La faccia nascosta del genio: i dipinti di Miles Davis

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“Il mio futuro ha inizio quando mi alzo la mattina, ogni giorno trovo qualcosa di creativo da fare nella vita. La musica e la vita sono solo questioni di stile”

Miles Davis

Senza dubbio il caro Miles di stile ne aveva tanto. Figura chiave del Jazz e della musica popolare, Davis è annoverato tra i migliori musicisti del XX secolo. Non era un virtuoso, non faceva parte del suo stile, ma era un genio. Trombettista, compositore, mentore per le future generazioni, personaggio pubblico dall’enorme influenza, ed infine, pittore. Avete capito bene: pittore.

L’amore per la pittura è una delle caratteristiche meno note del Miles Davis artista. Nasce come un semplice svago durante gli anni ’50, e si rafforza quando decide di prendere una “pausa musicale”, nel 1975. Dipingere era una terapia per Miles, lo aiutava a fronteggiare il periodo post-ictus, e come affermato da lui stesso nella sua autobiografia: “l’arte tiene la mia mente occupata con qualcosa di positivo quando non suono.”

L’ispirazione per i suoi dipinti arriva da Kandinsky, Basquiat, Picasso, dall’arte tribale. Si tratta di uno stile tagliente, audace, con colori accesi su fondi scuri che sembrano voler fuoriuscire dalle tele. Inizialmente questa sua passione veniva sfoggiata durante le interviste, quando attraverso un pennarello e un foglio si lasciava ispirare dai dialoghi e da ciò che lo circondava. La sua pittura fa il grande debutto nel 1983, l’anno di Star People, l’album che gli fece raggiungere il quarto posto nella classifica Jazz albums statunitense, e il lavoro che lo ispirò per una copertina “homemade”.

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La copertina di Star People (1983)

Questo suo lavoro grafico cerca di ribadire ciò che aveva mostrato con la sua musica negli anni ’60: il ritmo degli africani, quella cosa che stava alla base di tutto, un concetto posto al centro della sua pittura e della sua musica. Miles era un autodidatta e nonostante il successo ottenuto dalla sua prima “composizione” grafica, decise di prendere delle lezioni, rivolgendosi a Jo Gelbard, la donna che gli insegnò le tecniche base della pittura e che diventò poi la sua compagna.

Il decennio ’80-90, l’ultimo della sua vita, fu il più intenso sotto questo punto di vista. Iniziò ad organizzare mostre, dipingeva continuamente e suonava. Nel 1989 pubblicò l’album Amandla, e un dipinto creato insieme a Jo venne utilizzato per la copertina. Si tratta di un autoritratto che – insieme alla musica – vuole mostrare al mondo le capacità di un genio, una persona libera, che sa adattarsi e che ha posto la pittura al centro della sua vita.

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La copertina di Amandla (1989)

È proprio la libertà il significato principale che ruota attorno all’album, e lo si nota subito dal titolo: Amandla è una parola zulù che significa potere, utilizzata come “slogan” durante le manifestazioni politiche contro l’apartheid, ma come specificato nell’autobiografia di Miles, il titolo vuole indicare la libertà, quella del popolo e di un artista.

In quel periodo Miles si trovava in un’altra dimensione, stava per arrivare la sua meta finale, sotto il punto di vista artistico era completamente realizzato, aveva accontentato tutti. Con Amandla ha fatto capire al mondo cosa significhi “libertà”, si era allontanato dallo stile che hanno contraddistinto i suoi precedenti lavori – vedi kind of blue – e ha proposto un sound che avrebbe avvicinato al suo mondo un’altra nicchia: quella del rock.

Appariva come un’artista difficile, scontroso, spesso aggressivo. Lo chiamavano “il Principe delle tenebre”, ma in realtà era un uomo umile e generoso che sapeva farsi amare da tutti.

Qualche tempo fa Dangerous Minds ha raccolto una piccola galleria web di dipinti di Miles Davis. Ne trovate alcuni qui di seguito.

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One comment

  1. Grazie Manuel! e’ stato bello leggere questo articolo su Miles Davis. A me piaceva sempre la sua musica e non sapevo che era anche artista. io sono americano e devo dirti che non ho mai sentito parlare di questa parte della sua vita. Molto piacevole lettura!

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