The Pale Blue Eye: Edgar Allan Poe guidato da Christian Bale nei meandri della sofferenza

Per gli amanti di un certo tipo di musica, diciamo la più rappresentativa del Novecento e che tutt’ora non ha un’erede, e fortunatamente nonostante la volubilità dei tempi, resiste ed è ritornata ai margini del mainstream com’era nata: Il Rock in tutte le sue innumerevoli declinazioni, ha ispirato decisamente il vivere e sentire di innumerevoli generazioni. Gli stessi “poeti maledetti” dell’800’, tra cui spicca il francese Arthur Rimbaud, ma si allarga ad una corrente florida, sono stati i precursori di un’arte che prevede la sofferenza per creare arte. È sempre stato così, non c’è arte senza sofferenza e potremmo entrare decisamente in tutti i campi artistici seguendo questo assioma. Un altro poeta rappresentativo di questo movimento è stato certamente Edgar Allan Poe. Il poeta nativo di Boston ma con una educazione fortemente inglese ha ispirato tra i tanti, autori cantanti e registi.

Quest’ultima categoria rappresentata in questo caso da Scott Cooper, ne ha tratto una godibile pellicola dal sapore cupo e piena di empatia. Il titolo del film: “The pale blue eye”, che rievoca il capolavoro scritto da Lou Reed, nonostante il tema custodisca al suo interno una matrice romantica e di sofferenza umana non certo trascurabile. Il film attraversa più l’interiorità che l’estetica e con le atmosfere gotiche alla “Penny Dreadful”, ingolosisce sicuramente i palati non soltanto amanti delle atmosfere di metà 800’, ma anche chi predilige un certo tipo di scrittura e poesia. La pellicola si regge su un protagonista mai domo come Christian Bale, abilissimo nel suo ruolo di cercatore di verità dilaniato dal senso di colpa, ma a sorprendere nella sua maturità artistica è Harry Melling. L’attore londinese infatti, conosciuto ai più per il ruolo di Dudley Dursley, cugino antipatico di Harry Potter, risulta credibilissimo nel ruolo di Edgar Allan Poe, con una mimica ed uno stato emotivo che entrano quasi in simbiosi con il poeta maledetto.

Si potrebbe dire che della “Nidiata Potteriana” l’attore che sia sbocciato meglio sia proprio quello a cui in molti non avrebbero dato una lira, lui invece che ha anche all’attivo diverse produzioni teatrali di spicco in terra d’Albione, rende moltissimo soprattutto nei ruoli in costume e che richiedono una certa tipicità espressiva: Fellini e Leone sempre alla ricerca di visi particolari lo avrebbero sicuramente scritturato per qualche loro film. La caccia al colpevole degli efferati omicidi unirà sempre di più l’insolito duo Bale/Melling, che nel frattempo affronteranno anche i propri traumi dovuti alla perdita. Il cast è completato da attori in grande spolvero come Gillian Anderson, Lucy Boynton, Charlotte Gainsbourg, Timothy Spall e Robert Duvall. Quella che si percepisce sin da subito è la sensazione di distacco che i due “antieroi” subiscono da parte sia dall’accademia militare che dalla “famiglia bene” che anche grazie ai militari vive lì, avendo il capofamiglia impiegato come dottore nella caserma.

The Pale Blue Eye | Official Teaser | Netflix

Questa battaglia individuale contro i propri demoni non è nuova al regista nativo di Abingdon che sia ne “Il fuoco della vendetta” del 2013 che in “Hostiles” del 2017 con guarda caso attore protagonista Christian Bale, affronta gli stessi temi di estraneazione dalla Società e lotta interiore. L’intera pellicola è tratta dal romanzo omonimo scritto da Louis Bayrad che anche grazie al titolo si ricollega al racconto breve di Poe “Il cuore rivelatore” e viene ulteriormente rimaneggiato dal regista, rendendolo maggiormente intricato, ai limiti dell’opprimente. L’atmosfera che permea l’opera ci fa chiaramente presagire avvenimenti macabri, lo stesso clima rigido nella contea di Orange nello Stato di New York dove è situata l’Accademia di West Point, innevato e lugubre contribuisce a creare un mood ansiogeno.

Le stesse condizioni atmosferiche avverse sono il filo conduttore dell’animo dei protagonisti, malinconici ed avulsi ad una Società che li ha emarginati. Sia il detective Augustus Landor che E.A. Poe sono due personaggi estremamente complessi, ed anche questo è sinonimo di solitudine sia ieri (quasi 200 anni fa) che oggi, ricordandoci che gli antichi problemi umani di certo non si soppiantano con una tecnologia dilagante e presente costantemente nelle nostre vite. La fotografia curata da Masanobu Takayanagi migliora la regia di Cooper, donandole una intrinseca robustezza, che però forse si crogiola un po’ troppo su se stessa. La consecutio dell’opera però custodisce una grande lezione di stile, riuscendo a sviluppare la psicologia dei personaggi anche nei ruoli più piccoli. Il terrore psicologico tipico anche degli scritti di Poe, viene riprodotto in parte, e risulta abbastanza credibile anche per chi non è abituato a questo genere di opere, mantenendo comunque un buon approccio anche per chi ama il genere. C’è da dire che il regista dona più “uno stile europeo” alle proprie opere, e questo gli fa affrontare determinati temi in maniera più limpida, senza esagerazioni tipicamente americane. A suo modo riesce anche a criticare le nostre società occidentali, così accecate dal perbenismo e dall’apparenza, facendoci assaporare un’epoca lontana che rispecchia a pieni polmoni le idiosincrasie moderne.