Chet Baker: per molti una figura repellente, troppo rozza e patologica per considerarla tragica. Un nichilista per eccellenza. Una persona drogata, tanto da fa sembrare Keith Richards un boy scout. Una figura ambivalente, capace di disinteressarsi delle persone intorno ma allo stesso tempo capace di suonare alcune delle più poetiche melodie. Anima sensibile e delicata, uomo fragile, come lo era la sua voce, una voce sottile ma intensa.
Chesney Henry Baker, meglio conosciuto come Chet Baker, nasce a Yale, il 23 dicembre del 1929. Assomigliava a James Dean. Non solo nei lineamenti ma nella vita, nel carisma, in quella perfetta sintesi tra bellezza, genialità e dannazione. Quando soffiava dentro la sua tromba riusciva a incantare l’ascoltatore con quel modo particolare e riconoscibilissimo di suonare, simile alla voce umana. È stato uno dei più grandi trombettisti della storia della musica jazz, forse il più grande tanto che all’inizio del 1955 venne nominato miglior trombettista d’America. Nel sondaggio della rivista “Downbeat” staccò di molto i suoi inseguitori tra cui Miles Davis.
Abile trombettista ma anche cantante dal timbro vocale più che singolare. La sua voce proponeva lo stesso tono intimista che otteneva con la tromba con effetti di straziante poesia. La sua era una voce dal timbro sottile, flebile, che sembrava dovesse spegnersi da un momento all’altro e lasciava affiorare la tragicità esistenziale. Ha legato il suo nome al celebre brano My funny Valentine, vecchio standard jazz risalito improvvisamente nell’olimpo dei grandi componimenti della musica del Novecento a seguito della sua strepitosa interpretazione.
Vediamo qualche aneddoto per capire meglio la sua figura…
Nell’agosto del 1960, Chet Baker, in fuga dagli Stati Uniti per problemi di droga, viene fermato nel bagno di un distributore di benzina sulla provinciale che da Lucca porta all’autostrada per Viareggio. La occupa da un’ora e mezza quando il benzinaio decide di chiamare la polizia, che abbatte la porta a spallate. Trovano una scia di sangue, una siringa, fiale di Palfium e un americano che dice di essere, da verbale, «Baker Chesney Henry». Seguono le indagini, il processo, la condanna, l’appello che arriva a fine ‘61, quando Baker ha giù scontato 16 mesi di carcere. Negli ultimi mesi gli viene concesso di esercitarsi in cella, per cinque minuti, due volte al giorno, e il suono della sua tromba si diffonde per la città come il pianto struggente di un uccello in gabbia.
Per quanto la detenzione italiana l’avesse di fatto costretto a uscire dalla dipendenza, Baker non tornò più ai fasti degli Anni 50, quelli che l’hanno consegnato alla storia del jazz. Nel 1966 Baker esce di scena. La causa ufficiale è data dai gravi dolori che deve sopportare a causa dei suoi denti anteriori, che decide di farsi estrarre. Molti però sostengono che il trombettista abbia perso la dentatura anteriore a causa di alcuni regolamenti di conti, per motivi legati ai pagamenti dell’eroina il cui uso, e abuso, gli aveva già danneggiato non poco la dentatura stessa. Di certo sappiamo che, dopo alcuni anni di anonimato e in cui di lui non si sa più nulla, è un appassionato di jazz a scovarlo mentre Chet lavora come benzinaio, offrendogli la possibilità di rimettersi in sesto, trovandogli persino i soldi per risistemargli la bocca.
Da quel momento Chet Baker deve imparare a suonare la tromba con la dentiera, modificando anche il proprio stile musicale. Nel 1964, parzialmente disintossicato, ritorna negli Usa, a New York. È l’epoca della “british invasion”, il rock imperversa e Chet deve adeguarsi. Ad ogni modo realizza alcuni dischi interessanti con altri rinomati musicisti, come il grande chitarrista Jim Hall.
Ben presto però si stanca nuovamente degli Usa e ritorna in Europa, cominciando a collaborare con l’artista inglese Elvis Costello. In questo periodo il trombettista fa la spola con la città di Amsterdam, per meglio vivere l’abuso di eroina e delle droghe in genere, grazie alle leggi olandesi più permissive. Contemporaneamente frequenta l’Italia, dove realizza molti dei suoi migliori concerti.
Dal 1975 risiede quasi esclusivamente in Italia, con ricadute nell’eroina a volte devastanti. Non sono pochi quelli che verso gli inizi degli anni ’80 lo intravedono a Roma, nel quartiere Monte Mario, a elemosinare soldi per una dose. Un giorno Elvis Costello gli chiese di suonare un assolo di tromba in un pezzo (Shipbuilding) del suo album Punch the clock: Chet venne in sala d’incisione, non salutò, suonò la sua parte, prese i soldi e se ne andò in silenzio. Era pesantemente invecchiato, le rughe che a ragnatela coprivano il bel viso di una volta sembravano pagine aperte della sua storia di autodistruzione, narrata nello spettrale documentario Let’s get lost di Bruce Weber.
Il 28 aprile del 1988 Chet Baker tiene il suo ultimo memorabile concerto, ad Hannover, in Germania. È un evento dedicato a lui: c’è un’orchestra di oltre sessanta elementi che lo aspetta per i cinque giorni di prove precedenti la serata del concerto, ma lui non si fa mai vivo. Tuttavia il giorno del 28 sale sul palco e tiene una delle sue migliori performance di sempre. Soprattutto suona, a dire dei critici, la migliore versione della sua My funny Valentine, della durata di oltre 9 minuti: una long version indimenticata. Dopo il concerto, il trombettista non si fa più vedere.
Alle tre e dieci del mattino del giorno di venerdì 13 maggio 1988 Chet Baker viene trovato morto sul marciapiede dell’hotel Prins Hendrik di Amsterdam. Baker viene seppellito il 21 maggio seguente, ad Inglewood, negli Stati Uniti. Sulla sua morte però aleggia da sempre un certo mistero, date le circostanza mai definite con chiarezza. Ascoltare la voce di Chet Baker è entrare nel suo mondo, un mondo affascinante e burrascoso. Cantava il dolore e sempre senza un soldo in tasca. Ma non ci faceva caso: ‘Morirò al verde – profetizzava – ed è giusto, perché è così che sono venuto al mondo.’
Chet continua a vivere nella sua musica per tutti quelli che vorranno ascoltarla e capirla.