Il Phygital: moltiplicare il nostro volto all’infinito

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Qualcuno mi potrebbe obiettare che non esiste la possibilità di proiettare il proprio volto in rete, ottenendo 7 miliardi di consensi. Eppure c’è qualcuno che sta riuscendo nell’intento. Si tratta di coloro che stanno lavorando a un software sul riconoscimento facciale. Il Grande Volto del Fratello preme alle porte del nostro, grazie anche alla rapina identitaria che viene perpetrata mediante i social. Non aprite quel portale.

Alessandro Bianchi Sicioldr, L’estrazione, oil on linen, 130×190, 2020

È stato coniato di recente un termine, phygital, che prevede l’esecuzione di un evento di fronte a un pubblico reale a uno più vasto mediante vari canali social, da Instagram a TikTok a Facebook a Linkedin, a Youtube. Siamo alla follia di superare in velocità la corsa inaugurata dai social e dalla produzione anonima di messaggi video per raggiungere il più ampio contesto di persone, la velocità è diventata fine unico di una quantificazione dell’istante concesso ad ognuno per cercare di raggiungere non l’immortalità ma l’innumerevolezza, l’infininumeralità. Siamo attimi che cercano il numero moltiplicato per se stesso all’infinito, sfruttiamo le connessioni per renderle il prolungamento fisico del nostro istante, in modo da vivere l’illusione di espanderci per 7 miliardi, in 7 miliardi di specchi riflettenti. Ognuno è raggiungibile, e noi dobbiamo riuscire a cogliere questa possibilità. Il problema è che vogliamo solo centuplicare il nostro volto, ovvero rendere possibile il nostro riconoscimento facciale all’infinito, in modo che sia l’unico volto di riferimento, l’approdo di ogni volto numericamente possibile. Il nostro volto come la sintesi possibile, anzi la soluzione ideale per ogni umano apparire, per ogni umano mostrarsi.

Alessandro Bianchi Sicioldr, Demiurge’d dream (Evolution),oil on solid limewood panel, 120 x 90, 2019

È forse il sogno dell’arte che si realizza? Il sogno dell’arte di realizzare il volto perfetto, quello di Dio, di creare attraverso le proprie mani il volto di Dio, rivelandolo al mondo? Senonché, la pratica social è esattamente il rovescio, creare il proprio volto come misura standard di tutti i volti, e cioè riconoscersi come Dio, in sua assenza, e grazie alla sua sparizione, mediante la possessione diabolica della connessione. Se io posseggo la connessione e riesco a lanciare il mio volto nella rete, è per annunciarlo come volto di Dio strappato al sogno dell’arte, è rovesciare il sogno dell’arte nel mio sogno personale. Sono, solamente se sono connesso, ma sono Dio solamente se la connessione rende virale il mio volto, se riesco a possedere come un dio greco la donna desiderata, giacendo con la sua immagine – perché di che cosa s’innamora Zeus se non dell’immagine della donna? Tanto da trasformarsi in pioggia d’oro o in cigno? La pioggia d’oro è una forma di dispersione che somiglia molto alla connessione delle reti. Tutto si dissemina di me, per tornare uno nella rete, nel corpo-Leda dell’Umanità. Perché è la connessione a formare (meglio, ad affermare) il corpo unito dell’umanità. E che cosa offrire se non la parte mia che viene usata come riconoscimento, come segno della mia presenza, se non il volto? Offro il mio volto in cambio della possessione della rete e per trovarlo alla fine come divinità che mi possiede. Il mio volto, nel disseminarsi, si riunisce nell’immagine del Dio che supplisco, e che è il mio specchio in cui lui trova la sua mancanza e si rende simbolo nel mio volto.

Alessandro Bianchi Sicioldr, la grande sposa, oil on linen, 175×185, 2021

Dov’è il reale in tutto questo? Non c’è. È scomparso, inghiottito nel processo nullificante del progetto umano. Il progetto umano di fondare la creazione di Dio sul proprio volto, rimandandolo innumerevoli volte in un circuito che ne acceleri la forma e ne porti le conseguenze come riduzione funzionale di tutti i volti al segno. Il segno toglie la differenza alla parola disegno. Il segno del volto non rimanda più a una differenza, ma all’unico Reale possibile, quello in cui si manifesta l’invisibilità di Dio. Ovvero rimanda a un paradosso dal quale non è più possibile uscire. L’uomo è irretito, e diventa maschera, ognuno diventa la maschera della mancata identità. L’uomo è morto, in un volto che è la verità della propria mancanza di identità. L’umanità ha un solo volto, composta da 7 miliardi di uomini con lo stesso volto, con la stessa connessione infinita che lo duplica indefinitamente.