Thomas Dolby, un uomo del suo tempo

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Chi è Thomas Dolby? Difficile dare una risposta. Un musicista, certo. Ma la questione è assai più complessa. Thomas Dolby (all’anagrafe Thomas Morgan Robertson) è un personaggio affascinante, dalle mille sfaccettature; un artista, è il caso di dirlo, a 360 gradi, ma anche (e soprattutto) un uomo del suo tempo.

Nato a Londra il 14 Ottobre del 1958, comincia a flirtare con le sette note proprio quando un certo tipo di rock sinfonico lascia il passo alla ruvidezza del punk: un fiume in piena che di lì a poco confluirà nei suoni new wave dei primi anni ‘80. Thomas, giovane di belle speranze, non rimane certo a guardare. Nasce in lui una fascinazione per l’elettronica e le tastiere (difatti “Dolby”, il soprannome che gli venne affibbiato dagli amici, è ispirato alla società statunitense Dolby Laboratories, un’istituzione nello sviluppo delle tecnologie audio); ogni giorno, tornando a casa dalla bottega ortofrutticola in cui si guadagna da vivere, passa davanti al negozio della EMS, una ditta produttrice di sintetizzatori all’avanguardia. I Pink Floyd ne hanno utilizzato uno sul leggendario The Dark Side of The Moon; anche Brian Eno ne ha manipolato un esemplare su tutte le canzoni di Low, il primo album della trilogia berlinese di David Bowie. Dolby si ferma sempre a sbirciare all’interno del laboratorio. Riesce a vedere i tecnici curvi sui banchi di lavoro, attraverso le vetrine. Un giorno decide di curiosare in un secchione dell’immondizia poco lontano: in mezzo alla sporcizia intravede un marchingegno tutto nero, pieno di manopole e cavi penzolanti. Un sintetizzatore! Lo porta a casa, collega il cavo di alimentazione e incredibilmente si accende, però non emette suoni. Lo apre e si mette ad armeggiare con la scheda elettronica. Passa la notte a lavorare, armato di cacciavite e saldatore, e alle prime ore del mattino… eureka! Lo squallido monolocale di Putney in cui abita si riempie del suono di un’onda sinusoidale. Oscillatore di frequenza, filtro, forma d’onda, rumore bianco, campionatore: le manopole sul pannello frontale funzionano tutte. Si comincia a fare sul serio.

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Thomas Dolby nel 1982

È un momento eccitante per ascoltare e fare musica. Londra è un cuore pulsante che pompa adrenalina a tutte le ore. Puoi imbatterti nel concerto di Elvis Costello in una bettola maleodorante dell’East End; ci sono gli spettacoli post-apocalittici dei Clock DVA, che di solito degenerano in rissa. E ancora i Police, gli XTC, i Talking Heads e i Television . Thomas li vede tutti. La città pullula di punk, skinhead, mod, hooligan. Capelli rasati (o con le punte, tutte colorate, come Sid Vicious), pantaloni sgualciti, tatuaggi: se ne stanno agli angoli delle strade a tracannare Tennent’s e a mangiare kebab avvolti in tovaglioli unti. Dolby unisce l’utile al dilettevole: riesce a trovare lavoro come fonico e con la scusa assiste a concerti epocali. Quando torna a casa, ispiratissimo, lavora alle proprie composizioni sul sintetizzatore scovato tra i rifiuti. Apprezza l’energia del punk, ma il suo stile è più sofisticato. Di lì a poco, ne avrebbe dato prova con un pezzo intitolato She Blinded Me With Science, che diventerà un singolo di successo: il sodalizio perfetto tra l’attitudine nerd di Dolby e i trend musicali del momento. Una hit decisamente atipica, con il cameo dello scienziato e presentatore televisivo britannico Magnus Pyke, che tra un ritornello e l’altro esclama “Science!” (Pyke comparirà anche nel bizzarro videoclip della canzone) e un testo che definire in controtendenza con gli standard dell’epoca è un eufemismo, tutto incentrato su un’infatuazione amorosa rivisitata in chiave scientifica, tra sostanze chimiche, biologia e strani macchinari.

In poco tempo, Dolby passa dai lavoretti saltuari nei club di Londra alle esibizioni su alcuni dei palchi più importanti del mondo. È una vittoria improvvisa, ma altrettanto imprevedibilmente arrivano le delusioni (il singolo Hyperactive e il disco The Flat Earth del 1984 non ottengono i riscontri commerciali sperati, a causa di una promozione inadeguata da parte della casa discografica). Tuttavia, continua a cavalcare l’onda della popolarità. Stringe una surreale amicizia con Michael Jackson, per il quale avrebbe dovuto scrivere delle canzoni: un’opportunità che infine non si concretizza (propose al Re del Pop un brano intitolato Iron Curtain: “Cos’è una cortina di ferro?”, chiese Jackson, confuso). Nel corso di tutti gli anni ‘80 collezionerà incontri e collaborazioni prestigiose: dalle apparizioni in TV ai Grammy Awards con Stevie Wonder, Herbie Hancock e Howard Jones, passando per il lavoro di produttore con la band di culto Prefab Sprout e con Joni Mitchell (anche se l’occasione di produrre la cantautrice canadese sfumerà, a causa di insanabili divergenze artistiche); fino alla chiamata di David Bowie che lo vuole come tastierista della sua band in occasione del leggendario Live Aid; il decennio culmina con la partecipazione al concerto berlinese di Roger Waters, la riproposizione in chiave teatrale di The Wall per celebrare la caduta del muro.

Nel frattempo, Dolby registra altri album a suo nome (che non replicheranno mai i fasti del primo disco uscito nel 1982, The Golden Age of Wireless) e sul finire degli anni ‘80 si trasferisce a Los Angeles, dove sposa l’attrice Kathleen Beller e mette su famiglia. Nel 1992 viene pubblicata quella che per molto tempo rimarrà la sua ultima testimonianza come autore di canzoni, Astronauts & Heretics, un lavoro più intimista e personale del solito. Come tanti altri dischi di quel periodo, si tratta di un piccolo capolavoro privo di un vero appeal commerciale: da Seattle comincia a spirare il vento del grunge. Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains. Improvvisamente, tutta la musica che non risponde a determinati canoni estetici risulta superata, piena di inutili orpelli. E il music business sta cambiando i connotati: girano meno soldi (ne gireranno sempre meno), si vendono molti meno dischi, s’insinua la pirateria musicale. Il mercato discografico tradizionale si avvia verso l’implosione.

Di pari passo con il decadimento dell’industria, cresce in Thomas un senso di disillusione che lo porta a volgere lo sguardo verso il mondo dorato di Hollywood. Il lavoro come compositore di colonne sonore per film e videogiochi gli spalanca le porte di una nuova carriera nella Silicon Valley , la terra promessa dell’innovazione tecnologica. A metà anni ‘90 fonda una sua azienda, la Beatnik Inc., e si trasforma in un imprenditore a tutti gli effetti. Non senza difficoltà, contribuisce in prima persona al lancio di nuovi software per la fruizione di musica nell’era digitale. Ma la svolta arriva quando una semplice intuizione diventa realtà: la creazione di suonerie polifoniche per i telefoni di nuova generazione. Nel 2005 due terzi dei cellulari nel mondo includono e utilizzano il software audio sviluppato dalla Beatnik (ricordate la suoneria predefinita dei telefoni Nokia?). Per dieci anni, inoltre, Dolby ricopre il ruolo di direttore artistico per gli eventi TED, il marchio di conferenze statunitensi incentrate su discipline come scienza, cultura, design e tecnologia. Ma l’esperienza ai vertici dell’impero tecnologico non si rivelerà dissimile da quella altalenante che Thomas aveva sperimentato nei giorni del successo discografico. Arriverà presto un altro cambio di rotta. Ecco perché Dolby è un uomo del suo tempo: è un artista che intuisce dove sta andando il mondo. Tramite il suo apporto creativo, lo rende di volta in volta un posto migliore.

Oggi è uno stimato professore presso l’Università John Hopkins di Baltimora, nello stato americano del Maryland, dove porta avanti un corso sulla sonorizzazione di film, videogiochi, e arti visuali in genere. Ma il Professor Dolby è molto più che un inglese in trasferta di lavoro negli Stati Uniti; si è integrato perfettamente nella vita sociale e culturale della città d’adozione. Si sposta prevalentemente con un battello (Baltimora è una località portuale) e tramite Uber, ma non è raro incontrarlo su un autobus, oppure mentre inforca la bicicletta; va ai concerti, rigorosamente di artisti emergenti, e ogni tanto potrebbe capitare di imbattersi in un suo DJ set, oppure, più di rado, in una performance dal vivo. Inoltre, si sta impegnando per riqualificare artisticamente e culturalmente una zona della città che, dopo un passato splendente, era piombata nell’oblio più assoluto.

“Quello che mi piace di Baltimora”, ha dichiarato in un’intervista al The Baltimore Sun, “è che si tratta di una città relativamente piccola. Se fai bene il tuo lavoro, puoi fare la differenza. Puoi osservarne gli effetti positivi sulla comunità.” E ancora: “Voglio rimanere qui abbastanza a lungo da potermi considerare parte attiva di un movimento che riesca a cambiare le cose.”

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Thomas Dolby oggi

Al termine di ogni anno accademico, torna con la famiglia nel suo angolo di pace nel Suffolk, in Inghilterra. Ha convertito una vecchia scialuppa di salvataggio in uno studio di registrazione (che ha chiamato Nutmeg, letteralmente ‘noce moscata’). Lo studio, da cui si gode una vista mozzafiato sul Mare del Nord, è alimentato da pannelli solari, che durante il giorno raccolgono abbastanza energia da permettere a Dolby di lavorare quando si fa buio. L’ultimo suo album di musica pop, A Map of The Floating City (il quinto di tutta la carriera), è stato registrato proprio sulla Nutmeg e risale ormai al 2011. A quanto pare, non ci sono piani per un nuovo disco nell’immediato futuro.

Quando a Baltimora, nel Gennaio 2015, chi vi scrive ebbe l’opportunità di scambiare due chiacchiere con Dolby, si parlò del suo libro in lavorazione (l’autobiografia The Speed of Sound , uscita nel 2016, edita da MacMillan Flat Iron Books). Alla domanda “Che tipo di libro sarà?” rispose: “Non ne ho idea. Non ho mai avuto la minima idea di quello che ho fatto in vita mia e di come sia arrivato fin qui, però l’ho fatto. Scriverò di questo.”

Gli album di Thomas Dolby sono su Amazon.

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