F. Scott Fitzgerald, Tenera è la notte: una metafora dell’esistenza umana

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C’è molto dell’autore in “Tenera è la notte” e molteplici sono i parallelismi che si possono instaurare tra Fitzgerald e il protagonista. Le vicissitudini personali dell’autore influiscono in maniera predominante sulla composizione dell’opera e solo nel 1934- dopo un lavorio durato nove anni e diverse stesure- il romanzo vede la luce. Sono anni particolarmente bui per Fitzgerald, tra alcool, difficoltà economiche dovute alla Grande Depressione, gli esaurimenti nervosi della moglie e il suo ricovero in cliniche psichiatriche svizzere.

Costa Azzura anni ’20. I ricchi espatriati americani si sollazzano in riva al mare, sottopongono i loro corpi tonici e sensuali al “brutale sole” estivo. Le loro giornate scorrono lente all’insegna del relax, alla ricerca di “emozioni forti “, animate da pettegolezzi cerimoniosi; solo nella notte -luogo di sontuosi banchetti e feste- si disvela un’aurea mistica, un utopico equilibrio che si contrappone alla confusione del giorno. Sulla folla brulicante di personaggi, si impone la coppia dei Diver in tutta la loro bellezza ( che suscita un misto di ammirazione e invidia).

In quel momento i Diver rappresentavano esteriormente il massimo grado di evoluzione di una classe e accanto a loro gli altri sembravano goffi.

L’apparente equilibrio sembra essere rotto dalla figura di Rosemary. Quest’ultima attrice esordiente si innamora di Dick, egli inizialmente -sebbene sia attratto da lei- la rifiuta. È perfettamente immersa nei meccanismi del mondo dello spettacolo, anzi il confine tra quest’ultimo e la realtà tende molto spesso a cadere: vive la sua vita come se si trovasse perennemente su un palcoscenico e da ciò dipende la sua sopravvivenza.

Non un guizzo di personalità, non un minimo movimento di muscoli tradirono l’improvviso disgusto di Rosemary- qualunque cosa lo suscitasse.

Il prodotto delle cure amorevoli della madre; eccola lì la personificazione dell’immaturità di una razza, mentre ritagliava l’ennesima bambola di cartone di fronte a una mentalità vuota e prostituita.

Sebbene odi la superficialità finisce molto spesso per esserlo. Fitzgerald -inizialmente- tende a presentarcela non come un vero e proprio personaggio: Rosemary non si rapporta in maniera critica alla realtà, ma vive e pensa in funzione della madre che controlla ogni campo della sua esistenza.

Rosemary non aveva mai riflettuto tanto, tranne sulla perfezione illimitata della madre, così questo taglio definitivo del cordone ombelicale le turbò il sonno.

Quando il sentimento per Dick, da cotta adolescenziale, si intensifica, la giovane è coinvolta da un grande senso di colpa che andrà progressivamente a dissolversi. Quando rincontreremo Rosemary- nel soggiorno romano di Dick- ci troveremo di fronte a una donna a tutti gli effetti, consapevole del proprio fascino, della propria femminilità e intelligenza.

Questa figura femminile è messa in contrapposizione a quella di Nicole, dotata di una straordinaria bellezza e sensualità. Figlia di un ricco americano – che ha abusato di lei in età infantile – è stata ricoverata presso una clinica psichiatrica; ed è proprio qui che avrà inizio la storia d’amore con Dick. È da notare che questo dettaglio viene svelato solo nel secondo libro, quando comincia ad entrare in crisi quel “teatrino” messo in scena nella prima parte, dove tutto sembra apparentemente perfetto. Seppur inizialmente, Dick è spaventato dalla malattia di Nicole e dalle possibili conseguenze, decide di sposarla e di prendersi cura di lei. Quello che prova Dick è un amore sincero, non sposa Nicole per la sua ricchezza, però – di fatto- il matrimonio, non fa altro che favorire la sua ascesa nell’aristocrazia.Inoltre, sembra quasi assumere le sembianze di un contratto stipulato a tavolino con Baby Warren, sorella di Nicole. Quest’ultima vive in un contesto di apparenza e di finzione alla ricerca di qualche rampollo ricco da sposare, ma senza aver mai sperimentato cosa sia l’amore.

Potremmo definire Dick come il polo magnetico attorno a cui ruota tutto il romanzo e in particolare il secondo libro. In quest’ultimo si narrano le origini di Dick, gli anni dell’università, la laurea in Psichiatria, il progetto di un grande trattato sulle malattie mentali (mai compiuto), fino all’incontro con Nicole, il matrimonio e l’andamento altalenante della sua malattia.

Quasi tutti nella vita abbiamo un periodo fortunato, eroico, e quello era il momento di Dick Diver. Prima di tutto non aveva idea di essere affascinante, né che l’affetto che dispensava e ispirava era alquanto insolito per le persone sane.

Il giovane Dick ha fiducia nella scienza, è animato da grandi valori, ha tutte le carte in regola per un futuro di successo: è bello e intelligente. Donne e uomini subiscono indistintamente una profonda fascinazione. Dopo il matrimonio con Nicole, prenderà parte alla vita mondana, sarà un grande animatore di feste, contagiando tutti con il suo entusiasmo e la sua vitalità. Dick, si rende perfettamente conto di viere in un contesto fatto di finzione, decadenza morale e sfarzo. Inizialmente tenta di opporsi, immergendosi in questa realtà ma mantenendo comunque uno spirito critico. Nonostante queste premesse così positive, il lettore ha la sensazione di una tragedia che incombe, ciò si riflette in un appiattamento cromatico. L’autore tende a smorzare i colori più vivi della prima parte: all’oro corrisponde un giallo opaco. C’è un cambiamento di ambientazione, dalla sontuosità della costa Azzura si passa ad ambienti marginali e degradati (come nel soggiorno romano del protagonista). L’oscurità regna sovrana, se il buio prima è qualcosa di misterioso e affascinante al contempo stesso, ora è qualcosa di minaccioso. Qualcosa dentro il protagonista comincia a incrinarsi, ogni tipo di esperienza viene svuotata del suo valore, comincia a perdere interesse per la sua professione, per la stessa Nicole, e precipita nel baratro dell’alcolismo. Prende coscienza del fatto che non può apportare nulla di positivo nella società e che cosa più grave ha perso sé stesso. Dick non reagisce a tutto ciò con una ribellione veemente, ma con un’amara risata.

Il buio come la notte è per certi versi la metafora dell’esistenza del protagonista, a cui non resta che adagiarsi in questa oscurità.