L’omicidio di Lidia Macchi

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5 Gennaio 1987. Lidia Macchi è una ragazza di 21 anni, originaria di Varese. Una giovane estroversa e solare che studia giurisprudenza all’Università di Milano, appassionata di sport, con una profonda fede cattolica e iscritta a Comunione e Liberazione.

Lidia è sempre pronta a dare supporto alle persone che le vogliono bene ed è per questo che quella sera decide di andare a fare visita a un’amica ricoverata a seguito di un incidente stradale. Alle 19:00 esce di casa e si reca con l’auto del padre all’ospedale di Cittiglio, dove resta a parlare con l’amica fino alle 20:15, quando termina l’orario delle visite e Lidia ritorna nel parcheggio, dirigendosi verso la macchina.

La scomparsa

Sono ormai le 21:00 e Lidia non è ancora tornata a casa. I genitori sono allarmati: è strano che la figlia abbia fatto tardi senza avvisare nessuno. Passano altre due ore ma la ragazza non si fa sentire: a questo punto il padre si dirige all’ospedale, accorgendosi che nel parcheggio non è presente l’auto. Nessuno l’ha più vista dopo le 20:15, orario in cui è uscita dalla struttura.

La situazione viene denunciata alla Polizia: si avviano le ricerche, è difficile dare un’interpretazione a questa misteriosa scomparsa. Tutti sono preoccupati per questa circostanza e anche gli amici di Lidia si organizzano per partecipare alla ricerca. Si dispongono in gruppetti e si mettono a perlustrare le zone. È così che verrà fatta una scoperta agghiacciante.

7 Gennaio. Sono le 10:25 quando un gruppo composto da tre amici di Lidia sta cercando nel bosco di Sass Pinin, a due chilometri dall’ospedale di Cittiglio. Lungo la strada sterrata avvistano l’auto che Lidia aveva utilizzato per andare a trovare l’amica due giorni prima, in stato di abbandono. Avvertono immediatamente i Carabinieri.

Gli agenti arrivano sul posto, rendendosi conto di quello che è successo alla ragazza. Lidia giace accanto alla macchina in posizione prona, il suo corpo coperto da un cartone. È stata attinta da 29 coltellate distribuite tra mano sinistra, torace, gola, collo, coscia sinistra e schiena. Una furia cieca e spietata.

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Nel sedile anteriore dal lato del passeggero è presente una macchia di sangue. Le chiavi del veicolo risultano essere inserite nel quadro. L’azione omicidiaria ha avuto inizio all’interno dell’auto e si è conclusa appena fuori, nel punto in cui Lidia è stata ritrovata. La vittima ha avuto o ha subito un rapporto sessuale in un arco temporale compreso tra 30 minuti e 3 ore prima della morte, perdendo la sua verginità. Viene recuperato del liquido seminale.

Un delitto particolarmente barbaro e spietato, un accanimento inspiegabile nei confronti di una giovane donna. Chi può essere stato?

Le indagini cercano di vagliare tutte le piste.

Il sacerdote

Viene iscritto nel registro degli indagati Don Antonio Costabile, sacerdote di 38 anni, uno dei primi ad essere arrivato sul posto quando venne scoperto il cadavere di Lidia. Don Antonio dette la benedizione al corpo martoriato di quella ragazza che conosceva bene, in quanto frequentatrice di ambienti religiosi.

Viene interrogato dagli inquirenti, il suo alibi sembra vacillare. Qualcuno inizia a sostenere l’esistenza di una relazione tra il sacerdote e la giovane, in quanto Lidia sul suo diario aveva fatto riferimento a un “amore impossibile”. Un collegamento assai flebile, una frase che poteva alludere a milioni di altre cose e che non poteva certo rappresentare la prova dell’esistenza di un certo tipo di rapporto.

Con il passare del tempo la pista perde sempre più spessore, tuttavia Don Antonio Costabile resta formalmente indagato fino al 2014, anno in cui sarà definitivamente prosciolto. Dopo 27 anni viene liberato da qualsiasi ombra di sospetto, un fatto che attesta la sua innocenza. Una persona rimasta sfortunatamente inglobata in questa triste vicenda. E, come vedremo più avanti, non è l’unica.

Il molestatore del parcheggio

I Carabinieri recuperano una serie di testimonianze relative alla presenza di un individuo che si aggirava nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio infastidendo le donne, nei giorni precedenti all’omicidio di Lidia. Tre ragazze riferiscono di essere state importunate da un soggetto inquietante, apparentemente tra i 30-35 anni, capelli ricci scuri e folti baffi. Viene realizzato un identikit.

Lidia è stata forse avvicinata e intrappolata da quel soggetto? Un’ipotesi che sembrerebbe possibile, considerata anche la corrispondenza con l’ultimo luogo in cui venne avvistata la ragazza in vita.

La pista venne inizialmente vagliata ma l’uomo in questione non venne identificato e successivamente le indagini degli inquirenti si concentrarono maggiormente su conoscenze, amicizie e ambienti ecclesiastici piuttosto che sulla possibilità di un maniaco occasionale. Non emerse niente di significativo e l’investigazione raggiunse un punto di stallo, diventando un cold case.

Il killer delle mani mozzate

Dopo anni di silenzio l’indagine viene ufficialmente riaperta nel 2013. Nel mirino degli inquirenti, su segnalazione delle figlie, entra Giuseppe Piccolomo. 58 anni, ex imbianchino, diventato noto alle cronache nel 2009, quando si rese autore di uno dei delitti più grafici e brutali mai visti in Italia.

Era il 6 Novembre 2009 quando venne rinvenuto, all’interno della sua casa, il cadavere di Carla Molinari, una signora di 82 anni residente a Coquio Trevisago. Uccisa da 22 coltellate, un profondo colpo di arma da taglio alla gola che l’aveva quasi decapitata. L’assassino le aveva tagliato le mani, portandosele via. Il killer aveva in seguito inquinato la scena del crimine, spargendo dei mozziconi di sigaretta non fumati da lui e lasciando delle impronte di scarpe che seguivano un percorso illogico.

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Dopo tre settimane di indagini venne individuato Giuseppe Piccolomo, grazie alla testimonianza di una donna che lo vide qualche giorno prima dell’omicidio, intento a raccogliere sigarette dai posaceneri di un centro commerciale. A casa sua venne localizzato un coltello con tracce genetiche di Carla Molinari. L’uomo viene condannato all’ergastolo nel 2011.

Piccolomo aveva già avuto guai con la Giustizia quando venne condannato per omicidio colposo nei confronti della moglie, morta a causa di un incidente stradale dove restò bruciata viva, scontando un anno e tre mesi di carcere.

Giuseppe Piccolomo viene sottoposto ad indagini ed emergono alcune cose sul suo conto : nel periodo dell’omicidio di Lidia Macchi risiedeva in un paese limitrofo al luogo dell’omicidio, ai tempi aveva caratteristiche fisiche simili a quelle del molestatore che si aggirava nel parcheggio dell’ospedale.

L’ipotesi Piccolomo ha una sua logica e per questo motivo vengono disposti ulteriori accertamenti : purtroppo molti dei reperti, tra cui il liquido seminale recuperato dal corpo della vittima, erano stati distrutti nel 2000 e non era perciò possibile fare delle comparazioni. Viene fatto un confronto tra il DNA dei reperti rimasti e quello di Piccolomo, il risultato dimostra che non combaciano. Nel 2014 cade anche questa ipotesi. Una pista che sembrava promettente ma che non ha fornito esiti positivi per l’identificazione di un colpevole. Per la Procura è tutto da rifare.

In morte di un’amica

Nel Maggio 2015 emerge una nuova linea d’indagine, che prende spunto da un fatto accaduto pochi giorni dopo il delitto.

Il 10 Gennaio 1987 i familiari di Lidia Macchi ricevettero una lettera anonima, scritta a mano, intitolata “in morte di un’amica”. Il testo recitava:

La morte urla
contro il suo destino.
Grida di orrore
per essere morte:
orrenda cesura,
strazio di carni.
La morte grida
e grida
l’uomo della croce.
Rifiuto, 
il grande rifiuto. 
La lotta
la guerra di sempre.
E la madre, 
la tenera madre
coi fratelli in pianto.
Perché io.
Perché tu.
Perche’, in questa notte di gelo, 
che le stelle son cosi’ belle,
il corpo offeso,
velo di tempio strappato,
giace.
Come puoi rimanere 
appeso al legno.
In nome della giustizia,
nel nome dell’uomo
nel nome del rispetto per luomo
passi da noi il calice.
Ma la tetra signora
grida alte
le sue ragioni.
Consumatum est
questo lo scotto
dell’antichissimo errore.
E tu
agnello senza macchia.
E tu
agnello purificato
che pieghi il capo
timoroso e docile,
agnello sacrificale, 
che nulla strepiti, 
non un lamento.
Eppure un suono,
persiste una brezza
ristoro alle nostre
aride valli
in questa notte di pianti.
Nel nome di lui,
di colui che ci ha preceduti,
crocifissa, 
sospesa a due travi.
Nel nome del padre
sia la tua volontà.

Una missiva criptica e misteriosa, la cui paternità non era mai stata attribuita e che rappresentava una delle tante domande senza risposta di questo caso.

Ad Ottobre del 2014 gli inquirenti ricevono una segnalazione da parte di una donna, la quale dopo aver visto la foto della lettera originale che era stata pubblicata su un quotidiano, dichiara di riconoscere quella calligrafia e che si tratta della scrittura di un suo amico del liceo: Stefano Binda.

Binda, 47 anni, ai tempi aveva frequentato lo stesso liceo di Lidia per un anno ed era stato membro di Comunione e Liberazione. Laureato in filosofia, è una persona colta, ha un linguaggio forbito e quando parla riesce a catturare l’interesse delle persone. Lavora come supplente, vive insieme alla madre e alla sorella. Nel corso della sua vita ha avuto problemi di tossicodipendenza e ha trascorso un periodo in comunità.

La sua abitazione viene perquisita e viene trovata un’agenda su cui sono riportate le seguenti parole: “caro Stefano sei fregato, potrebbero strapparti gli occhi o strapparteli con le tue mani, ma quello che hai visto l’hai visto e cosa…”

Su un altro blocchetto è presente questa frase “Stefano è un barbaro assassino.”

Tra gli inquirenti si affacciano diverse ipotesi: era Stefano Binda l’”amore impossibile” di cui parlava Lidia? Stefano voleva avere una relazione con Lidia? Quelle frasi sulle agende rappresentano una confessione oppure fanno riferimento a tutt’altro e non hanno niente a che vedere con l’omicidio?

Il 15 Gennaio 2016 l’uomo viene arrestato e mandato a processo.

Binda dichiara di avere un alibi, la settimana dell’assassinio si trovava in vacanza a Pragelato. Tuttavia gli inquirenti mettono in dubbio la veridicità dell’alibi, soltanto uno dei ragazzi presenti a quella vacanza si ricorda della presenza di Stefano.

Per quanto riguarda le analisi genetiche, il corpo di Lidia viene riesumato e in prossimità del pube vengono trovate quattro formazioni pilifere appartenenti a una persona sconosciuta. Vengono comparate con Binda, ma non c’è corrispondenza. Anche sul resto dei reperti viene effettuata la comparazione, e anche su di essi non risulta nessuna traccia dell’indagato, neanche sulla lettera “in morte di un’amica”.

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Tuttavia gli inquirenti, in seguito ad un’analisi grafologica, lo ritengono responsabile di essere l’autore di quella missiva. Sostengono che la busta potrebbe essere stata chiusa da un’altra persona oppure che le tracce presenti siano riconducibili a una contaminazione. Per quanto riguarda le frasi sulle agende ipotizzano che siano scaturite dal fatto che l’imputato fosse tormentato dall’aver commesso un delitto e si sia sfogato scrivendo quegli appunti.

Secondo la loro ricostruzione dei fatti Lidia e Stefano si erano incontrati quella sera all’uscita dell’ospedale, si erano diretti al bosco di Sass Pinin dove Binda l’avrebbe costretta ad avere un rapporto sessuale. Al termine di ciò si rese conto di aver messo in atto una violenza e, temendo di essere denunciato, avrebbe ucciso Lidia.

Il 24 Aprile 2018 Stefano Binda viene condannato all’ergastolo.

I legali dell’imputato fanno ricorso in Appello. Durante il processo di secondo grado si fa avanti un avvocato, Piergiorgio Vittorini, il quale riferisce che una persona si è presentata da lui dichiarando di essere l’autore della lettera, non conosceva Lidia e non aveva niente a che vedere con l’omicidio, ma sarebbe stata una forma di protesta contro una morte ingiusta.

Il 24 Luglio 2019 Stefano Binda viene assolto per non aver commesso il fatto. Su di lui non ci sono prove concrete e dopo tre anni e mezzo di reclusione esce di galera.

Il 27 Gennaio 2021 La Cassazione conferma l’assoluzione: Stefano Binda non ha ucciso Lidia Macchi.

Un percorso infernale quello di Stefano,1286 giorni di carcere da innocente, per tre anni e mezzo additato di essere l’autore di un omicidio che non aveva commesso. Nonostante quello che ha passato non ha mai perso la speranza ed è riuscito a mantenere un’ammirabile lucidità mentale. Una vittima collaterale di questa storia, mentre nel frattempo il vero assassino di Lidia Macchi è continuato a restare ignoto.

Una possibile ricostruzione

Cosa può essere accaduto quella sera del 5 Gennaio 1987?

Ripercorrendo i fatti della vicenda e facendo riferimento anche alla casistica, si ha l’impressione che con il passare del tempo ci si sia allontanati dalla realtà invece che avvicinarcisi. La pista del molestatore del parcheggio dell’ospedale sembrerebbe la più lineare e coerente.

Possiamo ipotizzare che Lidia, uscendo dalla struttura e dirigendosi verso la macchina, sia stata avvicinata da quella persona che da giorni si aggirava in quell’area infastidendo le ragazze. Potrebbe avergli chiesto un passaggio oppure può averla minacciata con il coltello a seguire le sue istruzioni. Da lì l’avrebbe condotta al bosco di Sass Pinin, forzandola sempre sotto minaccia a un rapporto sessuale al termine del quale l’avrebbe uccisa, scagliando contro di essa una violenza abominevole. In seguito avrebbe coperto il corpo senza vita con un cartone, probabilmente per ritardare la scoperta del cadavere.

In questa ottica quindi la ragazza sarebbe rimasta vittima di un predatore sessuale omicida, il quale stava cercando da giorni una vittima per soddisfare i suoi impulsi malati, fino a quando ha trovato l’occasione in cui le circostanze gli hanno permesso di mettere in atto il suo folle piano.

Ma questa è soltanto un’ipotesi.

Alla fine di tutto ciò, rivedendo le foto di Lidia non si può fare a meno di notare come apparisse sorridente e raggiante, una giovane donna con ideali profondi e speranzosa verso il futuro. Una speranza interrotta nel più crudele dei modi, da parte di una persona la cui identità resta sconosciuta. Ci auguriamo che nel prossimo futuro possa giungere la soluzione di questo caso, per restituire un senso di giustizia alla vittima e alle persone che le volevano bene.

Fonti

Blu Notte – Lidia, il delitto di Varese
Sentenza Corte di Assise di Varese nei confronti di Binda Stefano
Omicidio di Lidia Macchi: analisi della lettera anonima “IN MORTE DI UN’AMICA”
https://www.earmi.it/varie/Binda-Macchi.html
https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/cronaca/le-scuse-di-chi-ha-indagato-al-prete-scagionato-dopo-27-anni-31302
La Donna senza mani: il delitto Carla Molinari su Rai Tre
L’omicidio delle mani mozzate – Varese news
Caso Piccolomo – Varese news
https://www.fanpage.it/milano/chi-e-giuseppe-piccolomo-il-killer-delle-mani-mozzate-condannato-allergastolo/
https://milano.repubblica.it/cronaca/2015/08/29/news/milano_il_killer_delle_mani_mozzate_scagionato_dall_accusa_di_aver_ucciso_lidia_macchi_nel_1987-121839242/
https://www.vanityfair.it/news/cronache/2019/07/25/delitto-lidia-macchi-violenza-sessuale-assolto-appello-stefano-binda-ergastolo
L’assoluzione di Stefano Binda – Varese news