Il tormento di un amore impossibile: Anna di Lucio Battisti

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Le reminiscenze di alcune situazioni del passato sono difficili da scacciare. Specialmente se, sotto la cenere del tempo che scorre, cova ancora un incendio mai domato del tutto. Anna non è una riflessione. Anna è uno sfogo liberatorio, un grido di dolore. È la presa di coscienza di una mancanza. Ed è probabilmente proprio questa assenza che (ri)accende il desiderio. Un desiderio morboso ed impulsivo.

 Soverchiato dal peso dei ricordi, inappagato dalla piattezza di un’esistenza tranquilla ma scevra di emozioni, il protagonista di questa canzone di Lucio Battisti del 1970 si arrampica in un dialogo con un interlocutore immaginario tentando di esternare la sofferenza legata al ricordo e all’assenza della donna tanto amata. La vita attuale che conduce è piuttosto agiata e dovrebbe garantire a quest’uomo un discreto benessere, come gli viene fatto notare dal suo confidente, al quale si rivolge

Hai ragione anche tu
Cosa voglio di più
Un lavoro io l’ho
Una casa io l’ho

Lucio Battisti - Anna

Questa persona si trova, però, in una condizione idiosincratica verso la relazione attuale, che pure, a livello teoretico, avrebbe tutte le carte in regola per far sentire soddisfatto un uomo in uno stadio etico, utilizzando gli stadi dell’esistenza di Søren Kierkegaard

La mattina c’è chi, mi prepara il caffè, questo io lo so
E la sera c’è chi, non sa dirmi no
Cosa voglio di più, hai ragione tu
Cosa voglio di più, cosa voglio

Il personaggio di Battisti, e della penna di Mogol, non riesce ad apprezzare le virtù della compagna che ha attualmente al suo fianco. È profondamente ancorato al passato. Con la testa in un vortice e con i piedi nelle sabbie mobili.  Il fantasma di Anna e lì, dietro l’angolo.

La distanza incolmabile e l’apparente indifferenza di questa donna, ormai lontana, lo fa esplodere in un pianto rabbioso

Non hai mai visto un uomo piangere
Apri bene gli occhi sai perché tu ora lo vedrai
Se tu, non hai mai visto un uomo piangere
Guardami
Guardami

Il mito di un uomo tutto d’un pezzo non esiste più, il confronto con questo amore impossibile lo annichilisce; è un castello di foglie toccato dalla carezza dolce ma distruttrice del vento

Cosa sono ora io?
Cosa sono, mio Dio?
Resta poco di me
Io che parlo con te
Io che parlo con te, di, Anna

In conclusione della traccia, l’interprete abbandona ogni possibile reticenza: se nella prima parte del brano il nome di Anna è solo sussurrato, quasi con la paura di pronunciarlo, nella seconda esso viene scandito in modo sempre più intenso, iniziando un viaggio nell’intrinseco per tentare di raggiungere la sua musa, che tanto tormento gli provoca, in una dimensione quasi onirica, dove tutto potrebbe essere possibile.

Gabriel Garcia Marquez scriveva ne L’amore ai tempi del colera che il cuore ha più stanze di un bordello. Anna, malgrado la lontananza, il passare degli anni e le delusioni, si è cementificata in modo indelebile nella stanza principale del cuore di quest’uomo, catalizzando, forse per sempre, il sentimento dell’amore, il più nobile ed il più totalizzante, nel bene e nel male, che possa albergare nell’animo umano.