Quando l’adolescente era l’adolescente: Horses di Patti Smith

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Ho iniziato a leggere le riviste musicali che ero un’adolescente: “Tutto Musica”, “Rockstar” e “Rolling Stone”. Amavo leggere le retrospettive, le ultime recensioni, i live report, ma soprattutto le interviste, dove a suon di spunti e suggestioni potevo allargare i miei orizzonti musicali. Ricordo che in una di queste lessi di quanto Michael Stipe dei R.E.M.  fosse innamorato di Patti Smith. Così mi procurai il suo greatest hits Land per ascoltarla; fu un’epifania: la sua voce febbrile, la chitarra di Lenny Kaye, il basso di Ivan Kral, la batteria bombastica di Jay Dee Daugherty ed ultimo, ma non per importanza, il piano di Richard Sohl. Furono proprio le note introduttive del suo piano in Free Money a farmi innamorare del sound del Patti Smith Group, poi la voce e le parole di Patricia Smith fecero il resto.

Inutile dire come mi si aprì una finestra sul mondo di un artista a me sconosciuta ed io mi gettai a capofitto sul predellino di questo treno misterioso ma affascinante che mi avrebbe portato a toccare con mano questo nuovo panorama. Non mi bastava, volevo e dovevo procurarmi “Horses” che detta così, con quest’ultime due parole: procurare ed Horses -nello slang americano eroina- sembra che fossi un tossico a rota. Beh, lo ero ma non di droga, ma di musica.

Misi il CD nel mio computer, inserii le cuffie, schiacciai sul play e…

“Jesus died for somebody’s sins but not mine”, con quell’incipit non potevo che andare avanti con la lettura, ops l’ascolto dell’album che il 10 novembre del 1975 sconvolse irreversibilmente il rock, e qualche anno dopo la mia vita da ascoltatore musicale.

“Redondo Beach”: una morte in levare.

Redondo Beach

Ascoltare un brano così groovy come “Redondo Beach” e al contempo leggere la lirica di Patti Smith che narra di un suicidio è così straniante, ma allo stesso tempo è impossibile non cantarla.

Ecco, brani come questo, con questo mix ossimorico tra musica e parole, mi intriga, ma allo stesso modo mi fa chiedere ma come è possibile? Che bellezza.

Piccola parentesi: al pari di questa lo stesso effetto me lo genera “Washington Bullets” dei Clash; così feroce nel testo ma così caraibica nel sound che non posso fare a meno di cantarla ed immaginarmi a suonare una steel drum.

“Birdland” è sognante e trae ispirazione da “Un libro dei sogni” di Peter Reich. Ok, è la seconda volta che incontro il suo nome dopo “Cloudbusting” di Kate Bush; è un segnale che non posso ignorare.

Purtroppo il boy della canzone non ha avuto la stessa fortuna.

“But nobody heard the boy’s cry of alarm.
Nobody there ‘cept for the birds around the New England farm
And they gathered in all directions, like roses they scattered
And they were like compass grass coming together into the head of a shaman bouquet”

“Free Money” è un’elegia al sogno di rock and Roll, allo sbarazzarsi dei nostri vestiti impolverati dal duro lavoro che ci fa andare a letto sempre prima, ma non senza sogni.

Free Money

Con “Free Money” come detto in apertura del pezzo, ho “scoperto” Patti Smith vincendo così alla lotteria, al contrario della mamma di Patti destinataria della canzone, che ogni volta prima di coricarsi sognava di vincere tutti quei soldi, lei che alla lotteria non ci giocava mai, e soprattutto che quei soldi la rendessero libera dai problemi della vita quotidiana

“Every night before I go to sleep
Find a ticket, win a lottery
Scoop the pearls up from the sea
Cash them in and buy you all the things you need”
Every night before I rest my head
See those dollar bills go swirling ’round my bed
Oh, baby, it would mean so much to me
Baby, I know our troubles will be gone
Oh, I know our troubles will be gone, goin’, gone
If we dream, dream, dream for free
And when we dream it, when we dream it, when we dream it
Let’s dream it, we’ll dream it for free, free money
Free money, free money, free money”

“Kimberly” e “Break it Up” sono dei buoni episodi, soprattutto quest’ultimo impreziosito dalla chitarra di Tom Verlaine che garrisce elettricamente come solo lui sa fare.

«Il suono della chitarra di Tom è come l’urlo di un migliaio di uccellini azzurri»

Patti Smith

Però queste ultime due canzoni sono solo il preludio all’epitome del disco: “Land”.

Nove minuti furiosi, elettrici, intensi che ci squarciano. Johnny e le sue avventure, la sua uccisione.

Land è un brano oltre, oltre le colonne d’Ercole, oltre le terre selvagge a suon di rock and Roll

“There was a man
Dancing around
To the simple
Rock & roll
Song”

“Elegie” invece è il tributo ai “nostri amici rocker” che non sono qui con noi e la chiusura di un album irripetibile, anche se nella versione compact disc, l’ultima traccia è la cover di “My Generation” con John Cale al basso; tra l’altro proprio il musicista gallese è stato il producer dell’album dopo che la stessa Smith rimase stupita dal sound di “Fear” album uscito un anno prima di “Horses”.

A distanza di 47 anni -10 novembre 1975- quei cavalli continuano ancora a galoppare indomiti e senza sosta, proprio come Patti Smith.