Space Oddity: quando David Bowie accompagnò lo sbarco dell’uomo sulla Luna

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Il 20 luglio del 1969 la missione spaziale Apollo 11 portò l’uomo per la prima volta sulla superficie della Luna, raggiungendo un traguardo sognato per secoli che pose anche praticamente fine alla corsa allo spazio tra URSS e USA, con gli Stati Uniti che si considerarono vincitori della competizione. L’evento, vista la sua grandiosa portata, ebbe una copertura mediatica senza precedenti e venne seguito da ogni emittente televisiva, che organizzo’ i propri palinsesti per non perdere nemmeno un istante della missione di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins.

apollo11

La BBC fu tra queste, e durante le lunghe ore di diretta usò come commento alle immagini una canzone appena uscita (11 luglio), che le sembrava adatta all’occasione: Space Oddity. David Bowie scrisse il brano dopo essere rimasto estremamente affascinato dalla visione di 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick, che lo ispirò nel raccontare l’odissea spaziale dell’astronauta Major Tom (il primo di una lunga lista di alter ego del camaleontico artista), la cui interruzione di comunicazione con la Terra e la Torre di controllo coincideva con la sua deriva nell’infinito.

Bowie si disse sempre sorpreso della scelta dell’emittente di sfruttare un brano che parlava di una missione spaziale sostanzialmente fallita, scherzando sul fatto che probabilmente i responsabili della Tv di Stato si erano soffermati solo sul titolo e poco altro, non approfondendo il testo e il suo significato. Accortisi (o avvertiti da qualche anima caritatevole) dell’incomprensione, i piani alti della BBC bloccarono la programmazione di Space Oddity fino a che la missione statunitense non fosse terminata.

Se comunque Bowie e la sua casa discografica avessero deciso di uscire con Space Oddity quasi contemporaneamente all’allunaggio, con una scelta fatta a tavolino che prevedeva la sovraesposizione mediatica grazie a uno dei momenti più importanti e significativi della storia umana, non ci è dato sapere, anche se non è da escludersi a priori. Tony Visconti, che produsse l’album in cui era contenuta Space Oddity, si tirò indietro al momento di inciderla e la lasciò a Gus Dudgeon (che ci costruì sopra una carriera), sostenendo che la canzone non gli piacesse e che la considerava troppo commerciale e scontata: il fatto che poi, di tutto il disco, solo la canzone di Major Tom sarebbe diventata una hit, portò il produttore a doversi ricredere.

Nel 1980 Bowie tornò sul personaggio, pubblicando Ashes To Ashes, in cui raccontava che Major Tom era riuscito a tornare in contatto con la Terra ed era felice, anche se la Torre di controllo metteva in guardia dalle sue affermazioni, perché era solo un drogato: alcuni ci trovarono un riferimento di Bowie a sé stesso più giovane e alla sua caduta nella spirale delle droghe dopo il successo raggiunto proprio con Space Oddity.

L’influenza che lo spazio e la sci-fi avevano su Bowie si sarebbero viste anche in altri pezzi come Hallo Spaceboy (che si riferiva ancora, seppur più vagamente, a Major Tom), Starman, Ziggy Stardust, Life On Mars, Lazarus, Dancing Out In Space e Born In A Ufo, oltre che nella sua carriera parallela di attore in film come Labyrinth e soprattutto L’uomo che Cadde sulla Terra; inoltre suo figlio Duncan Jones, che ha evidentemente ereditato la sua passione per la fantascienza, ha ottenuto il suo primo successo da regista con Moon, la storia di un astronauta in procinto di lasciare la Luna dopo tre anni di lavoro sul satellite. Space Oddity è stata anche protagonista nel 2013 del primo video musicale realizzato nello spazio, quando sulla Stazione Spaziale Internazionale l’astronauta Chris Hadfield ha imbracciato la chitarra e ha intonato “Ground Control To Major Tom”.

Space Oddity portò per la prima volta il ventiduenne David Bowie ad affacciarsi alla fama e a conquistare l’immaginario collettivo grazie alla fragilità del suo alter ego: quel Major Tom perso nella sua solitudine e incapace di superare la propria alienazione, rassegnato, ma non disperato. E conscio che ci sono cose più grandi di noi, perché “Planet Earth is blue, and there’s nothing I can do”

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Luca Divelti scrive storie di musica, cinema e tv su Rock’n’Blog e Auralcrave. Seguilo su Facebook e Twitter.

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