Alda Merini: la pazza della porta accanto

Posted by

Dal rossetto steso maldestramente sulle carnose labbra, alla sigaretta perennemente tra le dita, breve passaggio di consuetudini innate e contenitore di un senso senza senso nel disordine di pareti, quadri di memoria e immagini che somigliano al tempo dentro un tempo. 

Tempio di una vita dentro il caos mentale e affettivo, emotivo ma lucidamente cognitivo, fermo al capolinea della confusione anarchicamente frenetica di chi ha seguito l’amore in tutte le sue strutture. 

Nella disperazione e nella salvifica effusione di carezze immaginarie tanto quanto desiderate. Soluzione a tutti i suoi drammi, precipizi vitali e ascese ancestrali dentro un dolore cercato, illuminante luce di tutti i perché esistenziali.

Monumentale matrona della poesia del Novecento, icona di una parola semplice e intensa, nei corridoi di un manicomio che diventa via crucis come nelle braccia di uomini che delle sue fragilità hanno fatto le proprie fortune. 

Genitrix dal grembo pieno di natura vitale, senza inchiostro stampava sentimenti su sbiaditi fogli di carta carbone, troppo povera per i salotti perbenisti di una Milano, grassa signora piena di inutili orpelli. Pittoresca figura, quasi picaresca, Alda Merini preferiva le viuzze dei suoi navigli, malfamati o affamati di vita senza proiettori che altrimenti avrebbero inibito la sua disinibizione. 

Vera come il mare della vita, ha amato l’amore, divergenza di dolore; l’amore che sposa, l’amore nascosto tra i numeri di telefono, quasi a significar nulla, l’amore maturato perfino nei corridoi di cliniche disumane, luoghi di abissi e profondità sperdute nei vicoli dell’indifferenza, dove lei coglieva fiori profumati che inebriavano la sua anima… senza mai arrendersi.

Nata il 21 a primavera, persa nell’ascia dei ricordi, temeraria al punto di non credere alla forza del possesso maligno, crede, spera, sogna e torna sui suoi passi, ritorna a chiedere, avvolta nell’umiltà di un amore chetroppe volte l’ha tradita, schernita, irrisa.

Alda, Alda, Alda, illuminata adesso dal distacco, ape laboriosa dentro nidi di parole accartocciate; voce poetica di un dolore sublimato, eunuco evirata nelle emozioni; ribelle perché (nonostante tutto) l’amore è arte e voi i capolavori. Agitata dalle ombre della mente, racconta L’altra verità. Diario di una diversa e Fogli bianchi e Testamento e Vuoto d’amore; lacrime di vita e di gioia, paesaggio umano di bellezza interiore e nostalgia di un abbraccio che dà voce all’ora dei ricordi.

E come Cristo, prima in croce e poi peregrinando in terra, insieme a Francesco “spartiacque del crocifisso”, “primo artigiano di Dio”, canta e prega tutti i colori della terra.

Muoversi tra le sue parole significa leggere le ombre cupe del temporale e subito intravedere all’orizzonte i colori di nuove albe; cadere e rialzarsi cogliendo in ogni dolore, in ogni rifiuto, in ogni negligenza le ragioni della rinascita; ripetere il miracolo della primavera inizio circolare di uno stato di oblio che sazia e colma il vuoto della solitudine, regalo effimero di chi, accanto, finge di comprendere l’incommensurabile paradigma di una eterna fuggitiva vittima, per salvarsi, delle sue stesse ossessioni.

Donna coraggiosa, madre violata dedita all’arte, toccasana e bisturi tagliente dei segmenti della sua carne; al pianoforte o stesa sul letto, tra i vicoli di periferie o sul lungomare di Taranto, immersa e persa tra le pieghe deliranti e sagge dei suoi pensieri, delle ferite profonde e inguaribili, dei rigurgiti di felicità improvvisa. Mai rassegnata, piuttosto vibrante e sempre alla ricerca di un posto in cui non invecchia il cuore, mentre la mente non smette di sognare.

Viaggiatrice e naufraga in un’umanità policroma, macchiata dall’imprecisione, dal tempo dilatato si affida alla vita consapevole che il titanismo appartiene agli eroi e non ai pazzi che vivono con la stessa sete di avventura, con brevi sprazzi di malinconia e lunghi attimi di gioia riflessi nel racconto dei suoi aneddoti, ridendo di se stessa e delle sua paure, contandosi i pezzi lasciati là fuori / che sono i suoi lividi che sono i miei fiori (…) Dalla casa dei pazzi, da una nebbia lontana / com’è dolce il ricordo di Dino Campana / perché basta anche un niente per esser felici / basta vivere come le cose che dici / e dividerti in tutti gli amori che hai /per non perderti  perderti perderti mai (Canzone per Alda Merini- Roberto Vecchioni)

Baudelaire in gonnella così la definisce Giuseppe D’Ambrosio Angelillo che la incontrava nelle piccole osterie, lei, Cavaliere del lavoro e candidata per ben tre volte al Premio Nobel, che recitava la Divina Commedia a memoria e forse Dario Fo le avrebbe trovato un ruolo nel suo Mistero buffo tra drammi religiosi, parabole e moralità. Lei, Alda Merini che conosce il suo Dio in manicomio, che nel suo Poema della Croce accetta tutta la sua sofferenza e la trasforma in resurrezione, speranza, amore

Alda Merini, grande, coerente umano ossimoro!

Ci sono le donne…

e poi ci sono le donne donne.

E quelle non devi provare

a capirle,

sarebbe una battaglia

persa in partenza.

Le devi prendere e basta.

Devi prenderle e baciarle,

e non dare loro

il tempo di pensare.

Devi spezzare via,

con un abbraccio che toglie il fiato,

quelle paure che ti sapranno

confidare una volta soltanto,

a bassa, bassissima voce.

Perché si vergognano

delle proprie debolezze e,

dopo averle raccontate,

si fermeranno

in un’agonia lenta e silenziosa.

Al pensiero che scoprendo il fianco

e mostrandosi umane e facili e

bisognose per un piccolo

fottutissimo attimo,

vedranno le tue spalle voltarsi

ed i tuoi passi allontanarsi.

Perciò prendile e amale.

Amale vestite e senza trucco,

che a spogliarsi son brave tutte.

Amale indifese e senza trucco,

perché non sai quanto gli occhi

di una donna possono trovare scudo

dietro un velo di mascara.

Amale addormentate,

un po’ ammaccate

quando il sonno le stropiccia.

Amale sapendo

che non ne hanno bisogno,

sanno bastare a se stesse.

Ma appunto per questo,

sapranno amare te

come nessuna prima di loro.