In Saving Grace: la parentesi mistica di Bob Dylan

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I poeti maledetti, si sa, sono schegge impazzite. Uomini che dentro la loro mente e dietro la loro pazzia, nascondono un intero universo di sensibilità. Uomini che con una chitarra in mano, un foglio e una penna riescono ad esprimere tutto ciò che hanno dentro il cuore.

Bob Dylan è uno di questi, che voi siate fan o meno, questa è una osservazione oggettiva. È lui che ha cambiato le regole della scrittura di canzoni, a livello testuale, in ambito folk, rock e pop, ritrovandosi ad innalzare sempre più il livello.

Oggi vi parleremo di lui. Ma vogliamo raccontarvi una storia diversa. Vogliamo che voi chiudiate gli occhi per un attimo e vi dimentichiate di Blowin’ in the wind, The Times They Are a-Changin’ o quel capolavoro che è Blonde on Blonde. Oggi vi parleremo del Dylan ritrovato. O, come dissero di lui più volte (fino a spingerlo a contestarne pubblicamente la definizione nel 1984 bollandola come invenzione dei media), “rinato”.

È il 1978, il nostro caro amico Robert Zimmerman (vero nome di Bob) si ritrova perso nei meandri di una carriera che negli anni ’70 ha avuto alti e bassi. Dopo un periodo abbastanza difficile, con un brutto incidente in moto, il divorzio dalla moglie, gli eccessi di droga e la morte di uno dei suoi idoli, Elvis Presley, Dylan si ritrova per qualche strano motivo in una chiesa di Cristiani Rinati nella quale ha una sensazione strana. In un’intervista ammetterà che: “C’era una presenza nella stanza e non poteva essere nessun altro che Gesù Cristo”.

Questa visione gli cambierà la vita. O meglio, la visione che egli ha della vita in quel periodo. E queste impressioni le metterà dentro una trilogia spirituale, governata, più che dallo spirito del rock’n’roll, da una ritorno tradizionale al gospel.

BOB DYLAN - Slow Train Coming cover

Non esiste via di mezzo. È questa una delle affermazioni implicite della canzone Gotta Serve Somebody, singolo di punta del nuovo album (della quale ha fatto una versione anche il nostro amico Francesco De Gregori, da sempre grande ammiratore del genio americano).

Nel 1979 esce Slow Train Coming, un album con suoni morbidi, ispirato alla musica nera e che prende a piene mani dalle tradizioni gospel, nei quali Dylan si ritrova a scrivere sermoni degni dei migliori predicatori americani o condanne nei confronti dei non credenti in brani che raramente si abbassano sotto la soglia dei cinque minuti, stimolato dalla lettura del Libro dell’Apocalisse.

Curioso è il fatto che a produrre l’album non solo ci sia “un incallito ateo ebreo di sessantadue anni”, Jerry Wexler, ma a suonarci dentro ci siano anche due atei convinti come Pick Withers e soprattutto Mark Knopfler dei Dire Straits, oltre ad altri musicisti di alto livello.

Il disco ebbe una critica variegata, vendendo però più dei classici del menestrello di Duluth (che nel frattempo era diventato rocker e poi fervente ed estremista cristiano).

Saved, l’album uscito l’anno dopo, fu registrato in pochi giorni, con l’aiuto dei musicisti presenti anche nella raccolta precedente, ma senza più i componenti dei Dire Straits. Molto più gospel del primo, non riuscì però ad entrare nel cuore della gente né della critica, che lo stroncò, arrivando persino ad affermare che il precedente Slow Train Coming «non era l’album di Jerry Wexler o del vecchio R. Zimmerman, o di Gesù. Era l’album di Mark Knopfler.»

L’unica nota positiva della raccolta venne trovata nella copertina originale, che diventa un po’ il simbolo di questa trilogia.

Bob_Dylan_Saved
La copertina di Saved, 1980

Passa un altro anno e nel 1981 Bob pubblica il terzo disco, Shot of Love, con un occhio nuovamente più rivolto al rock’n’roll e meno al gospel, dove i testi raccontano nuovamente le emozioni e i sentimenti quotidiani, allontanandosi dai sermoni. La critica lo stroncò comunque, stufa ormai di questa versione del Dylan biblico.

Nonostante tutto, però, questo rimase per molto tempo il disco preferito dallo stesso cantautore, che però negli anni successivi si ritroverà a rinnegare la sua conversione come qualcosa che doveva capitare, ma in modo passeggero. Anche se, a dir la verità, nei live del periodo eliminava dalla scaletta i suoi grandi classici, mantenendo soltanto le canzoni ispirate alla religione, deludendo spesso i fan storici.

Una fase fibrillante caratterizzata da un grande momento creativo, che però alla fine verrà ricordata solo come una parentesi. Eppure i frutti sono stati ispirati e si fanno ricordare ancora. Non soltanto a livello musicale: fu in quel periodo che Bob Dylan si ritrovò a ispirare un ragazzo di 21 anni di Dublino, che l’anno prima insieme ad altri tre amici aveva pubblicato il primo disco di una delle più grandi band della storia del rock. Lui si chiamava Paul David Hewson, per gli amici Bono, e loro erano gli U2. Ma quella è un’altra storia…

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