Dal successo globale all’implosione: gli Eagles e i rocamboleschi anni ’70

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Il 31 luglio del 1980 si tenne l’ultimo concerto degli Eagles: quello che avvenne durante quell’esibizione benefica fu tutt’altro che privo di strascichi, tanto che ci vollero anni per far sì che una delle band simbolo del decennio appena concluso tornasse insieme.

La loro storia era iniziata alcuni anni prima e, in poco tempo, li aveva portati a dominare il mercato discografico e a creare un nuovo sound che fondeva il country, il rock e il pop. Nati nel 1971 attorno alle figure del chitarrista Glenn Frey e del batterista Don Henley (entrambi appartenenti alla band di supporto di Lisa Ronstadt), gli Eagles trovarono nel basso di Randy Meisner e nell’altra chitarra di Bernie Leadon la prima formazione su cui costruire il loro mito. Dopo i primi successi con Take It Easy (scritta da Jackson Browne) e l’ingresso nel gruppo di Don Felder come chitarra solista, gli Eagles riuscirono a diventare la band più influente della scena west coast americana, scrivendo pagine pop-rock entrate nell’immaginario collettivo.

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La prima formazione a “cinque”: Henley, Felder, Frey, Leadon e Meisner

Ma con la gloria e la notorietà iniziano anche i primi screzi all’interno del gruppo: la scelta di Frey e Henley di portare gli Eagles oltre il country-rock scontenta Leadon, che non accoglie favorevolmente la volontà di abbracciare un sound più commerciale. Se con On The Border il baffutto chitarrista aveva abbozzato, One Of These Nights, dal sound notevolmente più morbido e ammiccante, fece emergere tutta la sua frustrazione e portò ai numerosi litigi (soprattutto con Glenn Frey) che finirono per emarginarlo dal gruppo. La soluzione alla prima vera crisi degli Eagles fu Joe Walsh, che sostituì Bernie Leadon e diede quella verve rock che i due leader del gruppo cercavano da tempo, aggiungendo alla band un elemento dall’indubbio talento, ma tutt’altro che di facile gestione: Walsh era famoso per la sua predilezione per le droghe e le stanze di hotel distrutte, hobbies a cui si dedicava assieme a compari di tutto rispetto come John Belushi e Keith Moon. Comunque, la combinazione delle chitarre di Felder e dell’ex James Gang faceva faville (e diede vita a una combo tra le migliori della storia del rock) e portò il gruppo a registrare il suo capolavoro, quell’Hotel California che diventerà il manifesto di un’era.

Nonostante lo strepitoso successo del disco, i dissidi e le tensioni latenti non si risolsero, ma anzi furono acuite ulteriormente, tanto che gli Eagles alla fine della tournée per promuovere Hotel California erano ormai spaccati in due gruppi che a malapena si parlavano. Feldon iniziò a manifestare il desiderio di essere maggiormente coinvolto nel canto e nella stesura dei pezzi, andando però a cozzare contro l’inossidabile duo composto da Frey e Henley, che concepivano la band come cosa loro e concedevano poco spazio. Si deteriorarono soprattutto i rapporti tra il chitarrista e Glenn Frey, il vero leader della band, andando a ripetere lo stesso percorso avvenuto ai tempi di Bernie Leadon.

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La formazione con Henley, Walsh, Meisner, Frey e Feldon

Nel frattempo esplose la grana con Randy Meisner, l’anima silenziosa del gruppo, che era finito schiacciato tra le due compagini che ormai formavano gli Eagles: da una parte le menti creative Henley e Frey, dall’altra i due sublimi chitarristi Walsh e Feldon. Il bassista finì per essere emarginato dal resto della band e lasciò il gruppo dopo un violento litigio nel backstage di un concerto, in cui venne quasi alle mani con Frey. Per ironia della sorte venne ingaggiato al suo posto Tim Schmit, che a sua volta lo aveva già rimpiazzato nei Poco dopo la sua adesione agli Eagles: il nuovo bassista sapeva che aggregarsi a una band simile era l’occasione che aspettava da una vita e riuscì a integrarsi tra le due fazioni senza incrementare le incomprensioni.

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Gli Eagles con Schmit

La fase peggiore si toccò durante la registrazione di The Long Run, estenuanti e senza fine: persino Don Henley e Glenn Frey erano arrivati quasi a non sopportarsi più e i lavori per la scrittura del disco ne risentirono enormemente, facendolo slittare di continuo (anche a causa dell’abuso di droghe da parte ormai di tutta la band). The Long Run uscì nel 1979 e si rivelò comunque un successo, ribadendo che gli Eagles potevano dire la loro anche negli imminenti anni 80.

Il 31 luglio del 1980, poco prima di un concerto benefico in supporto del senatore della California Alan Cranston, si verificò, però, l’incidente che fece implodere del tutto il gruppo: durante l’incontro con il senatore, che desiderava ringraziare personalmente uno a uno i membri della band per il loro sostegno, il sempre più frustrato Don Felder (che non era favorevole alle “donazioni” degli incassi dei loro concerti) si lasciò sfuggire tra i denti un “prego signor senatore… suppongo”, che non sfuggì alle orecchie degli altri Eagles. Glenn Frey fu quello che rimase più sconvolto per la mancanza di rispetto del chitarrista e durante l’esibizione iniziò a litigare con lui, arrivando a scambiarsi insulti e minacce sempre più esplicite, che sfociarono in promesse di poco cordiali chiarimenti alla fine del concerto.

Dopo l’ultimo bis, Felder si fiondò nel backstage, afferrò una chitarra e la schiantò contro il muro; Frey lo inseguì fino al parcheggio della struttura che ospitava l’evento, ma non riuscì per poco a mettere in pratica quanto promesso, limitandosi a vederlo scappare via in auto. Era finita e tutti lo sapevano. Gli Eagles terminarono il loro incredibile volo in quella calda notte d’estate e non si sarebbero più visti insieme per molti anni, quando le richieste dei fans (e soprattutto dei discografici) si fecero troppo pressanti per essere ignorate. Anche la seconda vita del gruppo, iniziata nel 1994, non fu semplice, con Feldon che venne cacciato (stavolta definitivamente e con tanto di strascichi legali) nel 2001: evidentemente Frey proprio non riusciva a farselo piacere.

Ora che Glenn Frey è venuto a mancare, per quanto i suoi compagni superstiti continuino il loro eterno tour con suo figlio in formazione, la storia degli Eagles è finita davvero.

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Luca Divelti scrive storie di musica, cinema e tv su Rock’n’Blog e Auralcrave. Seguilo su Facebook e Twitter.

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