Genova, la Superba: una città simbolo di rinascita

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Francesco Petrarca nel 1358 scrisse: Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”. Il grande poeta toscano elogiò la città di Genova, volendo attribuire all’aggettivo superba il significato di grandiosa ed imponente, ma anche quello di orgogliosa ed indipendente. Petrarca, considerato il precursore dell’Umanesimo, arrivò a Genova proprio nel 1358, nello stesso anno in cui il suo amico Guido Sette diventò arcivescovo della città. In quel periodo scrisse una lettera al pellegrino Giovanni Mandelli, descrivendo un itinerario per visitare i luoghi sacri della vita di Gesù, partendo proprio da Genova, la Superba.

Le origini

L’origine latina del nome della città, Genua, si fa risalire alla radice indoeuropea geneu (ginocchio) oppure genu (bocca), alludendo alla foce per la particolare conformazione del territorio oppure per la presenza di un antico fiume o torrente. In merito a quest’ultima ipotesi, legata fortemente alla presenza dell’acqua, molti glottologi ritengono che Genova e Ginevra siano varianti, dovute al trascorrere del tempo, dello stessa origine toponomastica. Inoltre, alcune importanti scoperte archeologiche hanno dimostrato che i primi insediamenti genovesi si svilupparono proprio sulla sponda destra del torrente Bisagno. In epoca celtico-ligure, molto prima di diventare Signora dei Mari, la Superba sarebbe stata un importante porto fluviale di collegamento con le popolazioni dell’Italia settentrionale e dell’Europa centrale. Le scoperte di un villaggio dell’età del bronzo nella zona di Brignole e la necropoli etrusca dell’Acquasola confermerebbero ulteriormente questa ipotesi.

Nel periodo medioevale il toponimo principale diventò Ianua, traducibile dal latino con “porta” o “ingresso”, tanto che la fondazione della città fu attribuita in maniera superstiziosa e leggendaria al dio Giano, l’evocativa divinità bifronte. E non a caso,  una delle caratteristiche più importanti della città di Genova, è quella di avere due facce, una rivolta al mare e l’altra verso i monti.  Come vedremo nel prosieguo della trattazione, i riferimenti a Giano si trovano nei luoghi più emblematici del capoluogo ligure. Accanto a quelle già descritte, che rappresentano la teorie più accreditate riguardo alle origini del nome della città di Genova, ve ne sono altre minoritarie. Tra queste, segnalo quella che metterebbe in relazione il toponimo con la parola etrusca Kainua, traducibile con “città nuova” o con il termine greco xeno, straniero, intendendo probabilmente il luogo come facile ritrovo per popoli diversi, aspetto tipico delle città portuali.

Al di là di alcuni reperti che risalgono, secondo gli esperti, addirittura a 5000 anni fa, le prime tracce della “vita genovese” risalgono al VI secolo a.C., periodo in cui i Romani non avevano ancora conquistato l’Italia settentrionale.

La fondazione di Genova è ritenuta opera dei mercanti fenici che portavano il sale dalla Corsica fino all’Europa centrale. Nel 218 Publio Cornelio Scipione adoperò il porto della città per contrastare l’invasione di Annibale, ma l’antico insediamento ligure fu distrutto dai Cartaginesi nel 205 a.C..

Nel Museo Archeologico di Genova sono conservate molteplici testimonianze delle fiorenti relazioni che i fieri Liguri intrattenevano in epoca antica con importanti città fenice, etrusche e greche. Tuttavia, durante la dominazione romana, la città non raggiunse mai uno sviluppo così significativo, da poter diventare un centro politico e commerciale di rilievo, come invece accadrà a partire dal periodo medioevale.

La storia

Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, Genova fu conquistata da Belisario, acquisendo poi la dignità di capitale del Ducato di Liguria sotto la successiva dominazione longobarda. Entrata poi nell’orbita dell’ambizioso quanto effimero impero carolingio, all’atto della sua disgregazione, Genova, favorita anche dalla sua particolare conformazione geografica, rimase abbastanza isolata dal contesto europeo ed iniziarono ad emergere le più potenti famiglie della città, come gli Spinola e gli Embriaci che entrarono in conflitto per spartirsi il potere. Questa nuova situazione gettò le basi per lo sviluppo sociale ed economico di Genova che si avviò a diventare una delle più prospere città del Mediterraneo, conquistando definitivamente l’autonomia nell’XI secolo, quando cominciò ad affermarsi la borghesia e le compagnie commerciali assunsero importanti ruoli amministrativi.

Ripercorrere la gloriosa storia genevose richiederebbe fiumi di parole, per cui mi limiterò a qualche breve cenno, rimandando ai siti specializzati per gli ulteriori approfondimenti. Una delle svolte più importanti nelle vicende medioevali della Superba, furono i contrasti con l’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa, culminati del 1162, quando i Genovesi furono costretti ad ampliare la cinta muraria per proteggersi dalle minacce dell’esercito inviato dal bellicoso sovrano. Da questo conflitto, Genova ne uscì più forte e riuscì a mantenere la propria indipendenza, tanto è vero che ancora oggi quelle mura sono intitolate all’imperatore nemico. L’amministrazione cittadina diventò sempre più sofisticata e “moderna”, se rapportata all’epoca, creando la figura del “podestà”, una carica garantista ed imparziale, scelta da territori “stranieri” che aveva il compito di vigilare sulle corrette azioni del governo. Genova iniziò ad affermarsi come Repubblica Marinara, i cui interessi commerciali collidevano soprattutto con la vicina Pisa, piuttosto che con la già affermatissima Venezia e la più piccola Amalfi. Nel XIV secolo cominciò l’età dei dogi, con Simone Boccanegra investito nel 1339. Nel secolo successivo, Genova cominciò ad assumere un volto più simile alla metropoli attuale, grazie ai mercanti e ai banchieri, rivali dei colleghi fiorentini, che contribuirono allo sviluppo artistico ed architettonico della città. Genova fu una delle prime città italiane ad introdurre il concetto di “edificio pubblico”, destinando alcune residenze, come il famoso palazzo Balbi, al Rollo degli alloggiamenti pubblici, una sorta di classificazione che comprendeva edifici eccellenti che le più ricche famiglie della Repubblica mettevano a disposizione per ospitare le alte cariche europee.

Le famiglie più in vista fecero costruire splendidi palazzi, con annesse piazzette private, ancora oggi ammirate dai turisti provenienti da ogni parte del mondo.

A questi si aggiunsero sontuose dimore, come Villa Principe, adorna di un ricco e suggestivo giardino,fondata dall’ammiraglio Andrea Doria, una delle figure più prestigiose del Cinquecento genovese che, sebbene non avesse mai ricoperto un incarico politico ufficiale nell’ambito della Repubblica Ligure, fu nominato Principe di Melfi da parte dell’imperatore Carlo V. Nel diciassettesimo secolo cominciò l’inevitabile declino della potenza economica e commerciale di Genova e della sua indipendenza, in considerazione del consolidarsi in Europa dei grandi stati nazionali e delle sempre più audaci mire espansionistiche dei Savoia. Successivamente, la città subì l’occupazione napoleonica, annessa poi per qualche decennio al Regno di Sardegna e nel 1861 al neonato stato italiano. In qualche modo, tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, Genova riuscì a riacquistare la sua egemonia commerciale, entrando a pieno diritto nel triangolo industriale nazionale con Milano e Torino. A metà degli anni Venti del secolo scorso, fu ampliata la giurisdizione amministrativa della città, comprendendo località come Voltri, Nervi e Pontedecimo che, in precedenza, erano stati Comuni autonomi. Per la sua importanza strategica, sotto il profilo economico, Genova fu una delle città più bersagliate durante la seconda guerra mondiale, subendo gravissime perdite in termini di vite umane e di edifici distrutti e distinguendosi per l’eroicità dei suoi cittadini, che contribuirono efficacemente a respingere le truppe tedesche dal territorio con una strenua resistenza partigiana.

I simboli

Lo stemma della città si è evoluto, a seconda degli eventi pìù importanti che hanno riguardato la storia di Genova. Negli ultimi anni della Repubblica lo stemma era rappresentato come uno scudo crociato con corona regia, sorretto da due grifoni con code dritte, in stretta connessione con l’influenza francese dell’epoca. Con la rivoluzione giacobina, le vecchie insegne furono distrutte, per l’avversione dilagante nei confronti dei sovrani e della nobiltà. Il primo stemma cosiddetto “municipale” fu concesso nel 1816 dal re Vittorio Emanuele I, dopo che Genova fu annessa al Regno di Sardegna. La città ligure, tuttavia, ottenne di esporre il proprio antico scudo crociato con i due grifoni con le code fra le zampe, in segno di sottomissione al nuovo re. Questo fu visto come un affronto dai fieri Genovesi che, solo nel 1897, strapparono il consenso ad Umberto I di poter esporre lo stemma con la coda dei due grifoni rivolta verso l’esterno, in memoria dell’autonomia e del grande prestigio del passato. Dopo circa un secolo di indagini storiche, l’Amministrazione cittadina ha provveduto a cambiare ulteriormente lo storico simbolo, rendendo le code dei grifoni ritte verso l’alto. A ciò si aggiunge un’altra curiosa particolarità: la base dello stemma si fregia, su ciascuno dei due lati, dell’immagine di un rostro bronzeo di una nave romana a testa di cinghiale, ritrovato nel porto di Genova alla fine del sedicesimo secolo.

La bandiera di Genova, ovvero la Croce di San Giorgio, una croce rossa su un campo bianco, ha una significativa origine storica e religiosa. Essa era il simbolo dei pellegrini che viaggiavano verso il luoghi santi del Cristianesimo, a partire dall’ultima decade dell’undicesimo secolo, quando i Turchi selgiuchidi conquistarono Gerusalemme, destando grande impressione nell’intera Europa. La croce di San Giorgio era considerata come il salvifico vessillo della vera croce, come testimonia una celebre definizione di Jacopo da Varazze che in epoca contemporanea servirà a contraddistinguere i pellegrini armati per la riconquista dei territori sacri sottratti al culto cristiano, i Crociati. Il simbolo crociato, però, sembra avere un’origine molto più remota, fino al periodo bizantino, quando il vessillo della guarnigione veniva issato come omaggio nella piccola chiesa di San Giorgio, situata nell’antica piazza del mercato già presente nella civitas romana.

La Cattedrale di San Lorenzo

Genova, come altre città italiane, conserva luoghi enigmatici pieni di affascinanti misteri secolari. Partirei dalla cattedrale di San Lorenzo che, oltre a rappresentare un gioiello architettonico, comprende numerose testimonianze storiche, significativi elementi simbolici e perfino reliquie leggendarie, guadagnandosi il titolo di chiesa “dai mille segreti”. Il duomo di Genova è uno dei più splendidi esempi di gotico italiano, impreziosito ed ingentilito da spunti manieristi, nonché caratterizzato dalla particolare alternanza nella facciata di fasce bianche e nere, tipiche dell’architettura religiosa ligure. Nei suoi sotterranei, dove è stato allestito il Museo della Cattedrale, è custodito il cosiddetto “sacro catino”, un piatto dalla forma esagonale, di colore verde trasparente che, secondo una leggenda, sarebbe stato adoperato durante l’Ultima Cena di Gesù con i suoi apostoli. Si ritiene che l’oggetto sia stato portato a Genova durante il periodo delle Crociate, in particolare dopo il saccheggio della città di Cesarea. Secondo un’altra versione della storia, il piatto sarebbe stato acquistato dai Crociati a caro prezzo, in quanto originariamnente formato anche da smeraldi. Il “sacro catino” è stato sottoposto a diversi restauri, tra cui l’ultimo pochi anni fa, che probabilmente ne hanno modificato l’aspetto originario. A parte il fatto che supporre l’utilizzo di un oggetto così prezioso nel corso di una cena modesta e frugale, come si pensa sia stata quella di Gesù con gli apostoli, già di per sé sembri poco plausbile, gli esperti lo fanno risalire al IX-X secolo, individuandone addirittura una probabile fattura islamica.

Ma la cattedrale di San Lorenzo presenta altre sorprese: sempre nel Museo del Tesoro è conservato un altro leggendario oggetto, cioè il vassoio dove sarebbe stata adagiata la testa di San Giovanni Battista offerta da Erode alla figliastra Salomè.

L’episodio del martirio del Battista, anche per l’esoterica simbologia della principessa che ottiene la testa del decapitato, è uno dei più celebrati del Nuovo Testamento nelle opere artistiche e letterarie di tutti i tempi. In questo caso, gli studiosi, accertando che il vassoio è in quarzo, sono arrivati alla conclusione che si trattasse di un oggetto risalente proprio alla Roma imperiale, anche se la decorazione della “testa” apparirebbe come un’aggiunta del quindicesimo secolo su commissione della casata reale dei Valois. Uno dei cardinali consiglieri della nobile famiglia avrebbe donato il vassoio a papa Innocenzo VIII e successivamente sarebbe arrivato in Liguria. È superfluo ricordare che attribuire la datazione dell’oggetto al periodo della Roma imperiale, non significa automaticamente credere che sia stato utilizzato per la macabra offerta della testa dello sventurato Giovanni, così come “l’arca processionale” che ne custodirebbe le ceneri, anch’essa portata in Italia dai Crociati, rimane una reliquia fondata su una dicerìa popolare.

La cattedrale di San Lorenzo è ricca di simboli esoterici, come la triplice cinta raffigurata per ben tre volte. Essa risulta disegnata sul terzo gradino (bianco) salendo dal basso sullo scalone bicolore  che conduce all’ingresso principale della facciata, poi la ritroviamo vicino al felino (quello più arretrato) che regge il pilastro dell’angolo sinistro della facciata ed, infine, su uno dei gradini che portano all’antico Battistero nella piazzetta a sinistra della cattedrale. Come è noto, la cosiddetta tavola della “triplice cinta”, pur essendosi sviluppata come espressione di un gioco chiamato “filetto”, deriva da un simbolo antichissimo in cui si voleva rappresentare l’intima connessione del mondo materiale con quello spirituale.

La cattedrale di San Lorenzo, come hanno dimostrato scavi archeologici, fu eretta dove sorgeva un’area sepolcrale preesistente, con mura e pavimenti di epoca romana. Tra il V ed il VI secolo fu edificata una chiesa dedicata al santo proto-martire più piccola dell’attuale, mentre l’antica sede episcopale era una basilica intitolata ai Dodici Apostoli che sorgeva fuori dalle mura della città. Quando Genova si ingrandì e la zona di San Lorenzo diventò il centro nevralgico della vita politica ed amministrativa della Repubblica Marinara, grazie agli introiti commerciali ed ai proventi delle Crociate, la sede episcopale fu spostata e la piccola chiesa fu notevolmente ampliata, seguendo il gusto dell’epoca. Di grande suggestione è l’effetto della luce solare sulle pietre che compongono la facciata, disposte in fasce bicrome bianche e nere: a seconda dell’orario del giorno, si crea un’alternanza di luce e di tenebre. La tensione ad evidenziare la dualità luce/tenebre sembra predominante in questo splendido tempio di culto. Se osserviamo il lato nord e più precisamente la torre di sinistra, nei pressi della porta di San Giovanni prospiciente la piazzetta omonima, possiamo distinguere una scacchiera bicroma, un pò scolorita, forse in origine bianca e nera, composta da 64 caselle. La scacchiera è un simbolo presente anche in altre chiese, come il duomo di Crema, ed ha un’alta valenza esoterica, coinvolgendo perfino il misterioso ordine dei Templari e del resto la loro presenza in Liguria è storicamente accertata. Anche se ci troviamo un po’ fuori dalla via Francigena, Genova in epoca medioevale era, comunque,  un luogo di passaggio per raggiungere la Francia e la Spagna, verso popolari mete per pellegrini, come San Giacomo di Compostela.

Sulla facciata sud della cattedrale vi è un riferimento ad un altro importante ordine, quello dei Cavalieri di San Giovanni (poi di Malta). Su una lapide collocata sotto un’arca sepolcrale, vi è incisa, infatti, un’evidente croce di Malta, riguardante molto probabilmente un Cavaliere facente parte del predetto ordine.

Sembra quasi che gli scultori della cattedrale di San Lorenzo abbiano seguito un piano ben preciso, non lasciando nulla al caso e tracciando un vero e proprio cammino iniziatico ed esoterico. Sullo stipite superiore del portale, dalla parte sinistra, è scolpita una figura femminile che si identifica con la Conoscenza, a sua volta nell’atto di allattare due personaggi, forse simbolo della Filosofia e della Scienza. Si tratta dell’ancestrale archetipo della Madre Universale confluita poi nella figura di Maria, Regina Mundi, adorna della corona regale. Sull’altro lato, nella medesima posizione, vi è una figura maschile adulta che incrocia le mani sul capo di due fanciulli, volendo forse indicare l’iniziazione tra Maestro e discenti.

L’interno della cattedrale è solenne e maestoso, con pilastri circolari dove si possono trovare ancora frammenti in latino che ricordano importanti imprese della città di Genova. Sulla base dei pilastri spiccano raffigurazioni inquietanti, tipiche dell’ambiente gotico, come mani, artigli, teste di bovini ed altre composite figure zoomorfe. Altri due oggetti che colpiscono fortemente l’immaginario del visitatore sono un residuo bellico della seconda guerra mondiale che, secondo la credenza popolare, avrebbe sfondato il tetto ma, per intercessione della Madonna, non sarebbe esploso ed un curioso oggetto geometrico in ferro battuto, di fattura moderna, la cui forma rievoca la graticola sulla quale fu martirizzato San Lorenzo.

Nella chiesa, tra alcune foglie scolpite in pietra, quasi fuori contesto, appare anche la scultura di un cagnolino che, secondo una leggenda, sarebbe stato collocato da un artista all’inizio del sedicesimo secolo, per compensare la perdita del suo amatissimo amico a quattro zampe.

I luoghi

Tra i luoghi più interessanti di Genova, dal punto di vista esoterico, vi è senza dubbio Villa Durazzo Pallavicini, uno dei parchi più belli d’Italia. Si tratta di un ambizioso progetto voluto dal marchese Ignazio Alessandro Pallavicino e dallo scenografo Michele Canzio, terminato nel 1846, ma arrivato ai nostri giorni in un’alternanza di momenti di splendore e di decadenza. Queso parco suggestivo può essere considerato sotto tre aspetti diversi: come giardino pittoresco, come ambiente scenografico e come percorso iniziatico. Innanzitutto Villa Durazzo è un posto magico, dove poter trascorrere ore piacevoli passeggiando tra piante, fiori, laghetti e costruzioni dall’aspetto stravagante ed, inoltre, è allestito come un’opera teatrale, che invita alla trasformazione interiore del visitatore, allontanandolo dalla frenesia della vita quotidiana per avvicinarlo alle bellezze della natura. Il parco è, però, soprattutto un percorso esoterico impegnativo, ideato come luogo di purificazione e di conoscenza di sé stessi, quasi a sugellare un patto tra l’uomo e la natura. Per chi vuole recepire i messaggi degli ideatori, il giardino è il posto ideale, perchè i simboli sono collocati sotto gli occhi di tutti, anche se riconoscibili soltanto da poche persone addette ai lavori. La prima parte del viale può essere definita “un ritorno alla natura”: dopo aver oltrepassato un arco di trionfo, il visitatore si trova immediatamente circondato da una flora rigogliosa e lussureggiante. La disposizione delle piante non è affatto casuale, poiché si parte da un paesaggio più campestre e montano per entrare via via in un ambiente più esotico. Percorrendo il viale delle camelie, tra i più ricchi d’Europa, una delle meraviglie del parco, si arriva al “Lago Vecchio”, realizzato in maniera artificiale, emblema della necessità del lavoro dell’uomo che deve a volte plasmare le insidie naturali. Più avanti, invece, si trova una sorgente d’acqua, simbolo del potere purificatore di quest’elemento, indispensabile per lo sviluppo della vita sul nostro pianeta. La seconda parte del percorso è dedicata alla “conoscenza della storia”: la Natura non è più la protagonista, ma assiste alle vicende umane. Si arriva alla “cappelletta di Maria” e da lì è possibile osservare una piccola collina, dove sorge un edificio distrutto dai bombardamenti, in realtà è la ricostruzione di una scena di guerra. Proseguendo, si raggiunge il punto apicale del giardino, il “Castello del Capitano”, dove termina il tragitto in salita ed inizia quello in discesa. La struttura del Castello in stile gotico richiama in maniera evidente la simbologia ermetica: il suo basamento è quadrato, per indicare il mondo materiale degli esseri umani, mentre la torre è a pianta circolare, a significare la perfezione divina. Il Castello una volta era abitato, ora è utlizzato soltanto per le visite. Dopo aver salito sui 33 gradini (numero evocativo) di una scala a chiocciola, si raggiunge la terrazza su cui poggia la base della Torre, abbellita da 4 vetrate di colori diversi che sono rivolte verso i quattro punti cardinali: ad ovest la rossa, ad est quella violetta, a sud la gialla ed a nord quella verde. L’ultima scena della seconda parte del giardino è rappresentata dal mausoleo, dove scenograficamente vi sarebbe la tomba del capitano, ipotetico padrone di casa. In realtà, il messaggio del percorso, fino a questo punto, vuole indicare una vita di successi da parte del condottiero che, pur vicendo la “guerra”, alla fine perde la “vita”.

Ed oltre il museo, entriamo nella terza parte del parco, che potremmo intitolare come “il catarsi”. Dapprima si scende nelle grotte infernali, oscure ed intricate, non sempre aperte al pubblico, se non nell’ambito di appositi giri guidati e poi finalmente si raggiunge l’Eden, il Paradiso. Qui possiamo ammirare il “Lago Grande”, con al centro il tempio di Diana ed in prossimità la pagoda orientale, con il suo suggestivo ponte dorato. Andando più avanti, si arriva nei giardini di Flora, un omaggio alla dea della Natura e qui incontriamo un obelisco, simbolo della continua tensione dell’umano verso il divino. Molto evocativa è l’immagine finale, cioè l’urna funeraria posta su un’isoletta agevolmente raggiungibile, simbolo dell’estrema caducità della vita e della sottilissima linea di separazione che la divide dalla morte, esortandoci a non temere il necessario trapasso. Terminato il percorso vero e proprio, corsi d’acqua, roseti ed altre composizioni foreali ci invitano a gioire e a rilassarci.

Le strade ed i vicoli di Genova, con i loro antichi palazzi ed i giochi di colori che alternano le tonalità di chiaro e di scuro, sono stati sempre teatro di eventi storici e popolari straordinari che hanno ispirato narrazioni di ogni tipo e leggende stravaganti.

Storie e leggende

Vi sono racconti davvero originali che meritano di essere menzionati per comprendere il cuore di questa splendida città mediterranea. Ad esempio, si narra che presso la “Porta dei Vacca”, appena fuori dall’antica cinta muraria medioevale, la notte tra il venerdì santo e l’alba di Pasqua, transiti un carro spettrale guidato da un misterioso individuo incappucciato e trainato da un imponente destriero.

Molto suggestiva è anche la leggenda che avvolge la fontana di Piazza Vacchero, dove sarebbe possibile osservare orrende visioni, nelle notti in cui la luce della luna riesce ad illuminare il porfido del monumento. Di origine storica è la credenza dei “fantasmi di Campo Pisano”, a seguito della gloriosa vittoria dei Genovesi sulla rivale Repubblica Marinara toscana, nella battaglia della Meloria del 1284.

Qui erano stati condotti i prigionieri pisani e costretti a subìre il rigore dell’inverno e gli stenti della fame, avviandosi inesorabilmente alla morte. Si narra che nelle notti di tempesta, i prigioieri in catene risalgano la scalinata che dalla Marina porta verso la piazza, ancora oggi chiamata “Campo Pisano”. Abbastanza macabra è la leggenda del bambino di “Via Luccoli” (dal latino lucus o luculum, traducibile in boschetto sacro), dove  si crede che nell’antichità si compissero sacrifici umani in onore di due divinità pagane, Camuho ed Acca, rispettivamente il Sole e la Luna. Tra le vittime, ci sarebbe stato anche un bambino, il cui spettro apparirebbe soltanto alle persone tristi e di malumore. Il fanciullo non parlerebbe, limitandosi a sorridere ed a svanire nel nulla, lasciando però ai viandanti un senso di sollievo. E come non dimenticare la “meretrice di Vico delle Mele”, un personaggio del passato, quasi antesignano di un bel testo di De Andrè, che sarebbe svanita nel nulla, dopo un incontro amoroso, portando via con sé l’elegante palazzo dove si era concessa. Inoltre, due dame enigmatiche forse si aggirano ancora tra i palazzi di Genova: la dama bianca di Tursi e la dama velata di Vico Brignole. L’immagine della prima aleggia ancora nei giardini dietro Palazzo Doria Tursi e, completamente vestita di bianco, vaga tra le fontane e i vialetti per svanire poi dietro al loggiato del palazzo.  Lo spettro della seconda si affaccerebbe, all’ora del tramonto, da una finestra in Vico Brignole, singhiozzando e pronunciando lamenti incomprensibili. Attenzione, infine, alla discesa verso le “porte degli inferi” che alcuni veggenti collocano proprio a Genova. Essa sarebbe situata nella discesa che dalla Chiesa di San Siro conduce verso Fossatello, dove ancora oggi c’è una lapide che rievoca la leggendaria vittoria di San Siro sul Basilisco, un mitico animale dalle forme orrende (corpo di serpente, testa e zampe di gallo), ricacciato in un antico pozzo, dove i Genovesi credevano si scendesse all’inferno.

I caruggi

Come è noto, i vicoli di Genova sono chiamati con il termine caratteristico di caruggi. Secondo alcuni, la parola deriverebbe da “quadrivio” con l’aggiunta di “carri”, oppure anche dall’espresione francese charriage o ancora dalla locuzione araba kharuj. Molte di queste stradine devono i loro titoli alla corporazione di artigiani che ospitavano: Orefici, Fraveghi (fabbri), Indoratori, Pollaiuoli e così via. Prima che entrasse in vigore la Legge Merlin nel 1958, nei caruggi genovesi erano diffuse le case di tolleranza, ecco perchè si spiegano alcuni vicoli dedicati all’Amor perfetto o alle Carabraghe. Accanto ai vicoli, troviamo le tradizionali creuze, ad indicare un’angusta mulattiera, una stretta salita o scalinata che spesso collega i rilievi collinari con il mare. Famosissima è la Creuza de mà cantata da De Andrè che già aveva dedicato una canzone ad uno dei principali vicoli di Genova, via del Campo.

Le stradine di Genova, in assenza di ampie vie di comunicazione, dovevano servire alle persone comuni, agli eserciti ed ai mercanti per poter portare a termine i propri compiti in una città “obliqua”, così come definita dallo scrittore Vicente Blasco Ibanez, uno dei più illustri visitatori del XIX secolo. Fin dal periodo medioevale, la costruzione dei caruggi a ridosso dei grandi palazzi nobiliari, rispondeva ad una necessità difensiva ideata dai Genovesi per proteggersi dagli attacchi dei pirati. In tale contesto ambientale era agevole improvvisare barricate e difendere le postazioni perfino dalle finestre delle abitazioni. Si trattò del primo nucleo inespugnabile di quella che, con il passare dei secoli, diventerà una città ben fortificata.

Gli altri luoghi

Abbiamo parlato delle particolarità della Cattedrale di San Lorenzo e sarebbe impossibile soffermarci su tutte le pregevoli chiese genovesi. Tra queste una particolare menzione merita la basilica di San Siro, l’antico Duomo prima dell’edificazione di San Lorenzo, ricostruita completamente in epoca barocca ed impreziosita di capolavori come la celebre Annunciazione di Orazio Gentileschi.

Ho trovato molto suggestiva la basilica di Santa Maria delle Vigne, uno degli edifici di culto più antichi del capoluogo ligure, realizzata in stile romanico su un misterioso tempio pagano, poi trasformata con elementi barocchi verso la metà del Seicento.

È facile, poi, perdersi ammirando la bellezza degli affreschi della basilica della Santissima Annunziata del Vastato, oppure meravigliarsi dell’espressività della famosa Immacolata dipinta dal Puget nell’oratorio di San Filippo Neri.

Per chi ama il mistero, non possono passare inosservate la Commenda di San Giovanni in Prè, costruita nel 1180 dai Cavalieri gerosolimitani e composta da una chiesa in aggiunta ad un ospedale, o la chiesa di Santo Stefano, a pianta rettangolare e a singola navata, edificata sul sito di una cappella preesistente, le cui tracce sono ancora visibili nelle cripta.

Genova la Superba, dominatrice dei mari, ha come suo totem la Lanterna che, con la sua altezza di settantasette metri è il faro più alto del Mediterraneo ed il secondo d’Europa, dopo il Faro dell’Ile Vierge, in Francia. La Lanterna fu eretta nel 1128, ma ricostruita nella versione attuale nel 1543, rappresentando in tale forma il terzo faro più antico del mondo, dopo la Torre Hercules di La Coruna, in Spagna, ed il faro di Kopu, sull’isola estone di Hiiumaa.

L’agorà cittadino ha acquistato eleganza e signorilità, grazie al restauro della monumentale fontana di Piazza de Ferrari ed al recupero totale del Palazzo Ducale, anticamente sede dei dogi ed ora adibito ad ospitare coinvolgenti eventi culturali, nonché alla ricostruzione del teatro Carlo Felice, distrutto durante la seconda guerra mondiale, tranne fortunatamente il bel pronao neoclassico ideato dall’architetto Carlo Barabino.

Inoltre, Genova, a partire dall’ultimo ventennio dello scorso secolo, si è distinta per alcune scelte di avveniristica architettura, affidate in gran parte al famoso Renzo Piano, soprattutto per la riqualificazione dell’area del porto antico in occasione delle Colombiadi del 1992, dove sorge anche una delle più importanti attrazioni della città, l’Acquario, il più grande d’Italia ed uno dei maggiori d’Europa.

Genova, grazie all’ingegno dei suoi cittadini, continua a risorgere dalle proprie ceneri, come nell’estate appena passata,  con la ricostruzione  del ponte Morandi, sotto il segno di San Giorgio, dopo la tragedia dell’agosto 2018 che aveva portato via tante vite innocenti. Il nuovo ponte è stato realizzato su un disegno regalato alla città dal solito grande Renzo Piano, progettato da Italferr e costruito dal consorzio PerGenova, a sua volta nato dalla collaborazione di due società, Webuild e Fincantieri. L’intera area sottostante al ponte, a seguito di un concorso internazionale,  è stata inserita in un progetto denominato Il Parco del Polcevera ed il Cerchio rosso che prevede la realizzazione di un parco urbano e di un anello ciclopedonale in acciaio del diametro di 250 metri, in aggiunta ad una simbolica torre eolica alta 120 metri e ad un memoriale dedicato alle vittime del crollo.

La nuova area sarà il simbolo di una città che ha sempre saputo cambiare, senza trascurare le proprie tradizioni storiche e che riesce a rimarginare le proprie ferite, ma senza dimenticare.

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