi sopraffini del Nacional di Montevideo.

Rial guida in campo e fuori l’acerbo Gento trasformandolo con i suoi consigli e i suoi passaggi nella spalla ideale di Di Stéfano, che non si fa pregare per insaccare i deliziosi cross del funambolo spagnolo.

Con gli innesti dei due nuovi campioni a dargli man forte la storia si ripete: la Saeta Rubia regala un altro titolo al Real Madrid, che acquisisce così il diritto di giocare nella stagione 55/56 nella prima edizione della Coppa dei Campioni.

La manifestazione nasce con lo scopo di stabilire finalmente dopo anni di discussioni e polemiche chi sia il club continentale più forte: per questo è riservata alle squadre vincenti nei rispettivi campionati.

In campionato stavolta i blancos arrivano solo terzi, mentre in Europa avanzano fino alla finale.

Al Parco dei Principi di Parigi li aspetta lo Stade Reims di Raymond Kopa: dopo dieci minuti i madrileni sono sotto di due goal, ma prima Di Stéfano e poi Rial riportano il risultato in parità.

I francesi ribadiscono nel secondo tempo di essere particolarmente in palla e vanno in vantaggio, ma Marquitos li riacciuffa subito e Rial sancisce il definitivo 4 a 3 sulla squadra di Kopa.

Proprio Kopa è il regalo che Bernabeu si fa per rafforzare i neo vincitori della prima edizione della Coppa dei campioni, aggiungendo così un altro giocatore in grado di unire alle spiccate qualità tecniche un dribbling ubriacante.

In quanto detentore del trofeo il Real Madrid partecipa anche nel 56/57 alla Coppa dei Campioni, la cui finale è prevista proprio al Chamartin e i blancos non la mancano.

L’avversario è la Fiorentina, che prova a giocarsela a viso aperto, ma Di Stéfano e Gento non lasciano scampo: il 2 a 0 vale la seconda Coppa dei Campioni.

Nella Liga i madrileni vincono il loro quinto titolo e Di Stéfano, ora divenuto cittadino spagnolo, conquista anche il premio riservato al miglior calciatore europeo, il Pallone d’Oro 1957: per chi avesse ancora qualche dubbio è lui il re del calcio.

Bernabeu inizia a prenderci gusto e rafforza stavolta la linea difensiva con l’insuperabile difensore José Santamaria, destinato a diventare un’altra delle colonne della squadra.

La stagione 57/58 è un copia/incolla della precedente: i blancos sono campioni di Spagna e in Europa arrivano in finale strapazzando le avversarie senza particolari patemi.

A Bruxelles li attende il Milan del Barone Nils Liedholm e del geniale Juan Alberto Schiaffino, considerato l’unico rivale degno di contendersi con Di Stéfano lo scettro di miglior giocatore del mondo.

Dopo un primo tempo interlocutorio la partita nello stadio Heysel si sviluppa nel secondo tempo: al sessantesimo Schiaffino segna il vantaggio del Milan, che Di Stéfano annulla poco dopo; poi Grillo porta di nuovo i rossoneri avanti, ma il goal di Rial costringe le due squadra ai supplementari.

È Gento a mettere fine alla contesa e a regalare sul finire del secondo tempo supplementare la terza Coppa dei Campioni consecutiva ai madrileni.

Vincere non è facile, ma ripetersi è spesso impossibile: Bernabeu lo sa e scandaglia il mercato per aggiungere nuove stelle e continuare a scrivere altre pagine di successi.

Anche volendo, però, non è semplice: chi aggiungere a una squadra che può vantare Kopa (Pallone d’Oro 1958), Rial, Zarraga, Santamaria, Gento e il più forte di tutti, la Saeta Rubia?

Il presidente ci prova con Pelé, fenomeno esploso nei Mondiali di Svezia: il giovane brasiliano prima apre al trasferimento, poi inizia a tentennare, frastornato dalle tante offerte che gli piovono addosso e dalla poca voglia di lasciare casa.

Bernabeu, poco abituato a chi non si concede alle sue lusinghe, molla il futuro O Rei e sguinzaglia i suoi alla ricerca di qualcuno degno della camiseta blanca.

Un suo dirigente ungherese gli sussurra un nome e conquista subito il suo interesse: Ferenc Puskàs.

Puskàs al Real Madrid

LA HISTORIA DE FERENC PUSKÁS 🇭🇺⚪️ | De COMANDANTE de GUERRA a LEYENDA del REAL MADRID👑

Solamente due anni prima, al solo pensiero di prendere l’uomo simbolo della fortissima Honvéd e dell’Ungheria campione d’Europa, Bernabeu sarebbe partito in quarta, pronto a radere al suolo ogni ostacolo che si frapponesse tra lui e un simile gioiello. Ma ora? Tutti sapevano delle peripezie del magiaro, della sua fuga dopo la rivoluzione ungherese, del suo rifiuto a rientrare in patria dopo la sanguinosa repressione sovietica, della squalifica della FIFA, della pancia che ora lo faceva assomigliare a un ex.

Però Bernabeu si lascia convincere: la squalifica scade proprio in quel periodo e poi vuoi mettere cosa potrebbe fare un Puskàs rigenerato assieme a Di Stéfano?

Ferenc viene invitato a Madrid: sa bene che con una carriera come la sua e soprattutto con un sinistro come il suo la convocazione non è per un provino, ma per controllare se il suo girovita è più grande del suo curriculum.

Quando Bernabeu gli parla si accorge che non smette di fissargli la pancia: Puskàs parte in contropiede e indica il prominente gonfiore sull’addome del presidente e, in uno spagnolo stentato, gli dice che la pancia è un problema più suo.

Bernabeu si controlla le sue rotondità e concorda con il suo ospite dal sorriso furbo: il provino finisce praticamente lì e Ferenc va in goal senza toccare un solo pallone.

Puskàs si sottomette a una rigidissima preparazione per recuperare la forma, anche perché deve fare colpo sull’altro padrone della squadra, che non è molto convinto del nuovo innesto.

I dubbi di Di Stéfano non riguardano certo il talento del magiaro, ma l’inserimento di una simile primadonna in uno spogliatoio già gonfio di ego ipertrofici (il suo più di tutti): sarà un bene per il Madrid?

Puskàs sa bene che la squadra appartiene alla Saeta Rubia e si mette a disposizione dell’argentino, con cui scocca l’intesa in campo e fuori: per Alfredo, Ferenc diventa “il Professore” (gli altri nello spogliatoio lo battezzano con minor reverenza “Pancho”) e i due iniziano a scrivere la storia della più forte coppia di attaccanti mai vista in un club.

Il primo anno assieme segnano in campionato 44 goal e Di Stéfano si conferma ancora come il più prolifico nella Liga, ma i blancos non riescono a tenere testa al Barcellona dei tre grandi magiari Czibor, Kocsis e Kubala, che riportano il titolo in Catalogna.

In Coppa dei Campioni, dopo un duro scontro con i cugini dell’Atletico in semifinale, i madrileni approdano all’ennesima finale, stavolta a Stoccarda.

Puskàs è combattuto, perché potrebbe finalmente coronare un traguardo che la storia e la politica avevano negato alla sua Honvéd, ma alla fine preferisce non rischiare la trasferta in un paese così vicino alla temuta Cortina di ferro: il Real Madrid se la dovrà vedere con lo Stade Reims del prolifico Just Fontaine senza di lui.

Le merengues vincono 2 a 0 in una partita senza storia, con goal di Enrique Mateos (che non sfigura al posto di Ferenc) e del solito Di Stéfano: e sono quattro su quattro.

Nella stagione 59/60 il Real Madrid affida la panchina a Munoz, ritiratosi da poco, e perde Kopa, che preferisce tornare in Francia: i blancos lo rimpiazzano con il fuoriclasse brasiliano Didì, la cui indole sorniona si integra poco con l’ossessione per la vittoria del neo Pallone d’Oro Di Stéfano, che chiede a Bernabeu di liberarsene a fine stagione.

Puskàs decide che può iniziare a fare sul serio e s’impone come cannoniere sia in Spagna che in Europa (nella Liga lo sarà altre tre volte e in Coppa altre due), trascinando la squadra fino in fondo in entrambe le competizioni.

In campionato i madrileni lottano punto su punto con il Barcellona, con cui concludono la Liga in parità, ma perdono il titolo per la peggiore differenza reti.

In Coppa dei Campioni, dopo aver eliminato in semifinale il Barcellona, il Real Madrid sfida nella finale di Glasgow l’Eintracht Francoforte.

Di fronte a quasi 130000 spettatori i blancos impongono la propria superiorità e seppelliscono i tedeschi con un netto 7 a 3 (4 reti per Puskàs e 3 per Di Stéfano), portandosi a casa la quinta coppa consecutiva.

Nell’estate seguente i madrileni sconfiggono il Penarol, detentore della Coppa Libertadores, diventando i primi detentori della Coppa Intercontinentale.

La fine di un ciclo

Dalla stagione successiva il Real Madrid continua a essere dominante in casa, raggranellando quattro titoli consecutivi, mentre in Coppa dei Campioni perde la sua egemonia, mostrando il logorio di tanti anni al vertice.

Nel 60/61 vengono eliminati dal Barcellona agli ottavi e l’anno successivo tornano ancora in finale pronti a spodestare i detentori del Benfica.

Ad Amsterdam Puskàs firma una doppietta e a metà primo tempo c’è già chi pensa che la coppa sia pronta a tornare a Madrid, ma i lusitani prima accorciano con Aguas e poi pareggiano con Cavem.

Il “professore” Ferenc riporta di nuovo il Madrid in vantaggio prima dello scadere, ma le sensazioni non sembrano buone: il secondo tempo il Benfica appare più in palla, mentre le merengues non riescono a stare al passo.

Al pareggio di Coluna non c’è nessuno degli assi madrileni che sappia rispondere e così sale in cattedra Eusebio, che infila una doppietta per il 4 a 2 finale.

L’Europa nel 62/63 è amara e li vede uscire al primo turno per mano dell’Anderlecht; l’anno dopo, però, ritornano ancora in finale, stavolta contro l’Inter guidata dal vecchio rivale Herrera.

I milanesi sono giovani e pronti a prendersi la scena e infatti riescono a imporsi per 3 a 1 grazie a una doppietta di Mazzola e una rete di Milani, mentre i madrileni segnano il goal della bandiera con Felo.

Il Real Madrid che scende in campo è una squadra ormai a fine ciclo, su cui pesa inoltre anche il tremendo faccia a faccia che si è consumato a poche ore dalla finale di Vienna tra Di Stéfano e Munoz.

La Saeta Rubia e il suo amico ungherese sanno essere ancora strepitosi, ma la carta d’identità inizia a pesare e l’allenatore spinge da mesi con Bernabeu per un drastico rinnovamento della squadra.

Il presidente resta vago e prende tempo: a Ferenc è troppo affezionato e poi Alfredo è come un figlio, tanto che è pronto un nuovo contratto da firmare.

Ma nello spogliatoio di Vienna Di Stéfano critica aspramente le scelte tattiche del suo ex compagno, che sceglie di marcare Facchetti a uomo: la discussione deflagra in uno scontro che lascia più di uno strascico.

Dopo la sconfitta i due continuano a farsi la guerra: Bernabeu si trova così alle strette e alla fine sceglie l’allenatore, proponendo a Di Stéfano un ruolo in dirigenza.

Ma Alfredo, che si sente ancora un giocatore, non ci sta e va a giocare all’Espanyol, dove dura altri due anni senza incidere.

Con Bernabeu finisce male e volano parole grosse, ma quando l’argentino decide che a quarant’anni è un buon momento per fermarsi è proprio il presidente a chiamarlo per proporgli di giocare la partita d’addio al Chamartin.

Certi amori, si sa, non finiscono e così nel giugno 1967 Di Stéfano indossa per l’ultima volta la camiseta blanca contro i neo campioni d’Europa del Celtic Glasgow, giocando solo i primi venti minuti di fronte a 120000 tifosi osannanti.

Nell’estate 2014, pochi mesi dopo che il Real Madrid ha alzato la decima Coppa dei Campioni, il suo cuore decide che può bastare e stavolta è un addio definitivo: per la Saeta Rubia, capace di rivoluzionare il calcio combinando atletismo, velocità, inventiva e leadership, è ora il tempo di correre altrove.