Realizzare ciò che siamo nel mondo postmoderno tra il reale e il virtuale

La Riproduzione Vietata” di Magritte potrebbe sembrare nient’altro che la rappresentazione di un uomo allo specchio di spalle, con un abito elegante, i capelli accuratamente pettinati e il libro “le avventure di Gordon Pym” di Edgar Allan Poe sulla mensola. Tuttavia, Magritte adora farci sentire un po’ spaesati e ci mostra un uomo che allo specchio vede a sua volta le proprie spalle, benché il libro si rifletta correttamente. La mancata rappresentazione del volto del personaggio potrebbe significare che il soggetto, non avendo idea della sua vera identità, sia completamente incapace di definire il proprio io, tanto da non riuscire a riconoscersi ed identificarsi. È come se, nel suo dipinto, Magritte ci stesse provocatoriamente chiedendo: “ma siete proprio sicuri di conoscere voi stessi?

La risposta a questa domanda deve prima passare da ciò che è fuori di noi.

Effettivamente, la nostra identità personale altro non è che il risultato di un lungo processo di identificazione con una serie di modelli di riferimento desunti dall’ambiente che ci circonda. Partiamo dal modello circoscritto del contesto familiare che ci influenza nei primi anni di vita, per passare ai modelli dei nostri coetanei, fino ad arrivare a tutti i modelli su larga scala offerti dalla società. Ne consegue, pertanto, che la nostra identità si definisce come un costrutto culturale e sociale, ma che è oggetto di scelta, poiché noi scegliamo di aderire ed identificarci, in maniera più o meno consapevole, a ciascuno di questi modelli. Dunque, dal sillogismo ne deriva che l’identità personale si sviluppa attraverso le interazioni con il mondo esterno.

Ma con quale mondo ci troviamo ad interagire nell’epoca postmoderna?

Oggi l’uomo 2.0 interagisce con un mondo dicotomico, suddiviso tra mondo reale e quel simulacro del mondo reale, rappresentato dai social network, diventati il demiurgo di realtà possibili e di modelli ideali. Galimberti sostiene che i Social Network da mezzo si sono trasformati in un vero e proprio mondo, che si interpone tra noi e la realtà. Pertanto, con l’introduzione dei social come “nuovo mondo”, l’ambiente con cui interagiamo cambia e con esso anche il sillogismo cambia, poiché la nostra identità interagisce non solo con il mondo reale, ma anche con uno virtuale. Tuttavia, entrambi i tipi di interazioni si fondano sempre sul concetto di modelli di riferimento a cui un individuo può aderire.

René Magritte, La riproduzione vietata, 1937

Ma qual è il modello proposto dai Social Network? In questo mondo tutto verte sulla logica dei numeri (quante foto, amici, like, follower, visualizzazioni, condivisioni, commenti e iscritti). Per raggiungere certi numeri, bisogna fare sfoggio dei propri punti di forza, ma se questo non basta, occorre possedere anche un certo grado di plasticità e sapersi modellare. Qualcuno potrebbe obiettare che ciò accade anche nel mondo reale, ma con la differenza che qui l’interazione avviene attraverso il contatto fisico con un gruppo di individui, ai quali non è possibile nascondere la qualità del proprio aspetto e comportamento. Al contrario, l’interazione con il mondo virtuale si esaurisce dietro uno schermo, dove filtri e maschere mostrano la parte migliore di noi, cancellano ogni difetto e consentono di presentarci e relazionarci con l’altro in una maniera più costruita e studiata. I Social Network diventano così una sorta di laboratorio, dove è possibile sperimentare identità digitali diverse e temporanee, ma il cui fine ultimo non è rivolto ad una maggiore consapevolezza di sé e acquisizione di una identità adulta, solida, stabile e coesa, piuttosto servono ad alimentare la propria parte narcisistica in cerca di consensi e approvazioni, nascoste dietro numeri. Su queste piattaforme ognuno di noi diventa un grande palcoscenico, dove ciascuno è libero di mostrare il proprio corpo e scegliere i contenuti migliori di sé da “vendere”. La nostra immagine diventa così un prodotto da mettere in esposizione e modificare costantemente come se fosse in una sorta di obsolescenza programmata. L’effetto a latere di questo continuo rimodellamento di sé è un disallineamento tra identità personale e identità virtuale, laddove la prima risulta molto più diluita e finisce per dissolversi in un mondo liquido pieno di contenuti ma privo di forme, per dirla con le parole di Bauman. I nostri account migliorano, a discapito della nostra identità personale, che si anestetizza e massifica.

Nel mondo digitale, dunque, il modo di percepirci cambia e cambia anche il modo con cui interagiamo con noi stessi e con l’altro. Per esempio, oggi le relazioni passano attraverso i Social Network e, talvolta, iniziano e finiscono in rete. Whatsapp, Facebook e Instagram sembrano quasi uno step importante della relazione, poiché due individui riescono a rimanere in contatto e approfondire la conoscenza dell’altro, come se queste piattaforme fossero un’estensione della relazione stessa. Una sorta di quarta dimensione della relazione. Sembra quasi che si preferisca spendere il proprio tempo con l’altro nel mondo online che nel mondo offline. Probabilmente perché il mondo virtuale è più “sicuro”, poiché nasconde i corpi, i difetti, cela le identità. Un’interazione online mantiene un giusto intervallo temporale e spaziale con l’altro, una sorta di distanza di sicurezza che, tuttavia, può essere sempre accorciata, poiché in ogni momento è possibile raggiungere l’altro. Non ci sono più silenzi e attese.

Ora, per non correre il rischio di instaurare relazioni inconsistenti con esseri umani contraffatti e soprattutto per non diventare tali in questo surrogato del mondo reale, ci dobbiamo affidare alla nostra capacità di giudizio, uscire dagli schemi fittizi messi in atto su queste piattaforme e riuscire a diventare ciò che siamo, come ci consigliava Nietzsche, e soprattutto capire dove poterci autorealizzare.

Acquisire un’identità significa mettere in atto un’esplorazione significativa delle alternative presenti nell’ambiente che ci circonda, che non può essere, pertanto, che il solo mondo reale. Esplorare il mondo reale significa relazionarci con esso attraverso il nostro corpo e quindi assumere degli impegni e dei rischi sulla nostra pelle, cosa che non è possibile realizzare nel mondo virtuale, il quale non prevede responsabilità, poiché qui è possibile creare identità tascabili, di cui potersi liberare velocemente. Per conoscere occorre sperimentare, per cui solo sperimentando noi stessi possiamo conoscerci. Ci avvicineremo tanto più all’ideale del nostro io, quanto più questo processo esplorativo sarà stato profondo, ma soprattutto come e quanto l’individuo avrà indagato. Esplorare diverse strade assicura non solo di non rimanere inceppato in uno schema comportamentale imposto, ma consente di non uccidere la propria innovazione, originalità, creatività e ribellione. Così, una volta allo specchio, saremo in grado di darci un volto e, al contrario di ciò che ci diceva Freud, il nostro io potrà tornare ad essere padrone in casa propria.