âIn the name of Annah the Allmaziful, the Everliving, the Bringer of Plurabilities, haloed be her eve, her singtime sung, her rill be run, unhemmed as it is uneven!â
Basterebbe questo breve e astratto scorcio per analizzare la terrificante creatura partorita da James Joyce, una delle menti piĂš eclettiche e innovative del XX secolo, capostipite ed ispiratore di numerose correnti sviluppatisi nel corso del secolo, il modernismo in primis. I primi assaggi dello stravolgimento stilistico e tecnico del romanzo denotato dallâautore si possono individuare giĂ nelle sue precedenti opere, in particolare Ritratto dellâArtista da Giovane e Ulisse, che saranno i preamboli per la creazione di unâopera che lo stesso autore ha definito âuna follia, che si potrĂ giudicare solo fra un secoloâ.
La cosa certa è che dopo quasi 80 anni dalla sua pubblicazione (avvenuta nel 1939, due anni prima della morte di Joyce), una chiave di volta per tentare di render nostro il pensiero dellâautore ancora non è stata trovata. Fior di letterati provenienti da ogni parte del globo hanno tentato nellâardua impresa di portare a termine la lettura e comprensione del manoscritto, senza riuscirvi. Lo stesso Umberto Eco, punto di riferimento della letteratura nostrana, nel 1962 affermò che âFinnegans Wake costituisce il piĂš terrificante documento di instabilitĂ formale e ambiguitĂ semantica di cui si sia data notiziaâ.
Cerchiamo di analizzare lâelemento centrale della questione: perchĂŠ Finnegans Wake risulta essere lâincubo dei traduttori e non solo? PerchĂŠ è cimentarsi nel tradurre un sogno tradotto, dove le parole non sono parole di una lingua conosciuta ma di una lingua inconscia. Lâopera non è che la controparte notturna dellâUlisse. CosĂŹ come Ulisse è la storia di un singolo giorno della vita di Leopold Bloom, ed al contempo è la sua vita intera, e nel macroscopico lâumanitĂ stessa, cosĂŹ è Finnegans Wake la notte onirica di Humphrey Chimpden Earwicker.
Ulisse si chiude con il flusso di coscienza della moglie di Leopold, che in dormiveglia parla della sua vita, e Finnegans Wake apre con un sussurro che scorre, con Adamo ed Eva ed una caduta che è anche un tuono e che fa cosĂŹ âbababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerâ. Infatti il nucleo centrale della mastodontica opera Joyciana, consiste nellâutilizzo del cosiddetto pun multilingue. In esso le parole vengono amalgamate ed incastrate lâuna nellâaltra, allo scopo di delineare sconfinate dimensioni di significato: i gemelli siamesi sono âsoam heisâ, il âriverrunâ è unâunione di fiume e scorrimento (la prima parola dellâopera).
Il problema di base è proprio questo: lâunico modo per discernere realmente il vero significato di tali termini sarebbe entrare nella testa dellâautore. Ă forse per questo motivo che occorre lasciar scorrere la scrittura di Joyce cosĂŹ comâè allo stato brado, perchĂŠ qualunque traduzione risulterebbe inutile e finirebbe per inquinare in maniera indelebile il profondo messaggio apportato dallâautore.
La storia dellâopera va fatta risalire al 1922, un anno dopo lâuscita dellâUlisse. Fu allora che la sconfinata mente di Joyce partorĂŹ lâidea di un nuovo progetto, o âWork in progressâ come definito dallo stesso autore, che sarebbe diventato successivamente il suo degno canto del cigno. Il titolo, Finnegans Wake, fa riferimento ad una vecchia ballata irlandese, che racconta la veglia funebre di un ubriacone, durante il quale i suoi amici gli rendono i propri omaggi gozzovigliando in compagnia di litri dâalcool. Durante un litigio, gli scellerati galantuomini fanno cadere un goccio di whisky sul cadavere, che si risveglia (infatti âwakeâ indica sia âvegliaâ, che âsvegliarsiâ, se indicato come verbo). Joyce fece suo questo titolo e tramutò âFinneganâsâ in âFinnegansâ; per cui il titolo ufficiale divenne Finnegans Wake, inteso come âla veglia dei Finneganâ o âi Finnegans si sveglianoâ. Persino il titolo può dunque assumere miriadi di significati, in quanto Finn rappresenta un gigante della mitologia irlandese, per cui la locuzione âFinn againâ potrebbe rivelarsi unâesortazione allo spirito di riscossa irlandese. Unâaltra interpretazione ci viene fornita dal latino, dove negans è participio presente di negare e di conseguenza âFin negans wakeâ rappresenta una veglia, o un risveglio che nega la fine.
Come si può notare sin dalle prime battute appare chiaramente come solo il piĂš erudito tra i lettori potrĂ cogliere il senso di Finnegans Wake e non è un caso che i primi ad intraprendere questa tremenda avventura siano stati dei Joyciani convinti quali Marshall McLuhan e Umberto Eco. Sembra che James Joyce abbia voluto lasciare una traccia indelebile di sĂŠ partorendo una creatura unica e che, stando alle sue previsioni, potrĂ essere giudicata una lucida follia da noi altri solo fra altri ventâanni.
Riportiamo in conclusione la splendida annotazione di Samuel Beckett, un altro dei fedelissimi di Joyce, il quale forse prima di tutti ha compreso la vera essenza della sua scrittura, fatta ânon solo per essere letta, perchè bisogna anche guardarla e ascoltarla; la scrittura di Joyce non è su qualcosa, è quel qualcosaâ.
âLord, heap miseries upon us yet entwine our arts with laughters low.âÂ
âThe Gracehoper was always jigging ajog, hoppy on akkant of his joyicity.âÂ
âSo weenybeenyveenyteeny.âÂ
âAnd youâll miss me more as the narrowing weeks wing by. Someday duly, oneday truly, twosday newly, till whensday.âÂ
Cover Image: Max Beckmann, La Notte (dettaglio)