Il manoscritto Voynich, un rompicapo lungo un secolo

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Un manoscritto realizzato nel quindicesimo secolo, scritto in una lingua incomprensibile, con raffigurazioni di piante inesistenti, donne nude e animali fantasiosi: sembrerebbe il misterioso arcano di una trama fantasy. Si tratta in realtà di un volumetto realmente esistente che da un secolo interroga studiosi di ogni sorta.

Partiamo dal nome. Il manoscritto deve il suo nome ad un mercante di testi rari, l’inglese di origini polacche Wilfrid Voynich, che lo acquistò dal Nobile Collegio gesuita di Villa Mondragone, un paese poco distante da Frascati, nel 1912. Custodito dai gesuiti senza suscitare clamore, la febbre per questo testo così enigmatico scoppia proprio quando il libro entra in possesso di Voynich. Tra le pagine del manoscritto egli trova, infatti, una lettera datata 19 Agosto 1665, nella quale Johannes Marcus Marci, noto astronomo boemo al servizio dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Ferdinando III d’Asburgo, invitava Athanasius Kircher, gesuita considerato un punto di riferimento culturale dai suoi coevi, a decodificare il contenuto del volume. Nella sua lettera, Marci riferisce come fosse venuto a conoscenza, tramite un tutore di Ferdinando III d’Asburgo, che l’imperatore aveva acquistato l’opera dal suo predecessore, Rodolfo II, per 600 ducati, una cifra impressionante per l’epoca. Il motivo era semplice, si riteneva che l’opera fosse stata concepita dal filosofo inglese Ruggero Bacone, vissuto fino al 1292. Sembra davvero di essere entrati nella complicata trama di un romanzo.

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Il mistero è così fitto che linguisti, filosofi, botanici, monaci e persino esperti di decrittazione militare hanno tentato invano di penetrarlo, senza tuttavia mai scalfirlo. L’opera di cui parliamo è un volumetto di 201 pagine – in origine probabilmente 232, ma 16 fogli sembrano andati perduti – di dimensioni insolite per il tempo, 16×22 centimetri, giusto per non farsi mancare le ambiguità. Al suo interno è diviso in quattro sezioni, a cui va aggiunto un inserto centrale formato da un foglio ripiegato sei volte e contenente raffigurazioni di stelle e altri disegni di forme più strane che hanno portato ad astruse congetture, dalla rappresentazione di telescopi non ancora inventati a quella di cellule di là dall’essere scoperte.

Nella prima sezione, denominata Botanica, le pagine sono ornate da rappresentazioni di piante di forma non corrispondente ad alcuna di quelle esistenti in natura, con radici tentacolari e misteriosi animali a corredo. Una visione di per sé straniante, alla quale va aggiunta e in qualche modo collegata la seconda, quella Astrologica, fitta di stelle, zodiaci e costellazioni, in un crescendo di significati occulti e impenetrabili. Nella terza sezione, quella Biologica, donne nude contenute in vasche comunicanti ricolme d’acqua celebrano un indecifrabile rituale, mentre nella quarta, quella Farmacologica, ritornano le rappresentazioni di vegetali, questa volta raffigurati insieme ad ampolle e fiale. Tutto molto chiaro, insomma.

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L’interpretazione del manoscritto – custodito alla Beinecke Rare Book & Manuscript Library, a Yale – ha coinvolto numerosi studiosi. Alcuni di loro nel corso del novecento avanzarono l’ipotesi che il testo, la cui lingua non corrispondeva a nessuna di quelle conosciute, potesse essere in realtà un falso concepito per truffare Rodolfo II. Le tecniche di datazione del Carbonio-14 hanno, però, escluso tale ipotesi, individuando nel periodo tra il 1404 e il 1438 quello più plausibile in cui collocare la creazione del manoscritto, un’età antecedente a quella in cui visse l’imperatore.

Questo denso intreccio diventa quasi impenetrabile quando si arriva alla lingua. Linguisti ed esperti di decrittazione hanno avanzato nel corso del tempo le ipotesi più disparate: dal latino camuffato, all’ucraino con le vocali mancanti, fino all’ipotesi che si trattasse di vari dialetti medievali, estinti e irrecuperabili, le interpretazioni hanno difficilmente offerto spiegazioni plausibili di questa lingua oscura.

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La ripetitività delle sillabe riscontrata in molte parole del manoscritto ha condotto due studiosi, William Friedman e John Tiltman, a ipotizzare che si trattasse di una lingua filosofica, ossia una lingua artificiale che fa corrispondere ad ogni sillaba una categoria dell’essere e a ogni prefisso/suffisso una sua sottocategoria. L’esempio più noto è quello dell’idioma congegnato dal filosofo del seicento John Wilkins, reso celebre dall’omonimo racconto di Borges.

Nonostante gli sforzi fatti, il manoscritto resta ancora impenetrabile. Un’interessante analisi, che spiegherebbe la resistenza del testo a qualsiasi tentativo di traduzione, è quella condotta nel 2004 dall’informatico scozzese Gordon Rugg: la ripetitività delle sillabe e la relativa semplicità del testo sarebbero spiegate dall’adozione da parte degli occulti autori del manoscritto di una tecnica di “rumore casuale”. Il metodo consiste nel sovrapporre a una tabella composta da sillabe predefinite una seconda griglia in cui ritagli casuali consentono di leggere solo le parti corrispondenti della tabella sottostante: sarebbe stato redatto, iterando tale tecnica, l’intero manoscritto.

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Che si tratti di un testo esoterico, di scritture sacre o di una semplice truffa, un secolo di studi ha lasciato intatto il mistero. Questo volumetto di duecento pagine sembra non avere alcuna intenzione di smettere di prendersi gioco di noi.

Per chi fosse interessato ad entrare nel rompicapo, il manoscritto Voynich esiste anche in versione pdf, per la libera consultazione web.

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