I migliori film da vedere su Netflix

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Sicuramente il portale Netflix, approdato già ormai da qualche anno in Italia, deve la sua popolarità soprattutto grazie alle serie tv, in quanto unica piattaforma disponibile in Italia con una simile offerta. Ultimamente, però, Netflix sta cercando sempre più di farsi strada anche nell’offerta di film, proponendo multimilionari blockbuster accanto a una buona offerta di film di qualità (con la pecca però di avere pochissime produzioni non made in U.S.A. e soprattutto per la maggior parte degli ultimi 20 anni).

L’offerta è così vasta, però, che può essere difficile orientarsi; eppure ci sono molti film che andrebbero visti almeno una volta nella vita, tra quelli del catalogo di Netflix. Qui sotto ne trovate dieci, a portata di telecomando.


The Wolf of Wall Street

Un ritmo forsennato, una regia incredibilmente dinamica, un Leonardo DiCaprio forse ai suoi massimi livelli: The Wolf of Wall Street è uno di qui film che bisogna vedere per forza. Martin Scorsese firma un capolavoro sull’ascesa e sulla caduta del brocker newyorkese Jordan Belfort (interpretato da Dicaprio), seguendolo con la propria macchina da presa in tutti gli eccessi della sua folle vita: lo spettatore può entrare nelle surreali esperienze di un uomo multimilionario e senza alcuno scrupolo, né certamente che dà grandi attenzioni all’etichetta. Dramma umano e sociale e una taglientissima ironia che sfocia spesso nel black humor si fondono in una delle migliori opere mai realizzate dal regista italo-americano: come diceva Molière, in fondo, una tragedia farà scendere i lacrimoni agli spettatori, ma solo una grande commedia è capace di far seriamente riflettere l’uditorio.


Il grande Lebowski

Il grande Lebowski è un film che non ha bisogno di presentazioni (se è vero che il personaggio del Drugo, un misto tra Bob Marley, Trockij e il Dalai Lama, ha persino ispirato una religione). I fratelli Cohen decidono di realizzare un film che non abbia limitazioni di trama o di morale finale: non cercano una struttura predefinita ma danno libero sfogo al loro irresistibile black humor, guardando il mondo attraverso gli occhiali da sole del Drugo (Jeff Birdges), un fattone che ha trovato il proprio Nirvana nell’accoppiata White Russian-partite di bowling e che passa con calma zen le proprie giornate non facendo assolutamente niente. Niente conta, niente deve essere fatto per forza, e allora persino la perdita di un tappeto diventa un pretesto per far partire un putiferio: è questo l’ironico elogio delle piccole cose della vita firmato dai fratelli Cohen.


Il favoloso mondo di Amelie

Il favoloso mondo di Amelie è una delle poche importati produzioni non statunitensi (co-produzione di Francia e Germania) presenti su Netflix e già solo per questo merita un occhio di riguardo. La pellicola racconta tramite una deliziosa regia, che si appoggia su una voce fuoricampo da narratore di fiabe, e una splendida colonna sonora, la strana storia di Amelie Poulain, ragazza introversa ma amante di ogni singolo dettaglio e particolare della vita (può passare le sue giornate anche semplicemente a contemplare il colore di una rosa). Amelie, dopo uno shock, decide di passare le proprie giornate a “rimettere a posto le cose” nelle vite delle persone, e ovviamente, nel suo percorso, anche i cocci della sua via verranno riordinati tramite la scoperta del vero amore. Una fotografia con colori pop e iperrealistici e un tono ironico tipicamente francese, rendono questa fiaba contemporanea uno dei migliori film degli anni 2000.


Bastardi senza gloria

È possibile trattare la seconda guerra mondiale mischiando western, splatter e kammerspiele? Sì, se ti chiami Quentin Tarantino. La pellicola è un omaggio al cinema, per lo strabordante citazionismo, certo (dai nomi dei personaggi, alle locandine dei film, alla stessa sceneggiatura); ma anche per la recitazione, tutti infatti interpretano una parte e lo danno bene a vedere: l’iconico Orso Ebreo che in una atmosfera da spaghetti western spacca teste di nazisti con una mazza da baseball, Hans Landa classico esempio del tedesco cattivo perfezionista e autoironico, l’esagerato yankee Brad Pitt tutto fatti e adrenalina. Si tratta palesemente di una messa in scena, eppure c’è un realismo esasperato: attenzione spasmodica ai dettagli (Michael Fassbender che si tradisce per il gesto con cui fa il numero tre, il modo in cui fuma Hans Landa), plurilinguismo precisissimo. Ma allora cos’è Inglourious Basterds? È lo spettacolo contemporaneo puro, con un intreccio di sub-plots studiati a puntino, una colonna sonora da applausi e una contaminazione di generi che ridefinisce il genere stesso.

Ovviamente qui parliamo di pura prospettiva artistica, non c’è alcun messaggio in Bastardi Senza Gloria che faccia scoprire nuovi dettagli sulla guerra e su quegli anni. Eppure il gioco di sotterfugi, le figure naziste senza pietà, la vendetta covata dagli ebrei, la visione da lontano degli americani, in un certo qual modo offrono spunti veri sulle dinamiche personali legate agli eventi di quegli anni. Se cercate la guerra vista con uno sguardo oggettivo, guardate un altro film: Tarantino si accanisce grottescamente contro i nazisti, si concede addirittura di smitragliare più volte la faccia di Hitler. E nel finale, quando Brad Pitt incide la svastica sulla fronte di Christoph Waltz, una lacrimuccia di commozione può sfuggire. Perché non si può non amare quel bastardo di Tarantino.


Se mi lasci ti cancello

Ora, tralasciando il titolo dato in Italia al capolavoro di Spike Jonze Eternal Sunshine of the spotless mind (Se mi lasci ti cancello è davvero troppo brutto per essere vero), questo film merita di essere visto già solo per la sceneggiatura di Charlie Kaufman (premiata agli Oscar), uno dei migliori sceneggiatori viventi. Kaufman conferma la sua inclinazione per l’esplorazione dei labirinti della memoria e dell’inconscio e crea una sottile ode all’effimerità dell’amore: una coppia (un meraviglioso Jim Carrey e Kate Winslet) decide di cancellare dalla propria memoria l’altro andando in uno studio medico specializzato, dopo la fine della loro relazione; da questo momento però ricordi, sogni, invenzioni, momenti vissuti e che avrebbero voluto vivere, tutto si mischia in una regia di Spike Jonze che sembra tradurre nel filmico i processi mentali della Ricerca del tempo perduto di Proust. Eternal Sunshine of the spotless mind è un film che rimarrà nella storia del cinema per lungo tempo.


Il grande Gatsby

La versione di Buz Luhrmann (già regista di Moulin Rouge) dell’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald è un fuoco d’artificio imperdibile. La regia di Luhrmann è ormai estremamente riconoscibile e tale è il suo obiettivo: stupire lo spettatore, lasciarlo attaccato alla poltrona e farlo immergere in un vero tour de force sensoriale di luci e di vertiginosi movimenti di macchina. Il tutto viene condito da una colonna sonora post-moderna prodotta da Jay-Z e che mischia il tempo del ruggente jazz in cui è ambientata la vicenda con pezzi pop contemporanei (anche qui una tavolozza che unisce tutto, dai The XX a Beyoncè). Grandissima interpretazione di DiCaprio nei panni del protagonista (ma questa non è più, ormai, una grande notizia), uno scalatore sociale diventato ricchissimo che cerca di ritrovare disperatamente il suo primo vero amore. Il film traduce in maniera spettacolare il senso di perdita dell’innocenza del romanzo di Fitzgerald, che è davvero stato il simbolo della generazione degli anni venti made in U.S.A., implosi in se stessi per un ritmo troppo concitato da poter essere sopportato, lo stesso elettrizzante ritmo della regia di Luhrman.


Drive

Il primo grande di film di Nicolas Winding Refn, che ha trionfato al Festival di Cannès 2012, è un’opera che va assolutamente vista per diversi motivi: sicuramente per l’iperrealistico stile di regia (che fa ampio uso di una violenza ingiustificata e che quasi anestetizza lo spettatore), stra-imitato negli ultimi anni da praticamente qualsiasi regista alla ricerca di un nuovo modo di esprimersi; per Ryan Gosling, che con quella faccia da bravo ragazzo (con però uno sguardo gelido, disincantato e impassibile), sembra fatto apposta per la parte del protagonista, uno stuntman che cerca di “arrotondare sullo stipendio” prestando servizio come autista per alcuni rapinatori di banche. L’incontro con una ragazza con un figlio metterà a dura prova la sua coscienza e darà inizio al dramma personale del più classico degli antieroi moderni.


Mr. Nobody

Nemo Nobody, ultracentenario, è l’ultimo uomo destinato a morire di vecchiaia rimasto in un mondo sci-fi nell’anno 2092. Il film ripercorre la vita del protagonista, mentre egli stesso la racconta a un giornalista. Il punto è che Nemo racconta frammenti di vita incongruenti: afferma sia di aver lasciato a madre per vivere col padre, sia il contrario, sia di aver sposato l’amore della sua vita, sia di averlo perso per sempre. La regia dunque si muove nel labirinto della memoria di Nemo, ripercorrendo la sua infanzia, la sua adolescenza e la sua età matura, ripercorrendole in ogni ramificazione possibile, in ogni scelta fatta e in ogni scelta non fatta; il film, che pian piano assume un tono sempre più tragico, si rivela in realtà essere un vero inno alla vita, un inno alle strade sbagliate scelta davanti a dei bivi, un inno alla vita realmente vissuta e a quella che è in realtà solo nella nostra testa, un inno all’effimerità dei rapporti umani e alla necessità della morte, che sola può dare un vero senso a questi frammenti di vita.


Lo chiamavano Jeeg Robot

Un film di genere di supereroi italiano: Lo chiamavano Jeeg Robot è davvero un film coraggioso e rivoluzionario nello stantio panorama cinematografico nostrano. Gabriele Mainetti firma un collage di film di serie B, anime, film di supereroi anni ’60, con un occhio di riguardo anche al compianto Claudio Caligari. Enzo (un fenomenale Claudio Santamaria) acquisisce una incredibile forza dopo aver fatto il bagno nel Tevere (il film viene narrato con un’ironia irresistibile), e usa questo super-potere per rapinare bancomat, così da potersi finalmente comprare tutti gli yogurt e i film porno di cui ha bisogno. Romperanno l’idillio da antieroe l’irruzione di una ragazza appassionata di manga a cui badare e di cui il protagonista si innamora e soprattutto l’avvento dello Zingaro, criminaluccio di borgata, ex comparsa di Domenica In, che vuole disperatamente raggiungere la notorietà e “fare er botto più grande de tutti i tempi“. L’estetica da film di serie B e le contaminazioni di genere rendono la pellicola un unicum che speriamo possa dare una spinta verso la novità al panorama cinematografico nostrano.


Mulholland Drive

Forse il film più difficile da decifrare dell’intera cinematografia di quel genio che è David Lynch (ed è tutto dire). Il regista racconta la storia di un’aspirante attrice hollywoodiana e del suo incontro con una ragazza affetta da amnesia, ma incaponirsi nel raccontare la trama di quest’opera non ha davvero senso, in quanto Lynch scava nell’inconscio e nella logica del desiderio della protagonista creando una pellicola visionaria. Estetica da noir hollywoodiano anni ’50, surrealismo e post-moderno contrastano l’uno con l’altro rompendo con la barriera della coscienza della protagonista anche ogni definizione di genere cinematografico e non. Lynch non segue una logica causa effetto nel narrare la storia, ma la logica (se così possiamo chiamarla) del desiderio, la logica dei sogni, facendo sovrapporre i piani di realtà e finzione.

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