Arlecchino: le origini demoniache della maschera

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Arlecchino è una delle maschere più note della Commedia dell’arte, e fin qui la storia è risaputa. Pochi conoscono però le origini della celebre maschera; origini che chiamano in ballo l’Inferno Dantesco e la leggenda della Caccia Selvaggia.

Partiamo dalla Caccia Selvaggia.

La Caccia Selvaggia è un tema mitologico folkloristico che ha origine nell’Europa del Nord, ma che si ritrova in una quantità di tradizioni, Italia compresa. Nel tempo è stata chiamata in vari modi: Schiera FuriosaMasnada di Hellequin e infinite variazioni locali.

La struttura narrativa della leggenda è sempre la medesima; una furiosa masnada di esseri sovrannaturali attraversa il cielo o il terreno, meglio se una foresta, durante la notte. Il tremendo corteo dà vita a una furibonda battuta di caccia, con tanto di battitori, cavalli e segugi.

A seconda delle occasioni, la Caccia Selvaggia può essere composta da animali, da uomini o da creature mostruose. Nella mitologia norrena vi si possono trovare Odino e la figlia Hell, dal nome programmatico e tramutata in personaggio maschile successivamente, Hellequin. Nelle saghe britanniche troviamo re Artù, in Francia Carlo MagnoNuada in Irlanda e Arawn nel Galles. In Danimarca c’è re Waldemar, in Spagna l’exercito antiguo. Wotan con il suo wilde Jagd (caccia selvaggia) è protagonista in Germania.

Assistere alla Caccia Selvaggia è esperienza foriera di sventure. I testimoni sono spesso destinati a subire sciagure, spesso a essere uccisi e scortati all’inferno dalla schiera stessa. In molte tradizioni, peraltro, è proprio il compito della Caccia Selvaggia quello di accompagnare i defunti nell’aldilà. La leggenda è tratteggiata in modo molto efficace ne La Cavalcata dei Morti, noir di Fred Vargas con protagonista il Commissario Adamsberg.

Tradizionalmente, della schiera furiosa fanno parte persone morte anzitempo, come bambini non battezzati o soldati caduti in battaglia. Estraneo alla cultura e alla mitologia greco-romana, il mito è invece assimilabile ad alcune figure celtiche; la dea Epona, per esempio, poi sovrapposta a Diana e infine estinta col Cristianesimo. Tracce del mito si ritrovano anche in successive leggende cortesi e nel mito di Re Artù.

Cosa c’entra Arlecchino? Il nome Hellequin dovrebbe, per assonanza, mettere sulla giusta strada. La derivazione pare essere quella di Hell, la figlia di Odino, ma anche del successivo Holle Konig, il Re dell’Inferno germanico. Secondo alcune versioni della leggenda, Hellequin si veste coi brandelli di abiti dei soldati uccisi: da qui deriverebbe anche il caratteristico costume di Arlecchino, fatto di pezze multicolori.

Famoso è un lungo racconto del prete normanno Gualchelmo, Gauchelin in francese. Il malcapitato prelato si trova ad assistere al passaggio della Caccia Selvaggia, che descrive con dovizia di dettagli. Nella schiera Gualchelmo riconosce addirittura il fratello defunto.

Nel XIII secolo troviamo Hellequin nei panni del Pifferaio di Hamelin dell’omonima leggenda. In inglese, il ladro di bambini è chiamato Pied PiperPied sta per “dall’abito multicolore”. Da noi, invece, Hellequin sbarca nel modo più glorioso, tramite il Sommo Poeta Dante Alighieri.

Il nome viene italianizzato in Alichino, protagonista dei Canti XXI, XXII e XXIII. Alichino viene inserito da Dante tra i Malebranche, diabolica truppa preposta a far sì che i dannati della Quinta Bolgia dell’Ottavo Cerchio non escano dalla pece bollente. Il Canto è importante perché rappresenta un raro episodio grottesco, se non comico, all’interno della Commedia.

Ma l’importanza della figura di Alichino va oltre; si tratta della prima comparsa scritta in Italia di Hellequin, il sinistro capo della masnada, e forse la più diretta origine del personaggio di Arlecchino.

L’Arlecchino vero e proprio compare alla metà del Cinquecento. Il personaggio trae origine dai demoni citati, ibridati con la figura dello Zanni, presente in embrione già nelle culture greche e romane. In Grecia si chiamava Sannos, e rappresentava la figura dello stolto. Fu citato anche da Cicerone:

“E che ci può essere tanto ridicolo, quanto un Sannione, il quale con la bocca, col volto, con imitare i movimenti, con la voce, finalmente con tutto il corpo è motivo di riso?”

Cicerone

Il nome di Zanni viene dal Veneto – Gianni – e dalla tradizione contadina, serbatoio dei servi dei ricchi mercanti veneziani del Rinascimento. Nella Commedia dell’Arte gli Zanni si dividevano in astuti e sciocchi.

Dei primi facevano parte Frittellino, Beltrame e Brighella; tra le fila degli sciocchi avevamo invece Arlecchino, Pulcinella, Mezzettino e Truffaldino. Il legame tra Zanni e Arlecchino è talmente stretto che uno dei primi arlecchini era noto come Zan Ganassa. Lo Zanni era proverbiale anche in ambito europeo, tanto da dar vita a epigoni tedeschi e al termine zany; in Inghilterra la parola indica un individuo spregiudicato e stravagante ma divertente.

Tuttavia, la maschera nera e demoniaca – trasformata poi in bianca – e l’abito multicolore tradiscono le origini diavolesche del buon Arlecchino. A dimostrazione di come le tradizioni si trasformino nei secoli, spesso fino a simboleggiare qualcosa di completamente diverso.

Al punto da rendere la terribile figura di Hellequin, condottiero della masnada furiosa di demoni, una delle maschere preferite con cui vestire i bambini a Carnevale. Viene quasi da sorridere a pensare alle bigotte battaglie contro una festa come quella di Halloween, spesso opposta al nostrano Carnevale. La prima, ritenuta poco meno che un rito satanico dai tradizionalisti, vanta in realtà origini che hanno a che fare col momento del Terzo Raccolto, il passaggio dall’autunno all’inverno.

E invece ecco che l’inoffensivo Arlecchino disvela la sua origine demoniaca.

Articolo pubblicato originariamente su andrealarovere.it e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione.